giovedì 30 aprile 2020

CAPITOLO 35, CAPITOLO 36



35  LE STRADE SI DIVIDONO

Quell’estate tornai a Milano da mio padre, dai miei fratelli e dai mie amici. Mio padre venne a sapere, non so da chi, che avevo visto Jessica. Mi chiese se mi aveva detto qualcosa in particolare, ma io gli risposi che non mi aveva detto nulla, anzi ero rimasto molto deluso da lei. Gli chiesi se era arrabbiato per questo, lui rispose di no, che era giusto che io volessi saperne di più, e che il comportamento di Jessica era normale, non potevo aspettarmi nulla da una persona che aveva abbandonato i figli ed era finita in galera,  poi cambiò discorso.

Quell’anno non successe nulla di eclatante, io andavo in giro con i miei amici, e quando non uscivo con loro, uscivo  con i miei fratelli; ovviamente ero legatissimo a mia sorella Sofia visto che fin da piccolo avevo un debole per lei, mi coccolava e mi baciava sempre, eravamo inseparabili, era la mia sorella preferita.
Naturalmente avevo un bellissimo rapporto anche col suo fidanzato, Ciro, quando non stavo con gli amici praticamente stavo sempre con loro due.
Finite le vacanze, tornai a casa nel mio oratorio dai miei amici, ma non era più come prima, senza Alessandro ormai le strade si stavano iniziando a dividere. Io mi arrabbiai con i ragazzi mi ricordo che una volta gli dissi: “State rovinando quello che ha costruito Ale!” ma loro mi risposero che ormai era tempo di dividersi e purtroppo accadde così. Tutti loro col tempo lasciarono l’oratorio, anche Paola con le altre ragazze si allontanò ma il nostro rapporto  continuava perché io insieme a Valerio (che era l’unico della compagnia che rimase con me) andavamo spesso a trovarla a casa.
Io e Valerio invece, finimmo in una compagnia che usciva in centro; non era proprio una bella compagnia. Sembrava di stare a Milano, vi erano sempre risse, ragazzi che rubavano insomma una compagnia di mezzi delinquenti.
Frequentando anche l’oratorio molti miei amici, soprattutto Floriano, iniziavano a vedere il mio cambiamento così cercarono in tutti i modi di riportarmi a frequentare il catechismo che avevo lasciato in terza media, in modo da cercare di tirarmi fuori da quella compagnia prima che fosse troppo tardi. Passarono parecchi mesi ma alla fine ce la fecero, io e Valerio continuammo a frequentare l’oratorio e costruimmo una nuova compagnia all’interno. Fu l’inizio di una grande amicizia.

Intanto arrivò il mio diciottesimo compleanno, il primo traguardo importante della vita, era un sabato, mi arrivò la chiamata di Piera per farmi gli auguri di compleanno e dirmi che l’aveva chiamata Jessica dicendo che avrebbe voluto che lo festeggiassimo insieme. Così organizzammo per pranzare insieme io, Piera, Paola, Jessica e la zia Pina, che è la sorella di Jessica.
Fu un bel pranzo anche se per tutto il giorno non parlammo molto io e lei come al solito. Lei mi regalò una collana d’oro con un crocifisso strano, come quello che aveva mio padre al collo; fu il primo e l’unico regalo che ricevetti da lei. Dopo quel giorno però sparì ancora.
Dopo pranzo tornai a casa dalla zia, noi l’avremmo passato insieme la domenica, perché la sera avevo organizzato di andare a festeggiarlo con gli amici. Però avevo un peso nel cuore, lei non sapeva che avevo pranzato con Jessica, sapeva solo che sarei andato da Piera a mangiare, così gli dissi la verità. Lei rimase un po’ sbalordita perché non se lo sarebbe mai aspettato, ad un certo punto mi disse: “Non è che adesso decidi di andare a vivere con tua madre?” I suoi occhi erano pieni di tristezza perché aveva paura di perdermi, allora io l’abbracciai e le risposi:  “Tranquilla che nessuno mi porterà via da te, la mamma non è chi mette al mondo un figlio e poi scappa, ma è chi si prende cura di lui e lo fa crescere!” Ritrovò  subito il sorriso e mi baciò  tutto.
Detto questo uscii a festeggiare con i miei amici,  fu una grande festa. Diciotto anni iniziavo a diventare grande, potevo anche iscrivermi per la patente, solo che non avevo abbastanza soldi per farlo  perché col mio stipendio avevo  comprato il motorino nuovo l’anno prima e poi dovevo aiutare in casa. La  zia mi disse che me l’avrebbe pagata lei, anche se mio zio era contrario. Ma io rifiutai e dissi che quando avrei avuto i soldi mi sarei iscritto, tanto per il momento avevo il mio motorino che amavo.


36  LA MALATTIA

Col passare del tempo purtroppo anche le strade tra me, Piera e Paola si divisero, tanto che non ci vedevamo più.
Nella mia visuale stava cambiando qualcosa, o meglio nella vita di mio zio soprattutto, perché ogni volta che ci mettevamo a tavola a mangiare lui vomitava tutto quello che mangiava e io e la zia non capivamo il motivo di ciò, preoccupandoci e chiedendogli se stava male. Il problema era che lui fino prima di mangiare stava bene, era quando metteva in bocca qualcosa che il suo corpo lo rifiutava. Così lo portammo a fare una visita in ospedale, lì ci dissero quello che non i vorrebbe mai sentirsi dire!
I medici gli trovarono un tumore alla prostata più cinque cisti tumorali all’interno del petto. Per lui e per noi era una notizia devastante, doveva subito  sottoporsi alla chemioterapia per cercare di ridurre i tumori e poi affrontare un’operazione: fu l’inizio di un incubo.
Lo zio  era una persona meravigliosa, piena di vita e di energia, non stava mai fermo un secondo, passava dal Ticino al lavoro, nel tempo libero faceva lavoretti con il legno, giocava a biliardo, insomma aveva sempre qualcosa da fare. Purtroppo da quando gli costatarono questa malattia iniziò a perdere l’entusiasmo e a buttarsi giù, tirarlo su di morale non era semplice. Aveva tantissima paura di quello che gli poteva accadere. Io e la zia ogni volta cercavamo di sdrammatizzare e di tranquillizzarlo dicendogli che sarebbe andato tutto bene, fino a che non iniziò le cure.  Io dovevo continuare a lavorare per portare i soldi a casa perché, vivevamo solo con i soldi della pensione di mia  zia, le centomila lire che mio zio guadagnava col suo lavoro e il mio stipendio, anche se mia zia voleva che in casa mettessi solo i soldi per la spesa e basta.
Le chemio che faceva lo zio erano pesantissime, in casa solo lui aveva la patente così mia zia doveva accompagnarlo in ospedale, fargli fare la chemio, aspettare che si riprendesse e poi tornare a casa, perché mio zio non voleva stare assolutamente in ospedale. Quando tornava si metteva a letto stanco morto, poi il venerdì, il sabato e la domenica  anche se magari era stanco andava lo stesso a lavorare, io e la zia gli dicevamo che non sarebbe stato più come prima, ma lui rispondeva che non potevamo rinunciare a quelle centomila lire. Io vedevo la sofferenza negli occhi dello zio e della zia e mi tenevo tutto dentro.
L’unica persona con cui mi sfogavo era Veronica, era l’unica che riusciva a farmi aprire. Intanto mio zio col fatto che aveva tanta paura, scrisse una lettera ad un suo fratello che faceva il medico (io non l’avevo mai visto) per saperne di più, per vedere se c’era una cura. La risposta del fratello fu scioccante: “Sei grande e vaccinato i problemi risolviteli da soli”. Mio zio aveva otto fratelli ma con gli anni avevano litigato tutti tra di loro. Aveva mantenuto un buon rapporto solo con sua sorella Giada, e con mio padre. Si perché lo zio ne parlò anche con papà e una volta saputa la malattia, tutto il rancore e la rabbia che c’erano stati fino ad allora tra loro, sparì  tornando così ad essere grandi fratelli.
Mio padre tornò a farmi visita i fine settimana per cercare di stare vicino allo zio e saperne sempre di più delle sue condizioni.

