giovedì 20 agosto 2020

CAPITOLO 83, CAPITOLO 84



83  2012/2013 IN UN LAMPO

Finita questa bellissima esperienza a Madrid, I successivi due anni passarono velocemente. Il 2012/13 non li vidi proprio. Forse anche perché non successe nulla di nuovo, tranne la magnifica vacanza estiva  a Lloret De Mar fatta sempre con Rebecca e i suoi genitori, i suoi zii e ovviamente Angelica. Quell’anno ci riprendemmo la rivincita dall’anno precedente, posto magnifico, mare incantevole, divertimento da paura. Tutte le sere uscivamo a cena dopo una meravigliosa giornata di mare, tutti insieme. E dopo cena io e Rebecca andavamo nei baretti e nelle discoteche fino a notte fonda, per far rientro non prima delle quattro. Fu una vacanza indimenticabile.

Un’altra cosa che successe  in questi anni, fu una piccola discussione che ebbi con mia sorella Camilla sotto Natale, dopo la morte di mio padre la nostra famiglia si stava pian piano allontanando, non ci vedevamo più spesso a meno che ad andare a Milano non fossi io. Loro non venivano mai a trovarmi, usando sempre tante scuse e questo mi faceva sempre male, ricevendo anche un messaggio con scritto: “Da quando è morto papà è cambiato tutto.”
Io questo messaggio non lo accettavo forse perché una famiglia deve sempre stare unita soprattutto dopo un lutto così doloroso. Fin quando dopo Natale scrissi un messaggio proprio a Camilla dicendogli: “Se dobbiamo trovarci solo il giorno di Natale per far finta che la nostra famiglia sia unita, mentre tutto il resto dell’anno non ci vediamo né sentiamo, tanto vale che non passiamo neanche il Natale insieme!” Facemmo due mesi a non sentirci più, ma poi misi da parte l’orgoglio, capii che era inutile sprecare il tempo a litigare per banalità, avremmo dovuto stare uniti almeno noi. Papà avrebbe voluto così.

Un altro episodio, comico sta volta, successe il giorno del mio ventottesimo compleanno. Decisi dopo tanto tempo che non lo festeggiavo di fare una mega festa invitando una quarantina di persone. Andammo in una pizzeria dove con 15 euro mangiavi e bevevi a go-go. Ovviamente i miei amici mi fecero bere come una spugna, non ricordo quanto vino bianco buttai giù, so solo che era la prima volta che bevevo il vino bianco. Ad un certo punto chiesi a Rebecca di portarmi fuori a prendere un po’ d’aria perchè non stavo bene, così mi prese, dovevamo fare le scale lei si mise davanti in modo che se fossi caduto mi avrebbe tenuto. Ad un certo punto persi l’equilibrio e caddi addosso a Rebecca; lei non riuscì a tenermi tanto che caddi con la faccia contro un piedistallo in ferro sbattendo forte la testa. In una frazione di secondo ero coperto di sangue Rebecca chiamò subito aiuto, mi girarono ero pieno di sangue in faccia e avevo anche perso i sensi. Dopo dieci minuti mi ripresi mi alzarono, ma appena mi alzai vomitai tutto. Pietro, Vincenzo e Rebecca mi portarono in ospedale a Busto, avevo fatto una commozione celebrale, mi medicarono l’occhio e mi lasciarono andare. Rebecca era arrabbiatissima con i medici perché disse che mi avevano trattato come un vecchio ubriacone, senza tenermi dentro per accertamenti. A prendermi fuori dall’ospedale era arrivato anche Giordano. Mi portarono a casa, mi misero a letto dopo una scena comica, almeno così mi raccontarono, perché io di quella sera non ricordo ancora nulla. So solo che continuavo a dire che il giorno dopo dovevo andare in montagna. Rebecca fece tutta la notte sveglia a controllare che non mi succedesse nulla, aveva tantissima paura. Il mattino successivo con un occhio che non si apriva neanche, convinsi sia lei che sua mamma a portarmi lo stesso a Santa Maria Maggiore.

