lunedì 13 aprile 2020

CAPITOLO 25, CAPITOLO 26



25  LE SCUOLE FINITE

Le scuole ormai erano finite, le nostre strade stavano per dividersi definitivamente, tranne la mia e quella di Alice che eravamo ancora insieme, ci dovevamo solo dividere per le vacanze estive. Lei al mare con i suoi genitori e io a Milano con la mia famiglia. Quell’anno ricordo che non successe nulla di eclatante a Milano, fu anche l’unico anno in cui feci il bravo con le ragazze sapendo che a casa c’era Alice che mi aspettava. O forse perché ero ancora scottato da Vanessa, infatti frequentando lo stesso oratorio, ci vedevamo spesso e ogni volta che la vedevo il mio cuore sembrava esplodere e le mie gambe facevano giacomo-giacomo[1]. Avevo ormai quindici anni,  anche quell’anno per me non ci fu il mare.
Stavolta le vacanze estive volarono in fretta, pronti per tornare a casa. Per una volta niente scuola però, sapevo che dovevo trovare un lavoro per aiutare i miei zii in casa. Quindi mi iscrissi all’ufficio di collocamento e nelle agenzie per il lavoro. Rispetto alla mia compagnia non avevo ancora il motorino perché mio zio aveva paura a farmelo comprare e non voleva, così gli spostamenti erano con la bicicletta; era difficilissimo trovare un lavoro a soli quindici anni con la bici.
Arrivammo così fino a Natale, che passai a Milano come ogni anno con la mia famiglia, e arrivò anche il giorno del mio compleanno. Il 16 gennaio compii sedici anni, stavo crescendo a vista d’occhio. Un giorno andando agli allenamenti di calcio, il mio allenatore che lavorava con suo papà in una ditta tessile, mi disse che stavano cercando un operaio, se volevo lavorare per lui. Ovviamente accettai subito, non sapendo che non bisogna mai andare al lavoro con un amico perché se dovesse succedere un piccolo screzio rovini anche un’amicizia. Così purtroppo accadde dopo due mesi di lavoro litigammo, io presi e me ne andai. Presi il mio primo stipendio di 500 mila lire. Con quei soldi, visto che era difficilissimo trovare un lavoro avendo solo la bicicletta per potersi spostare, convinsi mio zio a comprare un motorino. Comprai un Booster Spirit dal mio amico Max, io e lui avevamo un amicizia unica, profonda, ci eravamo conosciuti in chiesa alle elementari, e avevamo fatto le medie nella stessa classe.  Tutte le domeniche mattina andavo a casa sua, facevamo colazione insieme con la sua famiglia e poi andavamo in chiesa, eravamo come due fratelli.
 Bellissimo, finalmente avevo un motorino e così arrivò subito un lavoro: carpentiere metalmeccanico, in pratica il fabbro. Finalmente girava tutto col piede giusto: ragazza, motorino, amici e soldi per aiutare in casa.
Durante l’anno lavorativo, finito il lavoro uscivo con Alice allontanandomi un po’ dalla compagnia perché lei era molto gelosa e possessiva, mi voleva tutto per lei. Anche il calcio stava iniziando a sparire infatti passarono diverse squadre interessate a me a cui per lei dovetti rinunciare. Il problema è che i treni nella vita ti passano davanti una volta sola.