Nel frattempo, io ero stato operato per l’ottava volta al pollice per un’unghia incarnita. Anche io non ero stato molto fortunato con gli ospedali fino quel tempo, da piccolino all’età  di quattro anni mentre ero in piscina con l’asilo, caddi dentro la piscina sbattendo il fianco, mi dovettero operare; a sette anni su tutte le dita  delle mani mi si erano formate le verruche, che io quotidianamente strappavo con i denti facendomi uscire sempre il sangue, perché gli amici mi prendevano in giro per le mie mani e io mi vergognavo, quindi lo zio mi portò all’ospedale e il medico vedendo che erano troppo grosse, mi mise l’acido bruciandomele, non potete neanche immaginare il dolore… per una settimana a casa con le mani viola; e poi appunto operato otto volte ad entrambi i piedi per unghia incarnita, praticamente ero rimasto a casa dal lavoro per un mese abbondante, era maggio così potevo stare vicino allo zio e dare una mano alla  zia.



martedì 28 aprile 2020


PURO AMORE

di Gianluca Pepe


Più ti guardo e più non mi sembra vero, mi sembra ancora tutto un sogno… eppure sei qui con noi già da un mese!
Il 28 marzo sei arrivato tu… pensa che nella mia testa aspettavo questo giorno da anni, e ripensandoci ti confido che all’inizio avevo centinaia di paure, migliaia di domande, milioni di dubbi e infinite domande… “Sarò capace d’essere padre? Sarò capace di cambiargli un pannolino? Riuscirò a prenderlo in braccio senza romperlo? Sarò in grado di prendermi cura di lui?” Poi vederti venire al mondo è stato il regalo più bello che potessi ricevere. In quel momento le paure, le domande, i dubbi sono sparite solamente guardandoti e si sono trasformate in amore: è in quel momento che ho capito che finalmente ho trovato l’ultimo pezzo del puzzle della mia vita che non riuscivo a finire e ora che è finito lo posso guardare in tutto il suo splendore.
So che siamo solo all’inizio, che dovranno arrivare altre notti insonnie a cullarti, o che dovrò capire dai tuoi pianti di cosa hai bisogno in quel momento, so che non sarà facile! Ma vedi, Riki, la vita è bella proprio per questo, perché tutto quello che abbiamo, tutto quello che vogliamo, dobbiamo guadagnarcelo giorno dopo giorno, con fatica superando anche qualche ostacolo, che lascerà sicuramente qualche segno nel nostro cammino, qualche ferita che sarà difficile da guarire e qualche cicatrice che non si rimarginerà; ma sicuramente ci farà crescere, ci farà maturare e ci farà diventare grandi.
Ma voglio che tu sappia che in tutto il tuo percorso, il tuo papà sarà sempre al tuo fianco. Quando io e la tua mamma ci siamo sposati ci siamo fatti una promessa, la stessa promessa che io oggi voglio fare a te: qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi ostacolo ci sarà nella nostra vita, salteremo sempre insieme tutti e tre, e se cadremo ci rialzeremo insieme facendoci forza l’un l’altro perchè siamo una famiglia!
Il tuo papà

lunedì 27 aprile 2020

CAPITOLO 33, CAPITOLO 34


33  GUAI A PARLARE MALE

Un giorno, mentre stavo uscendo dal lavoro per raggiungere Paola, mi squillò il telefono. Era lei che mi chiamava in lacrime, subito le chiesi cos’era successo ma lei non voleva dirmelo al telefono: mi disse solo di precipitarmi in oratorio che stava scoppiando il finimondo. Così corsi immediatamente  e quando entrai, vidi i maschi  della compagnia che inseguivano un altro mio amico, Fazio. Paola invece era con le ragazze che piangeva, subito chiesi a Lulù cosa era successo. Lei mi disse che Fazio parlando con altri ragazzi sempre dell’oratorio, aveva parlato male di Alessandro, dicendo che lui quella sera era morto perché aveva bevuto troppo e aveva fatto lo stupido in moto. Così ovviamente i ragazzi della compagnia, sentendo quello che aveva detto, si erano scatenati contro di lui e volevano picchiarlo. Lui però si era rifugiato in auletta, dove di solito si fanno le riunioni con il prete e dove ne  stavano appunto facendo una. I ragazzi della compagnia lo stavano aspettando giù, essendosi impossessati del suo motorino. Quando arrivai Guido, Alessio, Simone, Silvio, Cristian mi dissero di starne fuori perché, conoscendo molto bene Fazio pensavano che l’avrei difeso, io dissi loro di stare tranquilli di non alterarsi che ci avrei pensato io. Così salii in auletta mentre stavano facendo la riunione dei catechisti, tra l’altro erano miei amici (praticamente in oratorio ci conoscevamo tutti ed eravamo tutti grandi amici non c’era differenza d’età), entrai e Fazio era nascosto dietro un catechista. Io gli dissi di venire fuori a parlare, ma lui non voleva perché aveva paura, però io gli spiegai di non preoccuparsi perchè c’ero io, non gli sarebbe successo niente. Gli altri ragazzi, avendomi raggiunto, iniziarono a gridare: “Cosa non gli facciamo nulla, ti spacchiamo la faccia, ti ammazziamo”. Io ovviamente cercai di portare la calma finchè alla fine lo convinsi a uscire nell’atrio dove  c’è un piccolo balconcino, prima di scendere le scale. Lui si fidava molto di me perché ero l’unico che lo difendeva sempre. Ma purtroppo non stavolta! Una volta arrivati nell’atrio, mentre tutti spingevano e venivano addosso perché lo volevano pestare, io li tenevo lontani, arrivarono anche le ragazze con Paola e si misero sotto il balconcino ad assistere, per vedere se avrei difeso Fazio o l’avrei menato sapendo che Alessandro per me era come un fratello. I suoi occhi erano terrorizzati, sapeva che l’aveva fatta grossa. In tutti i modi cercava di chiedere scusa a tutti, diceva che avevano interpretato male il suo discorso, che lui non voleva dire quelle cose. Ad un certo punto però mi si chiuse la vena (per chi mi conosce, sa che quando mi si chiude la vena è la fine, non c’è nessuno che mi trattiene) e tirai una centra[1] a Fazio, lo presi e lo misi fuori dal balconcino. Lo volevo buttare di sotto, non capivo più nulla avevo una rabbia dentro devastante, ero viola in faccia con tutte le vene di fuori, tutti i ragazzi a quella visione cercarono di fermarmi ma nessuno riusciva a togliermelo dalle mani. Ad un certo punto arrivò Lella, una ragazza della compagnia con la quale avevo un rapporto speciale, lei riuscì a strapparmelo dalle mani e portarmi via e a tranquillizzarmi.
Fazio scappò di nuovo in casa dal prete, raccontò tutto a Don Nicola, aveva paura ad uscire visto che noi lo aspettavamo di sotto. Quando scese con lui c’era il Don che cercò di tranquillizzarci, noi gli spiegammo bene cos’era successo, perché Fazio gliel’aveva spiegato a suo modo. Il Don capì che sarebbe finita molto male, quindi andò di sopra a chiamare anche i catechisti per cercare di dargli una mano. Mentre Fazio e il Don  salivano, io tirai un calcio al suo motorino facendoglielo cadere per terra,  Carlo  prese una pala che si trovava lì in quel momento e gliela infilò nella fiancata,  praticamente gli distruggemmo tutto il motorino.
Arrivò il prete con i catechisti e con Fazio, i catechisti parlarono con noi; tra questi c’era Floriano che era il mio catechista  e un mio grande amico, cercò di tranquillizzarmi mentre il Don fece uscire Fazio e gli disse che dopo quello che aveva combinato, era meglio che non si facesse vedere per un po’ in oratorio. Poi il Don, dandoci ragione ma spiegandoci che la nostra reazione era esagerata, cercò di tranquillizzarci e disse avrebbe chiuso un occhio sull’accaduto.
La sera mi chiamò il papà di Fazio dicendomi che ci avrebbe denunciato se non fossimo stati lontani da suo figlio; io raccontai tutto ai ragazzi che volevano andare sotto casa a prenderlo ma poi Paola disse che non c’era bisogno di rovinarci per lui, quindi finì tutto.