Quell’anno ci fu anche il trasferimento del Don Nicola, dopo tredici anni passati insieme decisero che per lui, fosse arrivato il momento di cambiare aria, purtroppo è la legge dei preti.
Io quegli anni avevo costruito con lui un rapporto fatto di alti e bassi, però sotto sotto, senza darlo a vedere, ci tenevo tantissimo, gli volevo bene. Così decisi ancora una volta di scrivere un articolo su CantoNovo per ringraziarlo di essermi stato amico:

NONOSTANTE TUTTTO GRAZIE                                                                        
Dire che sono triste alla partenza del Don, sarei un’ipocrita; ma sicuramente non posso neanche dire di essere felice, anche se dall’esterno, o a sentirmi parlare potrebbe sembrare così. Forse dietro questa maschera che mi sono creato, si nasconde un velo di tristezza.        
“L’amore non è bello se non è litigarello!”
Il nostro rapporto è un po’ come quello di alcuni personaggi famosi della televisione come “Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, o come Stanlio e Olio.” Nonostante tutto oggi sapendo del suo trasferimento devo mettere da parte l’orgoglio e fermarmi un attimo a pensare, pensare a tredici anni passati insieme; ricordando i primi 4 anni del suo arrivo stupendi, la vacanza con l’oratorio a Folgaria, l’esperienza a Lourdes 2004, e le due Giornate Mondiali della Gioventù all’incontro col Papa (GMG 2005/20011). Esperienze di vita uniche, indimenticabili, che porterò sempre nel cuore!
Un rapporto che ha avuto alti e bassi, ma se oggi sono diventato il ragazzo che sono, devo ringraziare quelle poche persone che mi sono sempre state vicino nel momento del bisogno non abbandonandomi mai, e fra questi c’è anche il Don! Per tutto questo ti devo dire Grazie, e sperando che un domani le nostre strade si possano rincontrare; per raccontarci nuove esperienze, ti saluto con la frase di un celebre film: “Io speriamo che me la cavo!”
A presto con affetto
Peppuzzo.”

E poi l’ultima cosa che successe in questi anni, forse l’unica cosa negativa fu che, sia mia sorella Siria che e mia sorella Carmela dopo alcuni messaggi che ci mandammo su Facebook riguardanti l’eredità della casa di mio padre, mi risposero così: “Noi nella nostra vita abbiamo sofferto tantissimo, tu invece hai avuto sempre tutto, uno zio e una zia che ti volevano bene ma sopratutto un padre che ha fatto di tutto per te. Se siamo eredi di un piccola parte non vediamo il motivo perché dobbiamo rinunciare, è una piccola soddisfazione di tanta sofferenza”. Ho riassunto in un solo dialogo le loro parole perché in fondo dissero la stessa cosa anche se magari con parole diverse che però preferisco non scrive. So solo che scrivere di questi ultimi due anni trascorsi, mi sta riuscendo più difficile che scrivere di tutto quello che avete letto fino adesso. Forse perché sono cose che sto ancora vivendo, e non riesco ancora bene a mettere a fuoco o ad accettare. Quindi preferisco non aggiungere più nulla su questi due ultimi anni trascorsi. Mi sento invece di concludere con un pensiero personale di tutto quello che ho imparato dalla mia vita fino ad oggi.


84   MILLE DOMANDE ZERO RISPOSTE

Sicuramente avrò dimenticato di scrivere numerosi episodi della mia vita, come i nove anni consecutivi di provini al Grande Fratello, il matrimonio di mio padre con Angela, alcuni weekend o vacanze come: Pisa, Firenze, Venezia, Colfosco, ecc. Ci sarebbe stato ancora tanto da aggiungere.
Di tutto quello vissuto e che ho passato, penso di non essere stato poi così fortunato come dicono le mie sorelle. O forse sì hanno ragione loro, sono proprio fortunato perché tutto quello che mi è successo fino ad oggi, mi è servito per diventare grande prima del tempo. Non ho mai potuto essere un bambino come tanti altri che giocava, rideva, si divertiva; sono sempre stato messo alla prova fin dall’inizio.

Non ho mai saputo la verità su mia madre ancora oggi, io non sono a conoscenza di come siano andati realmente i fatti, non so il perché lei sia finita in carcere, non so perché mi mise al mondo e se ne andò, forse è vero; fu solo per cercare di evitare la galera.
So solo che in tutti questi anni lei non si è mai fatta viva!  Se la vedevo, la incontravo, le parlavo, era solo perché l’avevo cercata io. Lei era sempre scappata!
Non penso di poter chiamare una persona così mamma. La mamma è colei che ti mette al mondo e non scappa,  la mamma è la persona più importante che ci sia nella vita di un bambino, vive con te, ti allatta, ti cambia, ti culla, ti coccola, ti cura quando stai male, ti protegge quando ne hai bisogno, ti sgrida quando è il caso, è il tuo rifugio quando sei giù di morale, darebbe la sua vita per te. Questo per me vuol dire la parola “mamma”, e quindi è proprio vero che i figli non sono di chi li fa, ma di chi passa tutti questi momenti con loro, se oggi devo chiamare mamma qualcuno beh quella persona senza dubbi è mia zia!