26  UN TESORO

Decisi una volta per tutte di chiarire le cose con Alice, io rimanevo con lei, ma non dovevo rinunciare nè al C.S.I. (visto che ormai i treni erano passati) nè soprattutto non dovevo rinunciare ai miei amici. Siccome lei andava a scuola e io al lavoro, ci vedevamo una volta che io avevo finito di lavorare, e poi la sera dopo cena. Il sabato partite di calcio e domenica in oratorio con lei e gli amici, le regole erano queste altrimenti ognuno per la sua strada. Noi eravamo una compagnia che non stava mai ferma,  avendo tutti moto e motorini, ogni domenica  andavamo in giro e quando era bello andavamo nei diversi laghi a fare il bagno e prendere il sole.
Tra questi amici c’era pure Alessandro, vi ricordate che ve ne avevo parlato? Lui era il mio migliore amico. Come dice il proverbio: “chi trova un amico, trova un tesoro”. Ci eravamo conosciuti qualche anno prima in oratorio, i nostri primi incontri non furono dei più piacevoli,  infatti io e lui litigavamo spesso e quando facevamo le partitelle tra di noi o in allenamento perché giocavamo insieme, ci continuavamo a fare fallacci e a dare spintoni, finchè una domenica io e lui litigammo pesantemente. A un tratto mi disse: “Perché invece di continuare a litigare non diventiamo amici?”
Da quel giorno diventammo grandi amici, facevamo praticamente tutto insieme. Alessandro era un ragazzo pieno di grinta, aveva diciassette anni era un anno più grande di me. Anche lui aveva un po’ di problemi familiari, forse era proprio questo che ci univa tanto. Avevamo lo stesso carattere, ci nascondevamo dietro una corazza, il nostro modo di difenderci. Lui era soprannominato Spider Man  perché non aveva paura di nulla, si arrampicava dappertutto sugli alberi e sui tetti, andava con la moto in cava, cadeva e si rialzava, sembrava fatto di gomma, non si fermava mai davanti a nulla. La paura gli faceva il solletico.  Era sempre pronto ad aiutare gli amici in qualsiasi momento, se vedeva un amico in difficoltà o giù di morale, lui passava tutto il giorno con lui a farlo parlare, sfogare, dandogli consigli, e alla fine riusciva sempre a strappargli un sorriso. Non l’ho mai visto arrabbiato o deluso, o anche quando lo era aveva sempre il sorriso stampato in faccia, trovava sempre il motivo e il modo per riderci sopra. Pensate che un giorno giocando tra di noi sul campo dell’oratorio, il nostro campo era in cemento, un altro ragazzo, Cesare, gli fece uno sgambetto da dietro. Alessandro finì a terra picchiando il ginocchio destro, rompendosi i legamenti ed essendo costretto a operarsi. Dovette  andare in giro per sei mesi  col tutore di ferro, e gli altri sei mesi di riabilitazione. Ma anche quel giorno nonostante era arrabbiatissimo con Cesare, perché sapeva che la stagione calcistica al C.S.I. era  finita, riuscì a trovare il modo per riderci sopra. Ricordo che Alessandro non poteva giocare a calcio, avendo la protesi di ferro e la mamma non voleva assolutamente che entrasse in un campo di calcio. Così agli allenamenti ci veniva a guardare ma, di nascosto dalla mamma preparava la borsa e entrava in campo ad allenarsi. Ovviamente l’allenatore lo richiamava sempre,  ma non c’era verso di farlo uscire dal campo, lui  rideva e continuava. Passati i primi sei mesi  tolse il tutore.
Alessandro aveva due moto: la mito gialla e la moto che usava per andare in cava. Un giorno tornando dal lavoro e venendo  in oratorio, Alessandro fece un incidente, la moto era distrutta.  Quando ce lo raccontò noi eravamo spaventati per lui, volevamo sapere come stava ma lui, come sempre col sorriso sulle labbra, disse che non dovevamo preoccuparci che era una roccia, che era praticamente indistruttibile.
Lui lavorava già da due  anni e doveva comprare un mezzo per andare al lavoro. Per i primi tempi andò  con la moto che usava per andare in cava finchè un giorno con i soldi dell’assicurazione dell’incidente, si comprò di nuovo una Mito ma sta volta nera, era la sua moto preferita. La trattava come un gioiello, meglio di una ragazza, mi ricordo che la baciava anche. Alessandro un giorno, si accorse che la mia storia con Alice non era proprio rose e fiori, vedeva che non ero felice, vedeva che mi mancava qualcosa. Capì subito che mi sentivo soffocare con lei, che non ero più io, così un sabato ci sedemmo a parlare al tavolino del bar, mi parlò facendomi  sfogare, alla fine capì che io volevo lasciare Alice ma non riuscivo perché lei aveva già sofferto troppo, non volevo soffrisse ancora e temevo che avrebbe fatto una stupidata. La sua risposta fu: “Non puoi stare con una persona solo perché hai paura di farla soffrire, perché allora soffrirai tu togliendoti la tua felicità!” Me lo ricordo come fosse ieri. Alla fine riuscì come sempre a farmi ridere e tornammo a giocare fuori. Lui sapeva benissimo che  io non avrei trovato lo stesso il coraggio per lasciarla.


[1] si dice quando senti che cedono

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