34  FINALMENTE UN VOLTO

La storia con Paola procedeva a meraviglia, e il rapporto con Piera era sempre più intenso e bello tanto che iniziavo a  raccontargli del mio passato, della mia infanzia, della mia famiglia.
Lei mi disse che adesso capiva come mai ero sempre pronto ad aiutare gli altri e a pensare sempre a loro prima di pensare a me, mi disse che io e suo figlio eravamo uguali, identici avendo avuto praticamente la stessa infanzia, le stesse delusioni… sì perché io non avevo mai avuto una madre, invece lui non aveva mai avuto un padre. Piera prese a cuore la mia storia, voleva sdebitarsi per tutto quello che avevo fatto per lei e per Paola. Io le dicevo sempre che non ce n’era bisogno perché io ero così, preferivo la felicità degli altri alla mia.
Mi chiese se io avevo mai provato a fare domande su Jessica o avevo mai provato a cercarla, io le spiegai che avevo chiesto una mano anche al prete per trovarla ma lui quando ci incontrammo per parlare mi disse  che prima di incontrarla avrei dovuto fare un percorso con lui in modo che quando l’avrei vista per la prima volta non avrei reagito male o non l’avrei riempita di insulti. Le spiegai che in famiglia non volevo chiedere per non dare una sofferenza, così lei mi disse di non preoccuparmi che ci avrebbe pensato lei.
Io Jessica non l’avevo mai vista, non sapevo che volto avesse, come erano i suoi capelli, i suoi occhi, non sapevo che tipo era. Fino quel momento io sapevo solo che aveva fatto otto anni di galera, ma perché l’avevo scoperto da solo, non sapevo neanche il motivo. Pensate che non sapevo neanche il nome fino a quel giorno.

Intanto eravamo quasi giunti all’estate; un giorno mentre ero in oratorio come sempre a giocare a calcio, mi suonò il telefono e rispose Paola, mi disse che Piera aveva chiesto se potevamo andare con urgenza a casa, io le chiesi se era successo qualcosa, ma lei mi rispose che mi doveva dire una cosa importante. Così mi cambiai e andammo subito a casa, una volta arrivati andai in sala dove mi aspettava Piera e al suo fianco vi era una donna!
Rimasi paralizzato, senza parole, non sapevo più cosa dire, il gelo intorno a me, avevo capito dallo sguardo che quella donna era Jessica, la donna che mi aveva dato la luce.
Paola andò in cameretta, io mi misi sul divano con loro. Jessica mi abbracciò e strinse a lei… io non riuscii. Non riuscivo a dire nulla. Nella mia testa passavano mille pensieri, non sapevo se essere arrabbiato perché mi aveva abbandonato, perché era sparita senza dare traccia di lei, le telefonate che faceva a casa di papà quando ero piccolo, la galera, mille cose mi passavano per la testa, mille sentimenti, gioie, dolori, insulti, rabbia, odio.  Nello stesso tempo aver finalmente dato un volto alla persona che sempre avevo cercato e mai nessuno mi aveva voluto fare incontrare. Nessuno tranne Piera!
Quel pomeriggio io non parlai mai, non chiesi nulla,  aspettavo che fosse lei a darmi delle spiegazioni, volevo che si prendesse le sue responsabilità, io avevo solo diciassette anni. Lei parlava solo con Piera parlando di tutto, tranne che di cosa era accaduto in tutti quegli anni, l’unica cosa che mi disse ricordo che fu: “Ti ricordi come ti chiamavo da piccolo? Occhi di ghiaccio” perché avevo due occhi stupendi. Il pomeriggio giunse al termine, lei doveva  tornare a casa a Milano, mi chiese se ci saremmo rivisti ancora, io risposi  di sì, un abbraccio e di nuovo ognuno per la sua strada. Quando uscì, io ringraziai Piera di cuore abbracciandola, un abbraccio pieno d’amore, un abbraccio che non avevo dato a Jessica. Lei capì subito che io ero felice perché avevo dato un volto, un’identità  alla persona che mi aveva messo al mondo, ma nello stesso tempo ero deluso per il suo comportamento, perché non mi aveva detto nulla di ciò che volevo sentirmi dire, avrei voluto spiegazioni soprattutto riguardanti alla galera. Ricordo che Piera  disse: “Ho cercato di fartela conoscere solo perché me lo hai chiesto tu, e perché mi sembrava giusto che tu vedessi la persona che ti aveva messo al mondo! Tu per noi hai fatto tantissimo e mi sembrava il minino che potevo fare, ma se non te la senti di reincontrarla potrai non vederla più! Ora sta a te decidere se vuoi riallacciare un rapporto o chiudere col passato!” Io la ringraziai ancora, ma per il momento di Jessica non ne volli più sapere.

Si stava avvicinando l’estate, e con essa purtroppo un’altra delusione nella mia vita.
Un giorno Paola decise di lasciarmi, io ci rimasi molto male perché ci tenevo tantissimo a lei ma quel giorno capimmo, che tra noi era nato tutto per darci una mano ad uscire da un momento così brutto della nostra vita, ci eravamo ripresi e ora era il momento di guardare avanti e di prendere ognuno la propria  strada. Ci rimasi molto male di ciò, soffrii tanto ma quella che forse ci soffrì di più era Piera perché mi disse: “Ci speravo tanto nella vostra storia, eri il ragazzo giusto per Paola, mi piaci veramente ma purtroppo lei ha solo tredici anni e non sa ancora bene decidere, spero che un domani le vostre strade si riuniscano!” Io l’abbracciai e le dissi che io e Paola avevamo deciso di rimanere grandi amici, che tra me e loro non sarebbe cambiato nulla, ma era giusto così anche se nel cuore soffrivo tanto.
Tra me, Paola e Piera non cambiò nulla,  continuavamo a vederci, uscire insieme e continuavo ad andare a casa loro l’unica differenza  era che ero tornato a vederla come una sorellina da proteggere!



[1] come si usava dire a quei tempi centra = schiaffo

giovedì 23 aprile 2020

CAPITOLO 31, CAPITOLO 32



31  ADDIO ALESSANDRO!
  
Era il 21 Agosto del 2002, ore 17:30, i miei zii erano al mare, io ero rimasto a casa da solo ed ero sul letto quando ad un tratto mi suonò il cellulare. Era Alice, la mia ex, tra noi era rimasto un rapporto di amicizia, o meglio lei cercava ogni volta di riconquistarmi. Mi chiamava tutte le sere per sapere come stavo e quando tornavo. Io le dicevo che quando sarei tornato avremmo parlato bene perchè da una parte volevo tornare con lei, ma dall’altra parte invece volevo rimanere il suo migliore amico.
Quel giorno la sua voce al telefono era diversa, era triste, rauca e malinconica, singhiozzava e io capii che aveva pianto e che era successo qualcosa di grave. Gli chiesi subito informazioni perché ero molto preoccupato per lei, ad un certo punto mi disse:  ”Ti devo dire una cosa bruttissima, Alessandro ieri sera ha fatto un incidente in moto… è morto!”  All’inizio pensai che fosse uno scherzo, poi mi paralizzai… dalle mie labbra non usciva più una parola, eravamo al telefono ma c’era un silenzio di tomba. L’unico pensiero era rivolto al mio grande amico, al mio punto di forza, colui che quando stavo male riusciva sempre a strapparmi un sorriso, il mio fratello acquisito che mi aveva abbandonato! Pensieri, amarezze, ricordi mi passavano per la testa mentre cercavo di capire com’era successo, perché proprio lui…
Salutai Alice con un ciao pieno di dolore, lei lo capì subito, sapeva che avrei tenuto tutto il dolore dentro e non voleva attaccare, voleva starmi vicino, ma io appesi il telefono. Continuava a chiamarmi, il telefono continuava a squillare ma io non lo sentivo ero troppo preso nei miei pensieri. Tornarono a casa i miei zii dal mare gli raccontai tutto, volevo tornare a casa ma loro non volevano lasciarmi andare, zia si offrì di tornare con me mentre lo zio e la zia Giada avrebbero continuato le vacanze per non perdere i soldi spesi, mancava ancora una settimana di vacanza, ma lo zio non voleva assolutamente.
Rabbia, dolore, odio dentro di me: il mio grande amico all’obitorio e io al mare! 
Il giorno dopo l’articolo sul giornale!