Troppi misteri ancora sono nascosti dietro un passato, che nessuno mi svelerà mai. I primi anni mi sentivo trattato come un pacco postale, sballottato da Milano, Busto e  Assistenti Sociali, tenendomi sempre tutto il dolore dentro. Nessuno capiva cosa volevo veramente nel mio cuore. Non si trattava di dover scegliere tra papà fratelli, zio e zia, nessuno riuscivano a mettersi in quella testa, io la mia scelta l’avevo già fatta da tempo. Chiedevo solo di avere un’unica famiglia unita, che non si facesse la guerra, ma che vivesse giorno dopo giorno, con vero amore uniti più che mai!
Tutto quello che chiedevo fino ad allora mi veniva dato per non farmi mancare nulla, pensavano che con le cose materiali si potevano sostituire le cose concrete della vita. Ma l’amore di una mamma, di un papà, dei fratelli, degli zii, l’amore della famiglia non si potrà mai sostituire con queste cose.
Quindi alla domanda: ”Ti senti fortunato?”, oggi so che posso rispondere: “Si mi sento fortunato!” Sembrerò una pazzo, ma a questa risposta ci sono mille spiegazioni.
Pensando a tutto questo, ma soprattutto rileggendo tutto quello che avete letto, penso di aver imparato tantissimo da questa vita. Mi sono posto mille domande: “Perché sono nato se Jessica non mi voleva, perché io, perché tutta questa sofferenza, perché non ho potuto fare un’infanzia come tutti i bambini, perché sempre messo alla prova, perché tutti questi misteri, perché la morte dei miei zii, perché la morte di mio padre, perché tutte le persone che al funerale di mia zia mi avevano promesso di esserci sempre, sono sparite, PERCHE, PERCHE’!” Di domande che girano dentro di me ce ne sono a migliaia, domande che ancora oggi non hanno risposte e sicuramente non le avranno mai. Ma la cosa che certamente ho imparato,  è che spero o meglio che so che un domani non dovrò mai commettere gli errori che ha commesso la mia famiglia con me.
Se dovessi pensare oggi io a una mia famiglia, me la immagino unita, forte, inseparabile proprio come la famiglia di Rebecca! Se penso che un domani potrò sposarmi anch’io, so che a mia moglie non le farò mancare nulla, ma non sto parlando di gioielli, pellicce, villoni, piscine vacanze da urlo o diamanti, questo  non me lo potrò mai permettere. Ma sicuramente non le mancherà mai l’amore di cui ha bisogno, sarò sempre il suo punto di forza,  aiutandola e non abbandonandola mai, finchè morte non ci separi.  E se penso che potrei diventare padre, la cosa più bella che possa capitare a una persona, cercherò sempre di non far mancare a miei figli tutto quello che è mancato a me. Ovviamente parlo dell’amore di una famiglia che nessuno mai potrà sostituire.

Questo è tutto quello che ho imparato fino ad oggi dalla mia vita, sicuramente di cose da imparare ne ho ancora a migliaia, sicuramente succederanno ancora tantissime cose belle, brutte, magari sbaglierò ancora in decisioni, comportamenti, nessuno è perfetto, sbagliando si impara. Ma spero che al mio fianco ci siano sempre persone che mi amino veramente per quello che sono.

Nella mia vita ho fatto tanti tatuaggi per altri: il mio amico del cuore, mio zio, mia zia, mio padre quattro, ma si sa che i tatuaggi devono essere sempre dispari, quindi aspettando di scrivere il nome dei miei figli, ho voluto fare un tatuaggio tutto per me sta volta. Racchiude tutta la mia vita, e come dice il titolo  “FLASHBACK RICORDI CONFUSI SOGNANDO LA FELICITA’”    
 Spero che un domani questa felicità sognata diventi realtà!

“La vita è un dono, non sai mai quali carte ti capiteranno la prossima mano. Impari ad accettare la vita come viene!”


giovedì 13 agosto 2020

CAPITOLO 81, CAPITOLO 82



81  GMG 2011

Il tempo era passato così velocemente che non mi accorsi che in un lampo eravamo arrivati alle vacanze estive, si doveva partire per la Giornata mondiale della Gioventù, destinazione Madrid.
La settimana prima ci trovammo in oratorio per fare degli striscioni. Già nel 2005 avevamo fatto uno striscione che aveva lasciato il segno; eravamo anche finiti sui giornali, sullo striscione c’era scritto ”NON CHIAMATECI PAPABOYS!”.