AUTO CONTRO MOTO: MUORE DICIOTTENNE

“Schianto all’incrocio tra le vie Cadorna e XX Settembre. Il giovane ha donato le cornee. In sella alla sua Aprilia 125, andava incontro a una serata in compagnia degli amici, dopo la consueta partita di pallone all’oratorio. Era felice, l’altra sera, verso le 22, A. C., 18 anni compiuti alla fine di luglio. Aveva appena ricevuto il consenso a raggiungere i nonni, in Sicilia, per una settimana di ferie prima di riprendere il lavoro, ai primi di settembre. E il suo entusiasmo, la sua gioia di vivere, sembrava riflettersi in quella tranquilla serata estiva. Poi d’improvviso lo schianto. Il sorriso di Alessandro si spegne sull’asfalto dell’incrocio tra viale Cadorna e via XX  Settembre, dopo un tremendo impatto con una Ford Fiesta, che manda letteralmente in frantumi la moto e proietta il giovane a parecchi metri di distanza. A nulla vale la protezione del casco: i soccorritori del 118 lo raccolgono in condizioni disperate. Il ragazzo spira poco più tardi al pronto soccorso dell’ospedale. I primi ad intuire la tragedia sono gli amici che lo attendono come ogni sera al punto di ritrovo, vicino a palazzo Gilardoni. All’urlo delle sirene del’ambulanza  accorrono, si affanno, impietriscono. Poco dopo tocca ai genitori, sconvolti, apprendere la tremenda verità: il loro Alessandro non c’è più! Eppure, trafitti dal dolore così grande, sono proprio loro a trovare la forza di un estremo gesto di solidarietà umana e civile, fornendo il consenso al prelievo delle cornee del loro primogenito, convinti che in questo modo qualcosa di lui possa continuare a vivere. L’operazione, che presto ridarà la luce a chi da tempo non può vedere, viene eseguita qualche ora più tardi dai medici dell’ospedale cittadino, col nulla osta del sostituto procuratore di turno T. M. Ieri, intanto, all’obitorio dove è stato composto il corpo di Alessandro, è stato un susseguirsi di  giovani e giovanissimi  increduli e con le lacrime agli occhi. Gli amici dell’oratorio San Luigi, i giovani che con lui dividevano la passione per  il calcio e la musica, non hanno voluto lasciarlo solo. E si sono stretti alla mamma, e alla sorellina tredicenne, ai tanti parenti, alla nonna partita immediatamente da Messina e giunta in giornata a Busto Arsizio per abbracciare un’ultima volta il nipote. Un ragazzo solare, ripetono tutti, un ragazzo che sapeva affrontare la vita con la giusta dose di ottimismo e di buon senso, e che proprio per questo era diventato per tanti amici un solido e importante punto di riferimento.  La famiglia C. risiede in un palazzo in via L., a poche centinaia di metri dal luogo dell’incidente. Entrambi i genitori sono impiegati alle poste; Alessandro terminata la scuola dell’obbligo aveva subito trovato lavoro in una ditta di Cassano Magnago, specializzata in serigrafie su metallo, dove si impegnava con gran serietà ormai da più di due anni. “Era soddisfatto del suo lavoro, ricorda la zia soprattutto negli ultimi tempi, visto che era anche passato di grado. Aveva tanti progetti in futuro!” Già, i progetti. Sognava una vettura tutta sua, Alessandro. E stava risparmiando con fatica per potersela acquistare, adesso che aveva compiuto i diciotto anni. Nel frattempo c’era la sua Aprilia 125, che usava con grande attenzione. Anche martedì sera, infatti, mentre da viale Cadorna si stava dirigendo verso il comune, dopo aver accompagnato a casa un amico, portava il casco, allacciato regolarmente. L’urto con la Ford Fiesta, che da viale Duca D’Aosta, stava svoltando in via XX Settembre è stato però inevitabile: la moto si è praticamente disintegrata, mentre il giovane è stato sbalzato lontano. Ferita seppure lievemente, anche la conducente dell’auto: la donna 69 anni, residente a Busto Arsizio, è stata soccorsa in stato di choc e trasportata all’ospedale di Gallarate. Per accertare le cause della tragedia e quindi ricostruire con esattezza la dinamica del gravissimo incidente sono in corso i rilievi dei vigili urbani, immediatamente accorsi sul posto. Intanto la procura Bustese ha disposto il sequestro dei due veicoli coinvolti; nelle prossime ore sarà anche eseguita l’autopsia sul corpo del giovane. Solo dopo il nulla osta del magistrato potrà quindi essere fissata la data dei funerali. Per il momento resta solo il dolore. Tremendo, profondo, insanabile. Come il vuoto che si è scavato nel cuore della famiglia.”


32  RIMPIANTI E AMAREZZE

Arrivò  il giorno del funerale, la chiesa era stracolma, Alessandro era amato da tutti. Mancavo solo io, i miei zii non mi avevano permesso di tornare, neanche l’ultimo  saluto al mio grande amico, il mio fratello acquisito.
Mi tornarono in mente tutti i momenti belli passati insieme, non mi sentivo a posto con la coscienza. Il rientro a Busto delle vacanze fu il peggiore, andai subito in oratorio per saperne di più, appena entrai il silenzio, Alessandro aveva lasciato un vuoto incolmabile: la sua voce, il suo sorriso, la sua voglia di vivere e di spaccare il mondo, non c’erano più.
Mi recai al cimitero a trovarlo, per dargli l’ultimo saluto, quello che non avevo potuto dargli prima. Avrei voluto riabbracciarlo per l’ultima volta!  La tomba era sempre piena di amici, colleghi e fiori, quando fui lì davanti ebbi i sensi di colpa e i rimorsi per non esserci stato il giorno del funerale, rimorsi che porterò sempre nel mio cuore, come per Alessandro che avrà sempre un posto dentro di me.
Giorno dopo giorno il dolore aumentava, mi mancava sempre di più, mi mancava la persona che mi faceva sempre ridere, che mi faceva sfogare, che mi tirava fuori dai guai, mi mancava l’amico spensierato e allegro, mi mancavano i nostri giretti in centro a rimorchiare le ragazze, mi mancavano le serate a parlare e i weekend in sella ai nostri motorini per raggiungere il lago. Mi mancava tutto di lui, in compagnia non era più la stessa cosa senza di lui, avevamo perso la voglia di fare tutto. Ogni giorno che ci vedevamo la prima cosa che facevamo era andarlo a trovare al cimitero, come se lui fosse ancora qui con noi, stavamo là con lui ore a parlare tutti insieme, c’era anche la mamma Piera e la sorellina Paola. La mamma si era affezionata tantissimo a noi ragazzi, tanto che per non lasciarla mai sola passavamo le intere giornate con lei, la  sera  ci invitava sempre a cena da loro; la casa era sempre piena, per noi era diventato un punto di riferimento. Eravamo sempre nella  cameretta di Alessandro e un muro della stanza era pieno di firme, dediche che tutti quelli che passavano di li  gli lasciavano, passavamo ore e ore dentro quella stanza. Ormai il nostro punto di ritrovo era lì. Piera ci dava la forza per continuare, per guardare avanti perché diceva che lui avrebbe voluto così e noi ovviamente  la  davamo a lei.
Piera era molto preoccupata per la figlia Paola perché il colpo per lei era  stato tremendo essendo la più piccola, non voleva più uscire di casa, non voleva più fare nulla, non voleva più vivere. Così un girono, Piera ci disse che dovevamo aiutarla a far riprendere Paola, a farle trovare la forza, perché lei era legatissima al fratello. Il padre di Alessandro li aveva abbandonai da piccoli e Alessandro per Paola era  stato come un papà; era lui l’uomo di casa. Così noi tutti i giorni dopo la solita visita da Alessandro passavamo a casa di Piera a salutarla e a prendere con forza Paola per farla uscire.
Fu davvero dura perché tutti i giorni dovevamo alzarla di peso, finchè una domenica mentre noi ragazzi stavamo giocando a pallone in campo, e le ragazze erano fuori a parlare  vedemmo Paola  che entrò in oratorio da  sola con le sue gambe. Eravamo riusciti a  tirarla  fuori.
La vita stava tornando alla normalità, ci stavamo riprendendo tutti da quel duro colpo, le giornate riprendevano come  sempre tra lavoro, oratorio, calcio, e compagnia. Nei weekend, visto che l’estate era finita, andavamo a trovare Alessandro, passavamo a trovare Piera e a prendere Paola  che aveva ripreso la voglia di vivere.
Io con Paola mi attaccai molto di più, cercavo sempre di starle vicino in qualsiasi momento, cercavo sempre di non lasciarla da sola, cercando di strapparle un sorriso come suo fratello faceva con me, la vedevo come una sorellina più piccola. Un giorno però accadde una cosa che non avrei mai pensato; io e Paola eravamo come sempre in oratorio con tutto il gruppo a parlare, chi sui motorini chi sul muretto e io e lei eravamo sempre attaccati, tanto che gli altri amici del gruppo ci dicevano sempre di metterci insieme (io non volevo perché lo vedevo come un torto nei confronti di  Alessandro), quel giorno io e Paola eravamo abbracciati come sempre, ad un certo punto lei mi guardò... non so se per quello che stavo facendo, non so se per amore, ma resta il fatto che  ci baciammo. In quel momento vidi in lei, una gioia mai vista, i suoi occhi brillavano e aveva un sorriso che fino quel giorno non avevo mai visto. I ragazzi della compagnia fecero partire un’ovazione e le ragazze esclamarono: “Era ora!” Da quel giorno io e lei ci mettemmo insieme.
Piera, quando venne a  saperlo mi chiamò subito per ringraziarmi per quello che avevo fatto,  mi ricordo che mi disse: “Grazie per quello che hai fatto e stai facendo per noi, non vedevo Paola così contenta ormai da tanto. Pensa che quando è tornata a casa ha detto: “Mamma sono ubriaca d’amore!” Io le dissi che non avevo fatto nulla  di che, avevo solo cercato di aiutarla ad uscire da un incubo e poi era scattato tutto così per caso. Da quel giorno, anche il rapporto con Piera  diventò più intenso e grande, mi trattava come un figlio e io dopo il lavoro, ero sempre a casa loro.

lunedì 20 aprile 2020

CAPITOLO 29, CAPITOLO 30



29  GRAZIE AMICI

Finite le vacanze si doveva tornare alla vita normale tra casa, lavoro, amici, calcio e ovviamente ragazze. Ora potevo tornare a divertirmi alla luce del sole senza nascondere nulla.

Un giorno, andando in giro per il centro, incontrai Matilde, una ragazza che frequentava la mia stessa scuola. Era una ragazza che, ai tempi, mi faceva il filo, ora era in giro con il suo fidanzato Daniele. Io e lei ci fermammo a parlare e mi diede un bacio sulla guancia, lui non la prese molto bene però non disse nulla. Ci salutammo, dieci minuti dopo ci incontrammo di nuovo, sembrava che l’avesse fatto apposta perché mi guardava con due occhioni enormi, io la riguardai e le sorrisi ma ad un certo punto Daniele mi disse: “Che … hai da guardare?” Io gli risposi: “Perché non posso guardare Matilde!” Lui ribatte subito: “No perché è la mia ragazza e se la guardi ancora finisce male!” Io mi avvicinai a loro, lei si mise in mezzo e ci disse di non litigare, di lasciare stare. Mi guardò e disse: “Dai fai finta di nulla, ti prego” Lui, vedendo che lei teneva più a me che a lui, si mise testa a testa!
No-no, questo non doveva proprio farlo. Quando uno si mette testa a testa con me, mi si chiude la vena ed esce il terrone che c’è in me!
Lui, vedendo che stavo iniziando ad alterarmi chiamò subito i suoi amici,  ovviamente io gli dissi: “Cos’è? Fai tanto il gradasso e poi chiami gli amici!” Ma lui disse che era solo per precauzione, che voleva vedere come me la sarei cavata. Così, in quel momento io chiamai un mio amico, Rodolfo, che si precipitò subito lì. Quando arrivarono i suoi amici, vidi che erano tutti quelli della compagnia con cui uscivo, e quando videro che Daniele si voleva mettere contro di me gli dissero che era meglio lasciarmi stare. Rodolfo si mise a ridere, questo fece alterare molto Daniele così, vedendo che con me non avrebbe potuto fare nulla perché era rimasto solo, se la prese con lui.
Si avvicinò e si mise testa a testa con Rodolfo ma a quel punto intervenni io dicendogli che i miei amici non doveva toccarli nessuno e gli tirai una testata. Da lì iniziammo a picchiarci di brutto, ad un certo punto Rodolfo, vedendo che Daniele ne stava prendendo tante ed era abbastanza conciato, cercò di fermarmi ma non ci riuscì. Dovettero  fermarmi in cinque cercando di calmarmi. Lui rialzandosi disse che mi ero messo nei guai prese e scappò via. Matilde prima di andare da lui, mi diede un bacio sulla guancia e mi ringraziò, poi andò via.
Alla fine Rodolfo mi riaccompagnò a casa. Sembrava tutto finito quando, ad un certo punto dopo cena mi arrivò una chiamata con un numero privato sul cellulare, era un amico più grande di Daniele che mi disse: “Fra dieci minuti fatti trovare in fondo alla via dell’oratorio da solo!” Io gli risposi che non sarei andato perché non volevo casini. Lui mi rispose: “E’ meglio che ti fai trovare, perché se non vieni tu, ti trovo io e non ti rialzi più!” A quel punto  decisi di andare ma non solo. Chiamai Rodolfo e Max e andai al luogo dell’incontro; la via dell’oratorio, dove ci dovevamo trovare, è una via buia dove non passa mai nessuno.
Appena arrivai vidi due persone che venivano verso di noi, ad un certo punto una di queste mi disse: “Ti avevo detto di venire da solo!” Io ovviamente risposi: ” Per chi mi hai preso, secondo te  vengo da solo!” Il suo amico tenne Max e Rodolfo lì con lui, mentre  io andai più distante con questo ragazzo. Mi chiese cos’era successo, io gli spiegai com’erano andati i fatti. Daniele gli aveva  raccontato una bugia, dicendo che l’avevamo picchiato in due.  Ad un certo punto, questo ragazzo mise la mano in tasca ed estrasse una pistola!
Io a quella vista  diventai bianco cadaverico, non avevo più parole, non riuscivo più a parlare, lui mi mise le braccia sulle spalle appoggiandomi la pistola vicino l’orecchio sinistro. Iniziò a parlarmi, dicendomi che non dovevo più permettermi di toccare Daniele, che la prossima volta me l’avrebbe fatta pagare, non mi sarei salvato. Mi disse che mi ero salvato solo perché ero andato lì con i miei due amici altrimenti sarebbe finita male, ad un certo punto sparò un colpo per terra. Io a quel punto non capivo più nulla, e non sentivo più nulla. Mi disse che quello era un avvertimento, poi chiamò il suo amico e se ne andò. Max e Rodolfo corsero da me e mi chiesero, cos’era quel petardo. Io gli raccontai tutto facendogli vedere il bossolo che era rimasto lì per terra. Mi portarono subito via cercando di tranquillizzarmi, mi ero salvato grazie alla loro presenza. Per un mese intero non sentii più nulla dall’orecchio sinistro, mio zio era preoccupato io gli avevo raccontato che mi era scoppiato un petardo vicino all’orecchio, non era nulla di grave. Lui voleva portarmi a far vedere ma dopo un mese mi tornò l’udito. Ovviamente non raccontai nulla a mio fratello perché altrimenti sarebbe intervenuto lui!