Il dolore che avevo dentro era troppo grande, non sarebbe mai passato, così decisi di far fare delle magliette personalizzate per quei giorni. Mi feci stampare due maglie con due foto diverse di me e mio padre, in una scrissi: “Te vogghio bene nunt’o scurdà!”[1] e sull’altra feci scrivere: “Usque ad finem”.[2]
In più dovevo lasciare il segno come sempre, avevo deciso di farmi i capelli rossi. 
Era tutto pronto per la partenza, la mattina zaino in spalla tutti in aeroporto per prendere il volo direzione Segovia. Ora poteva iniziare il nostro pellegrinaggio. Furono giorni pesantissimi e stancanti, tutti i giorni  camminavamo per circa  30 chilometri, si partiva la mattina alle cinque  -tra l’altro faceva un freddo pauroso, quindi tutti con le felpe, due ore dopo iniziava il caldo straziante. Ovviamente non riuscivamo mai a stare tutti in gruppo perché ognuno aveva il suo passo quindi c’era chi arrivava prima a destinazione e chi arrivava dopo,  comunque  ci mettevamo sempre intorno alle dieci/ undici ore di cammino. Quando arrivavamo nei luoghi dove dovevamo passare la notte eravamo tutti stremati. Alcuni, anzi molti, avevano anche le fiacche sotto i piedi. E pensare che prima di partire, mi avevano convinto a comprare gli scarponcini da montagna dicendomi che se usavo quelli non avrei avuto il problema di fiacche. Meno male che alla fine feci di testa mia e partii con le Nike. Loro con gli scarponcini e le fiacche, io con le Nike e senza fiacche!
I primi sette giorni passarono così tra cammino, palestre, scuole, risate, pranzi cucinati dalla PT, ovviamente c’era gente che in quei  giorni si era arresa perché non ce la faceva più a camminare avendo dolori alle gambe, ai piedi, alle ginocchia quindi per quelle persone c’era  appunto la PT, che li portava da un campo all’altro. Io fortunatamente fino l’ultimo giorni non ebbi problemi, riuscendo  a farmela quasi tutta. Quasi perché saltai proprio l’ultima tappa, forse la più bella: l’arrivo a Madrid, purtroppo il mio ginocchio aveva ceduto.
Una volta arrivati a Madrid andammo nella palestra che avremmo diviso con gli altri ragazzi delle diverse parrocchie, ogni gruppo aveva la sua zona per dormire ma era un degenero assurdo;  circa 300 persone dentro una palestra. La sera, prima di dormire ogni gruppo si ritrovava per pregare, finita la preghiera tempo libero per un’oretta dove riuscivo a rilassarmi un po’ con Rebecca e poi si andava a letto. Io dormivo  vicino a Gennaro e con gli altri compagni  prima di dormire lo obbligavamo a raccontare una barzelletta, iniziando a gridare: “Gennaro la Barzaaaaa!” Tutti scoppiavano a ridere e lui doveva raccontarla per  forza altrimenti noi lo torturavamo e non lo facevamo dormire. Per chi conosce Gennaro, sa che le sue barzellette non hanno nessun senso e sono veramente brutte. Noi proprio per quello ce le facevamo raccontare perché ridevamo sulle stupidate che ci diceva, così alla fine si rassegnava, e ogni sera ce ne raccontava una. Finita la barzelletta potevamo dormire.
La mattina dopo si andava a fare la catechesi nelle chiese assegnate, per la preparazione all’incontro col Papa, noi tutti eravamo stravolti dal pellegrinaggio e la usavamo per dormire. Arrivò il giorno dell’incontro col Papa, avremmo passato due giorni in un ex aeroporto militare per aspettare la Messa domenicale. Anche lì ogni gruppo era diviso a settori, una volta raggiunto il nostro posto, e preparato l’accampamento, come successo nel 2005 ognuno poteva fare quello che voleva l’importante era essere lì per la cena e insieme per la preghiera.
Io, Carlo, Vittorio e altri ragazzi andammo in giro a fare conoscenze con persone di altri popoli, scambiandoci qualsiasi cosa per avere un ricordo. In quell’aeroporto  faceva un caldo allucinante, tanto che in mezzo ai settori passavano i pompieri con le camionette e con l’idrante e cominciavano ad innaffiare tutti, ovviamente tutta la gente, correvano sotto il getto dell’acqua cercando di rinfrescarsi e cantando a squarcia gola: ”Il pompiere paura non ne ha!”.
 Un altro ricordo che non dimenticherò mai, è che ad un certo punto Rebecca doveva andare in bagno solo che i bagni erano dalla parte opposta rispetto a dove eravamo noi, quindi l’accompagnai. Al ritorno ci fermammo nell’aria attrezzata per prendere due casse d’acqua per tutto il gruppo e ci dirigemmo verso il nostro settore. In quel momento stava per arrivare il Papa quindi tutti i volontari non potevano far passare nessuno, noi eravamo rimasti chiusi proprio di fronte al nostro settore tra un macello di gente. Col fattore che faceva caldo e la troppa gente che c’era intorno a noi, Rebecca iniziò a sentirsi male. Così mi rivolsi a un volontario dicendogli  gentilmente: “Ascolta siccome ho due casse d’acqua, e la mia ragazza non sta bene mi faresti per favore passare, devo andare lì di fronte nel mio settore!” Gli feci vedere anche il pass ma lui mi rispose:  “Mi spiace ma abbiamo l’ordine di non  far   passare nessuno!” Il fatto era che gli avevo chiesto di andare di fronte e non chissà dove, in più il Papa era da tutt’altra parte, Rebecca  stava  sempre peggio, le mancava l’aria, così mi si chiuse la vena. La presi, presi le due casse d’acqua e cercai di passare, solo che lui mi respinse dentro. A quel punto gli tirai uno spintone facendolo cadere, arrivò subito un altro ragazzo della sicurezza a vedere cosa stava succedendo, spiegai a lui cos’era successo, gli feci vedere che Rebecca stava male e ci accompagnò lui nel nostro settore facendoci le scuse.
Una volta che il Papa arrivò sull’altare che avevano allestito, iniziammo a fare una preghiera e prima di andarsene diede l’appuntamento  al giorno dopo per la Santa Messa. In quel momento iniziò a piovigginare. Essendo in un ex aeroporto militare, quindi tutto aperto,  non  vi erano ripari. In pochi minuti eravamo tutti fradici, anche i sacchi a pelo che avevamo per dormire. Il panico iniziò a dilagare c’era chi diceva di lasciare il campo ed andarcene al coperto, chi invece come me diceva di rimanere perché  dopo tanta fatica era inutile andare via per quattro gocce. Alla fine  vinse la maggioranza che diceva di rimanere, dormimmo tutta notte al freddo e bagnati, il giorno dopo ci stavamo ammalando tutti. Una volta finita la Messa era finita anche la Giornata Mondiale della Gioventù, si poteva lasciare l’aeroporto  per poi tornare a prendere l’aereo che la mattina successiva alle otto ci avrebbe riportati a casa.
O meglio il resto del gruppo avrebbe preso l’aereo per tornare a casa, perché io e Rebecca dopo dieci giorni di fatica ci aspettava  finalmente una settimana ad Ibiza con i suoi genitori. Dal pellegrinaggio religioso al divertimento assoluto o almeno pensavamo fosse così. Passammo tutta la notte in aeroporto cercando di  ammazzare il tempo con risate, riassunti della vacanza  finchè alle due ci mettemmo a dormire. Alle cinque io e Rebecca salutammo quelli svegli e andammo a prendere l’aereo direzione Ibiza. Una volta arrivati ad Ibiza la prima cosa fu una bellissima doccia, e poi il primo giorno direzione letto, finalmente un materasso, delle lenzuola e il cuscino. Dormimmo tutto il girono. Gli altri giorni ci eravamo ripromessi di ammazzarci di divertimento, discoteche, bar, mare, vita notturna, infondo eravamo ad Ibiza, l’isola della trasgressione. Ma ogni sera dopo aver cenato con i genitori, gli zii e Angelica, facevamo solo un giro  nei baretti, bevevamo qualcosa e poi dritti a casa. Il motivo era semplice, primo le discoteche costavano 80 euro senza consumazione, e secondo perché avevamo sonno arretrato arrivando la sera stanchissimi. Alla fine fu una vacanza solo rilassante, quella settimana passò così velocemente che non facemmo neanche in tempo a gustarcela; l’unica cosa bellissima che ricordo fu la gita sul catamarano (una barca) che ci portò in giro a vedere le spiagge più belle del posto, le grotte i pesci. Avremmo dovuto aspettare l’anno prossimo per gustarci un’altra vera vacanza!