30  VACANZE A SCALEA

Arrivate le vacanze di Natale, tornai da mio padre e i miei fratelli, ero contento perché non avendo passato le vacanze estive con loro finalmente li potevo rivedere e gli potevo raccontare tutto, finalmente potevo rivedere anche i miei amici della Trekka. Feci dal 22 dicembre al 7 gennaio a Milano perché la ditta era chiusa per ferie.
Le giornate si svolgevano con i miei amici giocando a calcio, ogni tanto baciavo qualche ragazza del quartiere, insomma… tutto nella norma fino al rientro a Busto.
Quest’anno lavorativo non riservava tante novità, passò anche la Pasqua che trascorsi sempre a Milano fino a giungere di nuovo alle vacanze estive.

Anche quest’anno io e i miei zii avevamo deciso di fare tre settimane di mare, a Scalea in Calabria.
Di conseguenza niente Milano o meglio, siccome la ditta come sempre chiudeva per un mese, facevo la prima settimana  con papà, fratelli e amici milanesi, in modo da passare del tempo anche con loro e poi tornavo a Busto per partire per il mare. Ovviamente prima di partire per il mare avevo tre giorni da poter passare con la mia compagnia di Busto, e visto che tutti avevamo moto e motorini andavamo nei laghi come facevamo nei weekend.
Ricordo che Alessandro, avendo un anno in più di me e quindi avendo già diciotto anni, era contentissimo perché al rientro delle vacanze si sarebbe iscritto per fare la patente. Infatti l’assicurazione delle moto era scaduta e la mamma Piera non voleva rinnovargliela perché sarebbe stato un costo inutile avendo poi la macchina. Ma lui riuscì a convincerla dicendo che tanto sarebbe stato l’ultimo anno, così poteva venire anche lui al lago con la sua moto. Nessuno poteva immaginarsi che quelli sarebbero stati gli ultimi giorni insieme.
Il giorno prima di partire, come sempre, stemmo fuori tutto il giorno in modo da salutarci e darci appuntamento al rientro delle vacanze.

Tutto pronto io, zia e zio in macchina con destinazione Scalea, come sempre con soste all’autogrill. Quell’anno mio zio, aveva convinto zia Giada a venire in vacanza con noi, quindi prima di arrivare a destinazione, ci fermammo a Pagani un giorno per fare la sosta e il giorno dopo riprendere il viaggio con lei.
Quell’anno non fu una vacanza eccezionale anzi, fu una vacanza da cancellare per diversi motivi… il  primo era perché il posto era bruttissimo e non c’era nulla, infatti io non andavo mai al mare con i miei zii perché non mi piaceva, piuttosto stavo tutto il giorno in casa o andavo in giro per il centro. Zia rimase male da questa situazione perché vedeva che non mi stavo divertendo, ma io le dissi di non preoccuparsi per me.
Ricordo, che la notte di San Lorenzo successe una cosa stranissima; io, come ogni sera, mi ero messo sul balcone a guardare le stelle e quella notte vidi una stella cadente,  espressi il desiderio di incontrare una ragazza per cercare di animare la vacanza. Il giorno dopo. caso, fortuna, o magia, mentre scendevo per il mio giretto quotidiano incontrai una ragazza. Si chiamava Serena, aveva capelli castani, occhi marroni, era di origini napoletane e aveva ventisei anni. Io ne avevo solo diciassette, ma i nostri sguardi si attrassero; da quel giorno uscivamo insieme, andavamo al mare insieme, praticamente iniziai ad animare un po’ la vacanza, ovviamente io essendo più piccolo di lei ero un po’ il suo giocattolo, però io non mi tirai indietro, avere una storia con una ragazza più grande mi eccitava e in più iniziavo finalmente a divertirmi. 
Ma un giorno accadde quello che non avrei mai voluto accadesse!


giovedì 16 aprile 2020

CAPITOLO 27, CAPITOLO 28



27  CHE PUGNALATA

Un giorno finii di lavorare presto perché feci l’orario continuato, erano le 16:00 così decisi di fare una sorpresa ad Alice. Uscito dal lavoro, andai a casa sua come sempre, suonai il campanello per entrare, Alice mi aprì il cancelletto ma mi fermò sul balcone facendomi domande: “Come mai hai finito di lavorare così presto?” Così le spiegai che avevo fatto il continuato, la sua faccia era strana, era come se avesse visto un fantasma, mi tenne a parlare sul balcone per cinque minuti… io non capivo. Ad un certo punto quando stavamo per entrare, arrivò sua mamma e anche lei mi tenne sul balcone chiedendomi come mai avessi finito così presto… non capivo come mai tante domande. Poi  finalmente entrammo, però  vedevo che era strana, c’era qualcosa che non andava invece di essere contenta della sorpresa che le avevo fatto era preoccupata. Mi nascondeva qualcosa. Ma cosa?
Le chiesi di uscire in modo che potessimo parlare da soli e che mi potesse spiegare cosa c’era che non andava. Lei, continuava a dire che era tutto apposto, che non c’era nulla, ma ad un certo punto mi disse: “Ieri, è stato qui Lino, (il suo ex) dicendomi che non riesce a stare senza di me, di scegliere tra lui e te. Io ovviamente gli ho detto che sono con te e lui se ne è andato via triste!” Io subito mi arrabbiai perché non capivo come mai non me lo aveva detto prima ma poi le chiesi: “ E tu cosa vuoi, sei sicura della tua scelta?” Le dissi anche, che questa cosa però mi dava fastidio. Lei rispose che voleva me ma era solo triste per lui.
Risolta la situazione tornammo dentro, ma c’era qualcosa che non andava, la sua versione non mi convinceva perché lei rimase strana tutto il giorno. Tornando a casa continuavo a pensare a cos’era successo  finchè ad un certo punto realizzai tutto. Quando arrivai da lei dopo il lavoro, lei era strana ed era come se avesse visto un fantasma e in più lei e sua mamma mi tennero sul balcone dieci minuti abbondanti, come mai? Ecco la risposta:  perché in quel momento in casa c’era Lino, il suo ex, dovevano dargli il tempo di nascondersi giù in garage, in modo che quando entrammo lui poteva uscire da sotto senza farsi sentire (dal momento che abitavano in una villetta a schiera  su tre piani). Ora tutto quadrava, lei e Lino si continuavano a vedere, e dall’espressione che aveva lei,  sicuramente avevano ancora una storia. Questo ovviamente era la conclusione a cui ero arrivato io, sarà stato vero? Questo non posso dirlo con certezza ma che c’era qualcosa sotto, era sicuro. Inutile dire che ero arrabbiatissimo e delusissimo da lei e da sua mamma. La ragazza che avevo aiutato nei momenti peggiori della sua vita, mi stava tradendo, e io quando dovevo decidere tra lei e Vanessa piuttosto che farla soffrire, avevo rinunciato alla mia felicità per lei.
Non sapevo più come comportarmi, la sera non andai da lei perché ero troppo deluso, mi faceva le corna e non me lo diceva ma in più si faceva coprire. Allora uscii con i miei amici, inutile parlarne con loro, soprattutto con Alessandro, perché mi avrebbero detto di lasciarla.
Il giorno dopo finito di lavorare andai di nuovo da lei. Alice mi chiese come mai la sera prima  non ero andato da lei e perché non rispondevo alle sue chiamate e ai suoi messaggi, io le risposi che volevo stare con gli amici. Però si accorse subito che c’era qualcosa che non andava, ero troppo arrabbiato e deluso dal suo comportamento. Quindi continuava a farmi domande, non capiva che io avevo scoperto tutto. Decisi di non dirle nulla, di fare finta di niente, come se niente fosse accaduto, ma da quel giorno le cose tra noi, ma soprattutto il mio rapporto con le ragazze cambiarono, non avevo più rispetto di lei e della nostra storia. Decisi che di storie serie non ne volevo più, stavolta ero arrivato a un punto; la usavo solo per divertimento e basta.
Io non la lasciai ma uscivo più spesso con i miei amici e ogni tanto uscivo di nascosto con altre ragazze, divertendomi e facendole le corna, io e lei iniziammo a litigare moltissimo e lei iniziava a capire che stava finendo qualcosa, la storia non era più una storia seria e sincera… lasciarla? Non prima di farla soffrire come lei stava facendo soffrire me!