82  CANTONOVO

Una volta finite le vacanze estive e tornati a casa, scrissi come sempre l’articolo su CantoNovo riguardante la magnifica esperienza fatta a Madrid e come titolo misi proprio  “Usque ad finem”… la scritta con cui avevo fatto la maglietta di mio padre.

“Partiti con molta paura per un lungo pellegrinaggio che ci aspettava (da Segovia a Madrid a piedi per circa 28 chilometri al giorno), i posti dove dormire (in 500 in palestre) e con solo uno zaino in spalla, dove doveva esserci dentro solo il necessario per cambiarsi… siamo partiti per la Giornata Mondiale della Gioventù. Durante i giorni trascorsi lungo il pellegrinaggio, trascorrendo 24 ore su 24 insieme, si è formato un legame unico, forte, immenso… Tra fatica, fiacche, dolori muscolari, dove ci aiutavamo tutti siamo così giunti alla meta (4 Vientos)  per l’incontro col Papa, ma soprattutto col Signore.
Preparato il posto dove avremmo passato la notte, ci si è messo anche il maltempo! Tra disagio, nervosismo e tensione non ci siamo arresi e siamo andati avanti FINO LA FINE. Da questa vacanza mi porto a casa dieci giorni fantastici, meravigliosi con persone che non conoscevo ma con le quali ho legato moltissimo; altre che ho imparato a conoscere persone a cui mi sono affezionato molto e  che porto nel cuore.
Un ringraziamento speciale va alla PT (pattuglia tecnica) che ha pensato a tutto il nostro pellegrinaggio, dalle mete da raggiungere alla nostra sopravvivenza con cibo e luoghi dove passare la notte; grazie ovviamente alle nostre tre colonne portanti che ci hanno aiutato nella preghiera e nei momenti di sconforto: Don Alberto, Don Gabriele e Fra Raffaele. 
Un ringraziamento col cuore a tutto il gruppo di San Filippo, persone veramente speciali. Siete nel mio cuore. Alla prossima avventura!”

Dopo questo articolo decisi che anche mio padre doveva trovare spazio sul mio corpo, volevo assolutamente scrivere quella frase che mi aveva accompagnato per tutta questa avventura, ma dovevo trovare un disegno significativo da aggiungere. Un giorno in cui mi trovavo a Santa Maria Maggiore con Rebecca sotto un cielo stellato, vidi una stella che brillava più delle altre, mi ricordo che guardai Rebecca e le dissi: “Vedi quella stella che brilla più delle altre, quello è sicuramente mio padre!” 
Disegno trovato, decisi di disegnarmi su tutto il braccio un celo stellato e tra queste vi era una stella più grande dove al suo interno ci scrissi questa frase: “Usque ad finem in corde meo!”[3]
 


[1] napoletano, tradotto “ti voglio bene non te lo scordare”
[2]latino, tradotto “fino la fine”
[3] Latino, tradotto “Fino la fine nel mio cuore”

giovedì 6 agosto 2020

CAPITOLO 78, CAPITOLO 79, CAPITOLO 80



78  NIPOTINA E MATRIMONIO

Dopo tanto tempo mio padre si riprese, era sempre in rianimazione sotto osservazione con un tubo in gola che lo aiutava a respirare, ma la cosa più importante è che era sveglio e io ero sempre li con lui. Mio padre ogni volta che ci vedeva ci faceva capire che non voleva uscire dall’ospedale  e dover fare il resto della sua vita con un tubo in gola, già non accettava il fatto che non aveva più la gamba. Noi ogni volta gli dicevamo che era solo provvisorio appena sarebbe guarito l’avrebbero tolto, di stare tranquillo.
Mio padre alla fine dimostrò di essere una roccia fortissima! Ancora una volta la famiglia Pepe aveva dimostrato di essere indistruttibile, era uscito dalla rianimazione a testa alta, ora doveva solo fare la riabilitazione prima di tornare a casa. Lui aveva sempre il pensiero però di essere un peso, che non poteva tornare ad una vita normale, ma noi continuavamo a dirgli di stare tranquillo che c’eravamo noi con lui, e che quando la ferita sarebbe passata avremmo preso un tutore. Intanto mio fratello si occupò di far ristrutturare il bagno, lo mise a nuovo in modo che mio padre poteva passare con la carrozzina e avrebbe potuto essere indipendente, io invece stavo cercando di ridisegnare un orto in modo che lui avrebbe potuto continuare ad andare senza fare fatica, stavamo facendo di tutto per poterlo rivedere col sorriso! In più mia sorella Sofia gli diede la bellissima notizia,  gli disse che stava per diventare di nuovo nonno. Era felicissimo non stava più nella pelle infatti mio padre nella sua camera di ospedale aveva sempre le foto delle sue nipoti e parlava sempre di loro alle infermiere. Stavamo tornando alla vita normale.