28  VACANZE E POI FINE

Le vacanze estive si avvicinavano, lavorando sta volta non erano più tre mesi di vacanza ma bensì quattro settimane. Lavorando un anno intero, avevo bisogno di sfogarmi un po’ avevo bisogno di mare e di riprendermi tutto il tempo perso.
Anche i miei fratelli crescevano e si erano fidanzati anche loro, quindi facevano le vacanze per conto loro, mio padre invece stava nell’orto con Angela, non essendo un amante del mare. Io iniziavo a passare sempre meno tempo con lui.
Quell’anno visto che lavoravo e guadagnavo i miei soldi, decisi con lo zio e la zia di fare ritorno al paesello, avevo sedici anni, era da quando avevo tre anni che non tornavo a Pagani dai parenti. Così  prenotammo le vacanze in costiera Amalfitana, a Maiori per l’esattezza, facendo tappa  prima e dopo dai parenti. Prenotai  anche per Alice, si perché in tutto questo tempo,  noi continuavamo ad essere insieme nonostante io non avevo più rispetto per lei e continuavo a tradirla. Lei nel frattempo, aveva  visto che io ero sempre più staccato e iniziava a sentire in giro anche delle voci, invece di lasciarmi capì che mi stava perdendo, così iniziò ad essere più dolce nei miei confronti, si faceva sempre bella per me e anche la sua storiella nascosta era finita. Non voleva perdermi, aveva capito di aver sbagliato e voleva rimediare. Troppo tardi, ormai mi ero messo in testa che tra noi  sarebbe finita… ma a modo mio!
Arrivò l’ultimo giorno di lavoro, il sabato andai col treno a Milano a trovare i miei fratelli e mio papà,  perché dopo tre giorni sarei partito per le vacanze estive. Quel giorno ci divertimmo molto passammo una bellissima giornata, anche se mio padre era molto triste perché iniziavo a crescere e iniziava a vedermi di meno.
Il giorno prima di partire invece, come ogni volta, uscii solo con i miei amici, tanto con Alice avrei passato quattro settimane al mare; ovviamente solo maschi quindi, giro quotidiano in centro a fare i boccaloni con le ragazze cercando di rimorchiarne qualcuna, poi cena al McDonald’s, e ancora in giro. Quella sera incontrammo un gruppetto di ragazze ed uscimmo con loro; eravamo io, Alessandro, Kevin e Patrizio (gli inseparabili). Tutti ci provavamo con le ragazze, ad un certo punto io e Ginevra, una ragazza del gruppo, ci baciammo. Il giorno dopo sarei partito con Alice!
Eccoci in macchina io, zio, zia e Alice direzione Pagani dai parenti per poi andare nell’albergo che avevamo prenotato a Maiori. Dodici ore d’auto, un caldo allucinante, una coda lunghissima, con qualche sosta all’autogrill per mangiare e andare in bagno, arrivammo da mia zia Giada a Pagani verso le otto di sera. Appena mi vide, ovviamente napoletana doc, mi corse incontro abbracciandomi e baciandomi tutto e parlandomi in napoletano stretto, di tutto quello che disse capii solo che ero diventato un bel ragazzo: “Che bel uaglion che teng!” Ci fece vedere le nostre stanze, cenammo (sembrava un cenone di natale perché giù sono abituati a mangiare tanto) poi mentre i miei zii si raccontavano vita, morte e miracoli in sala sul divano, io e Alice andammo sul balcone ad ammirare la città. Ad un certo punto mentre lei si stava avvicinando per abbracciarmi io le dissi: “Una volta che torniamo a casa, finite le vacanze finirà anche la nostra storia!” Lei ci rimase, silenzio di tomba per dieci minuti, io freddo come un ghiacciolo nel dirle ciò.  Lei  voleva spiegazioni, mi chiese ovviamente il motivo di tale decisione. Io chiaramente non le raccontai tutto, le dissi solo che ero stanco di lei. Alice scoppiò a piangere, mi chiese perché l’avevo portata con me in vacanza allora. Ci pensai  perché in fondo aveva ragione, se io fossi  andato al mare da solo chissà quanto mi sarei divertito e quante ragazze avrei potuto conoscere e accalappiare, ma poi le dissi che volevo che fosse l’ultimo ricordo bello per lei. Era il primo giorno di vacanza e iniziava bene!
Il giorno dopo prima di andare al mare e quindi all’albergo, facemmo tappa da mia sorella Carmela e dai miei nipotini, che tra l’altro era la prima volta  che vedevo, passammo la giornata insieme e poi li invitammo a passare un giorno con noi al mare. Finalmente arrivammo in albergo, iniziavano ufficialmente le vacanze tra mare, piscina, serate in centro, cene fuori. Fu una vacanza spettacolare, devo essere sincero, lì non esisteva nulla di quello successo in città, i tradimenti e le delusioni, lì era solo tempo di divertirsi. Io e lei continuavamo il nostro rapporto insieme, continuando anche ad andare a letto insieme. Ovviamente non era tutto rosa e fiori perché io dovevo rimanere un po’ distaccato altrimenti non sarei mai riuscito poi a mollarla e quindi  c’erano giorni che litigavamo. Intanto arrivò il giorno in  cui mia sorella con il marito e i nipotini vennero a trovarci, con loro  venne anche zia Giada perché quel giorno era il compleanno di mio zio, il 27 agosto. Passammo una giornata fenomenale.
I giorni passavano in fretta, le vacanze giungevano al termine, Alice era sempre più legata a me perché sapeva che una volta tornati a casa io l’avrei mollata ma lei non voleva perdermi; cercava sempre di  conquistarmi con parole, regali, chiedendomi scusa per tutto, ma io, sempre freddo come ghiacciolo, non volevo saperne anche se non lo davo a vedere. Lei ci sperava tantissimo infatti pensava che alla fine saremmo rimasti insieme.
Vacanze finite, pronti per far rientro a casa prima però ci fermammo due giorni a casa di zia Giada, passando anche da mia sorella.
Ricordo che una mattina mia zia si alzò alle cinque del mattino per mettersi a preparare delle pietanze  che ci avrebbe fatto portare a casa. Io mi alzai alle sette e mi misi ad aiutarla a fare la pasta fresca. Orecchiette, linguine, tanti tipi di pasta  tutti fatti a mano, che avremmo portato a casa mentre invece mia sorella Carmela ci aveva dato frutta e verdura del suo orto, ricordo che i limoni di San Marzano sembravano dei meloni.
Una vota arrivati a casa dopo le solite dodici ore d’auto tra caldo, coda e fermandoci sempre all’autogrill per mangiare e andare in bagno, accompagnammo Alice a casa sua, nel tragitto lei mi stava appiccicata e continuava a baciarmi e stringermi perché sapeva che era l’ultimo giorno che poteva farlo. Una volta arrivati a casa sua lei scese dalla macchina e mi disse: “Ci vediamo domani allora?”  Ma io la guardai profondamente e mossi solo la testa facendo cenno di no! Lei in quel momento capì che era tutto finito e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Una volta ripresa la vita normale nei giorni successivi, io andai da Alice solo per riprendere le mie cose, le nostre strade si divisero.