Arrivò il giorno della comunione di mia nipote Alessandra, una delle figlie di Camilla, trovammo anche il modo per far si che mio padre quel giorno potesse essere presente. Mio fratello si prese la responsabilità di firmare i fogli e prelevarlo dall’ospedale sotto approvazione del primario; doveva solo stare attento a quello che mangiava. La sera l’avrebbe riportato in ospedale. 
Una volta fatta la messa ci recammo tutti al ristorante, io mi misi seduto vicino a mio padre, non volevo perdere neanche un secondo lontano da lui. Dalla morte della zia avevamo appena iniziato a recuperare il tempo perso, per tutto il pranzo stetti con lui tenendogli la mano, ma anche se era lì con noi, si vedeva che era triste, la sua testa viaggiava in un mondo suo e ogni volta che gli chiedevo: “Pa che c’è, tutto apposto?” Lui mi diceva che non c’era nulla, ma si vedeva che soffriva, allora io lo abbracciai e gli dissi: “Tranquillo che ci sono io con te, non ti lascerò mai, nessuno ci potrà più dividere!” Lui fece un sorriso e mi diede un bacio. Nella mia testa stavo iniziando a pensare di potermi trasferire a Milano una volta che fosse uscito dall’ospedale, in modo da poter stare sempre con lui. Questa mia decisione non la sapeva nessuno, neanche Rebecca perché ovviamente dovevo pensarla bene, c’era il lavoro, i problemi che avevo, e poi c’era il mio amore. La giornata arrivò al termine, usciti dal ristorante ci salutammo tutti, ma prima di salutare mio padre ricordo che gli feci fare una promessa, gli dissi: “Ascoltami bene, io adesso vado domenica non ci possiamo vedere perché ho la comunione della cugina di Rebecca e mi hanno invitato, ma ti prometto che la settimana dopo faremo due giorni interi insieme io e te. Promettimi che in questa settimana ti fai forza e cerchi di farti trovare a casa per quando ci vedremo!” Lui guardandomi mi rispose: “Stai tranquillo, te lo prometto!” Mi diede un bacio, non potevo immaginare che sarebbe stato l’ultimo bacio che mi avrebbe dato!  Prima di andare via aggiunsi anche: “E poi ti devi fare forza per due motivi, uno perche adesso ti arriverà un’altra nipotina e devi coccolarla e giocare con lei, e due perché fra due anni mi sposo e mi devi accompagnare all’altare”! Lui mi abbracciò dicendomi: “Non farla più soffrire e abbi cura di lei, Rebecca ci tiene a te, e un’altra così non la trovi!” Lui era innamorato perso di quella ragazza, gli dissi di stare tranquillo e tornammo a casa.

La settimana dopo ero stato invitato alla comunione di Angelica, così chiamai mio padre mentre ero al ristorante per sapere come stava, mi ricordo che mi disse: “Ueh uagliò, come va? Tutto apposto? Mi raccomando fai il bravo e non fare arrabbiare Rebecca!” Io come sempre lo tranquillizzai e gli dissi che ci saremmo visti sabato e domenica prossima.
Non sapevo che sarebbero state le ultime parole  di mio padre!


79  PER SEMPRE NEL MIO CUORE

Anche la comunione finì, fu una bella giornata perché ormai la famiglia di Rebecca era diventata la mia famiglia e Angelica per me era come una sorellina, ormai la conoscevo da quando aveva due anni quindi anche lei aveva un pezzetto del mio cuore.

Il lunedì la giornata di lavoro passò velocemente, mi vidi con Rebecca e poi me ne tornai a casa, mi lavai, mi preparai da mangiare, lavai tutto e alle otto mi misi davanti al computer… finalmente un po’ di meritato relax! 
Ad un certo punto mi suonò il telefono, lo guardai, era Marco, risposi subito pensando che dovesse darmi qualche notizia positiva di mio padre e invece, in lacrime, mi spezzò il cuore!
“Papà è morto!” Non aggiunse altro, io gli dissi che mi sarei precipitato subito lì, non volevo crederci, ci avevo parlato la domenica e stava benissimo. Presi le chiavi della macchina e uscii di corsa lasciando tutto aperto, una volta in macchina chiami Rebecca, ero agitatissimo, le raccontai cos’era successo, lei mi disse che voleva venire anche lei, voleva starmi vicino, arrivai sotto casa sua e le dissi di fare un salto a casa mia perché dalla fretta avevo lasciato tutto aperto, risalii in macchina e sgommando mi lanciai sull’autostrada per arrivare il prima possibile a Milano. Lei era preoccupata perché aveva visto com’ero agitato, ogni minuto mi chiamava ma io in macchina non avevo la testa per rispondere. Continuavo a ripensare a tutto, ancora una volta mille domande giravano nella mia testa senza trovare risposte. Perché lui, perché ancora sofferenza, ma soprattutto perché in questo momento che ci eravamo ritrovati e stavamo recuperando il tempo perso?
 Rimane il fatto che in un quarto d’ora ero arrivato a Milano avevo fatto tutta l’autostrada a 180 km all’ora, prendendo sicuramente anche qualche tutor ma in quel momento non mi interessava. Mio fratello mi chiamò dicendomi di andare da mia sorella Sofia a casa che era a pezzi, loro sarebbero arrivati poco dopo.
Una volta arrivato, mia sorella era sul divano col pancione e in lacrime; mi sedetti vicino a lei abbracciandola, dai miei occhi ancora una volta nessuna lacrima, non riuscivo a piangere, non realizzavo, non volevo crederci, tenevo tutto il dolore dentro. Arrivarono anche Ciro e Marco insieme ad Angela, nessuno riusciva a parlare. Marco tornò a casa con Angela mentre Ciro portò a letto mia sorella che si dava la colpa, diceva che era colpa sua perché tutte e due le volte che era rimasta incinta era morto qualcuno della famiglia prima mia zia e poi papà. Una volta messa a letto Ciro tornò da me, voleva farmi sfogare ma io non parlavo, mi disse di andare a letto e di riposare ma rimasi seduto sul divano tutta notte. Lui rimase lì con me.
Il giorno dopo andammo all’obitorio, appena lo vidi scoppiai in lacrime, intanto arrivò anche Rebecca che mi strinse forte a lei. Anche in quella occasione non lo volle vederlo, voleva ricordarlo col sorriso. Ancora una volta era al mio fianco a rialzarmi.
La sera prima del funerale eravamo tutti a casa di mio padre, volevamo stare tutti insieme lì in quella casa, mio fratello ad un tratto mi guardò e mi disse: “Perché non scrivi una lettera anche per papà?” Io in quel momento non riuscivo a pensare, non ci stavo con la testa e poi era una cosa che non mi sarei mai aspettato ma, appena rimasi da solo, mi misi davanti a un foglio bianco con una penna e ci pensò il mio cuore a scrivere.