lunedì 13 aprile 2020

CAPITOLO 25, CAPITOLO 26



25  LE SCUOLE FINITE

Le scuole ormai erano finite, le nostre strade stavano per dividersi definitivamente, tranne la mia e quella di Alice che eravamo ancora insieme, ci dovevamo solo dividere per le vacanze estive. Lei al mare con i suoi genitori e io a Milano con la mia famiglia. Quell’anno ricordo che non successe nulla di eclatante a Milano, fu anche l’unico anno in cui feci il bravo con le ragazze sapendo che a casa c’era Alice che mi aspettava. O forse perché ero ancora scottato da Vanessa, infatti frequentando lo stesso oratorio, ci vedevamo spesso e ogni volta che la vedevo il mio cuore sembrava esplodere e le mie gambe facevano giacomo-giacomo[1]. Avevo ormai quindici anni,  anche quell’anno per me non ci fu il mare.
Stavolta le vacanze estive volarono in fretta, pronti per tornare a casa. Per una volta niente scuola però, sapevo che dovevo trovare un lavoro per aiutare i miei zii in casa. Quindi mi iscrissi all’ufficio di collocamento e nelle agenzie per il lavoro. Rispetto alla mia compagnia non avevo ancora il motorino perché mio zio aveva paura a farmelo comprare e non voleva, così gli spostamenti erano con la bicicletta; era difficilissimo trovare un lavoro a soli quindici anni con la bici.
Arrivammo così fino a Natale, che passai a Milano come ogni anno con la mia famiglia, e arrivò anche il giorno del mio compleanno. Il 16 gennaio compii sedici anni, stavo crescendo a vista d’occhio. Un giorno andando agli allenamenti di calcio, il mio allenatore che lavorava con suo papà in una ditta tessile, mi disse che stavano cercando un operaio, se volevo lavorare per lui. Ovviamente accettai subito, non sapendo che non bisogna mai andare al lavoro con un amico perché se dovesse succedere un piccolo screzio rovini anche un’amicizia. Così purtroppo accadde dopo due mesi di lavoro litigammo, io presi e me ne andai. Presi il mio primo stipendio di 500 mila lire. Con quei soldi, visto che era difficilissimo trovare un lavoro avendo solo la bicicletta per potersi spostare, convinsi mio zio a comprare un motorino. Comprai un Booster Spirit dal mio amico Max, io e lui avevamo un amicizia unica, profonda, ci eravamo conosciuti in chiesa alle elementari, e avevamo fatto le medie nella stessa classe.  Tutte le domeniche mattina andavo a casa sua, facevamo colazione insieme con la sua famiglia e poi andavamo in chiesa, eravamo come due fratelli.
 Bellissimo, finalmente avevo un motorino e così arrivò subito un lavoro: carpentiere metalmeccanico, in pratica il fabbro. Finalmente girava tutto col piede giusto: ragazza, motorino, amici e soldi per aiutare in casa.
Durante l’anno lavorativo, finito il lavoro uscivo con Alice allontanandomi un po’ dalla compagnia perché lei era molto gelosa e possessiva, mi voleva tutto per lei. Anche il calcio stava iniziando a sparire infatti passarono diverse squadre interessate a me a cui per lei dovetti rinunciare. Il problema è che i treni nella vita ti passano davanti una volta sola.


26  UN TESORO

Decisi una volta per tutte di chiarire le cose con Alice, io rimanevo con lei, ma non dovevo rinunciare nè al C.S.I. (visto che ormai i treni erano passati) nè soprattutto non dovevo rinunciare ai miei amici. Siccome lei andava a scuola e io al lavoro, ci vedevamo una volta che io avevo finito di lavorare, e poi la sera dopo cena. Il sabato partite di calcio e domenica in oratorio con lei e gli amici, le regole erano queste altrimenti ognuno per la sua strada. Noi eravamo una compagnia che non stava mai ferma,  avendo tutti moto e motorini, ogni domenica  andavamo in giro e quando era bello andavamo nei diversi laghi a fare il bagno e prendere il sole.
Tra questi amici c’era pure Alessandro, vi ricordate che ve ne avevo parlato? Lui era il mio migliore amico. Come dice il proverbio: “chi trova un amico, trova un tesoro”. Ci eravamo conosciuti qualche anno prima in oratorio, i nostri primi incontri non furono dei più piacevoli,  infatti io e lui litigavamo spesso e quando facevamo le partitelle tra di noi o in allenamento perché giocavamo insieme, ci continuavamo a fare fallacci e a dare spintoni, finchè una domenica io e lui litigammo pesantemente. A un tratto mi disse: “Perché invece di continuare a litigare non diventiamo amici?”
Da quel giorno diventammo grandi amici, facevamo praticamente tutto insieme. Alessandro era un ragazzo pieno di grinta, aveva diciassette anni era un anno più grande di me. Anche lui aveva un po’ di problemi familiari, forse era proprio questo che ci univa tanto. Avevamo lo stesso carattere, ci nascondevamo dietro una corazza, il nostro modo di difenderci. Lui era soprannominato Spider Man  perché non aveva paura di nulla, si arrampicava dappertutto sugli alberi e sui tetti, andava con la moto in cava, cadeva e si rialzava, sembrava fatto di gomma, non si fermava mai davanti a nulla. La paura gli faceva il solletico.  Era sempre pronto ad aiutare gli amici in qualsiasi momento, se vedeva un amico in difficoltà o giù di morale, lui passava tutto il giorno con lui a farlo parlare, sfogare, dandogli consigli, e alla fine riusciva sempre a strappargli un sorriso. Non l’ho mai visto arrabbiato o deluso, o anche quando lo era aveva sempre il sorriso stampato in faccia, trovava sempre il motivo e il modo per riderci sopra. Pensate che un giorno giocando tra di noi sul campo dell’oratorio, il nostro campo era in cemento, un altro ragazzo, Cesare, gli fece uno sgambetto da dietro. Alessandro finì a terra picchiando il ginocchio destro, rompendosi i legamenti ed essendo costretto a operarsi. Dovette  andare in giro per sei mesi  col tutore di ferro, e gli altri sei mesi di riabilitazione. Ma anche quel giorno nonostante era arrabbiatissimo con Cesare, perché sapeva che la stagione calcistica al C.S.I. era  finita, riuscì a trovare il modo per riderci sopra. Ricordo che Alessandro non poteva giocare a calcio, avendo la protesi di ferro e la mamma non voleva assolutamente che entrasse in un campo di calcio. Così agli allenamenti ci veniva a guardare ma, di nascosto dalla mamma preparava la borsa e entrava in campo ad allenarsi. Ovviamente l’allenatore lo richiamava sempre,  ma non c’era verso di farlo uscire dal campo, lui  rideva e continuava. Passati i primi sei mesi  tolse il tutore.
Alessandro aveva due moto: la mito gialla e la moto che usava per andare in cava. Un giorno tornando dal lavoro e venendo  in oratorio, Alessandro fece un incidente, la moto era distrutta.  Quando ce lo raccontò noi eravamo spaventati per lui, volevamo sapere come stava ma lui, come sempre col sorriso sulle labbra, disse che non dovevamo preoccuparci che era una roccia, che era praticamente indistruttibile.
Lui lavorava già da due  anni e doveva comprare un mezzo per andare al lavoro. Per i primi tempi andò  con la moto che usava per andare in cava finchè un giorno con i soldi dell’assicurazione dell’incidente, si comprò di nuovo una Mito ma sta volta nera, era la sua moto preferita. La trattava come un gioiello, meglio di una ragazza, mi ricordo che la baciava anche. Alessandro un giorno, si accorse che la mia storia con Alice non era proprio rose e fiori, vedeva che non ero felice, vedeva che mi mancava qualcosa. Capì subito che mi sentivo soffocare con lei, che non ero più io, così un sabato ci sedemmo a parlare al tavolino del bar, mi parlò facendomi  sfogare, alla fine capì che io volevo lasciare Alice ma non riuscivo perché lei aveva già sofferto troppo, non volevo soffrisse ancora e temevo che avrebbe fatto una stupidata. La sua risposta fu: “Non puoi stare con una persona solo perché hai paura di farla soffrire, perché allora soffrirai tu togliendoti la tua felicità!” Me lo ricordo come fosse ieri. Alla fine riuscì come sempre a farmi ridere e tornammo a giocare fuori. Lui sapeva benissimo che  io non avrei trovato lo stesso il coraggio per lasciarla.


[1] si dice quando senti che cedono

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...