Il giorno dopo come sempre l’ultimo saluto, prima di chiudere la bara, avevo l’ultimo braccialetto al polso regalatomi sempre da Rebecca, anche quella volta lo tolsi e lo misi nel taschino della sua giacca, appena il becchino chiuse la bara scoppiai in un pianto senza fine. Non potevo credere ai miei occhi, mio fratello mi prese e mi abbracciò forte, in quel momento sentii il bene che ci volevamo io e lui.
Appena entrammo in chiesa io e mio fratello non  potevamo credere ai nostri occhi la chiesa era piena di miei e suoi amici e parenti che erano venuti a dare l’ultimo saluto a mio padre e a starci vicino. Rebecca, a mia insaputa, aveva avvisato tutti i miei amici e gli aveva spiegato come arrivare lì, era veramente una ragazza unica.
Finita la Messa era il momento di leggere la lettera e anche in quella occasione,  come successo per mio zio a leggerla fu il mio amico Pietro.              

“Ciao Papi,                                                                                                                
trovare le parole in questo momento è veramente difficile. La tua perdita inaspettata ha lasciato in noi un solco che non si colmerà mai. 
Ora che ci eravamo ritrovati, che potevamo stare più tempo insieme, che potevamo recuperare gli anni persi, ora che stavi per diventare di nuovo nonno. Dopo la perdita degli zii, ancora una volta ho perso la persona che mi dava la forza di andare avanti, ho perso di nuovo un pezzo del mio cuore. Pensare che qualche settimana fa, ti avevo detto che dovevi farti forza per portarmi all’altare fra un paio d’anni!
Hai lasciato nei nostri cuori una ferita che difficilmente si rimarginerà. Ti sei sempre fatto amare, ti sei fatto sempre in quattro per noi per non farci mancare nulla. E sotto quell’aspetto da napoletano duro, in realtà si nascondeva un uomo con un cuore immenso che rinunciava a tutto, pur di vederci felici. Ci mancherai troppo, la vita non sarà più la stessa senza di te.

Con amore, tua moglie Angela e i tuoi figli Camilla, Marco, Sofia e Gianluca”


80  VERI AMICI

Finito un altro pezzo di vita ora bisognava tornare a casa, i miei amici mi anticiparono perché la sera avremmo avuto una partita. Vi ricordate il torneo di calcetto Nicola Spadea? Quell’anno ero tornato a giocare. Prima di tornare a casa però chiesi ad Angela di raccontarmi quello che realmente era successo, perché la domenica che gli avevo parlato io sembrava stare bene. Così lei mi raccontò tutto.
“Ieri  (la domenica che io ero alla comunione) ho passato tutto il giorno con tuo padre come sempre, la mattina era strano, era giù di morale, non parlava, non rideva ma è stato tutto il tempo davanti la finestra a guardare fuori, come se aspettasse qualcosa o qualcuno. Nel pomeriggio mi ha chiesto  se lo portavamo al bar dell’ospedale, così una volta arrivati io mi sono comprata da bere e lui ha voluto un gelato alla liquirizia. Strano perché tuo padre non mangiava un gelato da anni ormai. Così ho chiesto se lo poteva mangiare, mi hanno risposto di sì e gliel’ho preso. Tra l’altro non riusciva neanche a mangiarlo e si era sporcato tutto, finito il gelato siamo risaliti, sono venuti a trovarlo Ciro, Sofia e Giorgia (la figlia di mia sorella Sofia)  e alla sera come sempre gli ho chiesto se avesse bisogno di qualcosa, lui mi ha detto di stare tranquilla e di andare a casa. L’ho salutato dandogli appuntamento al giorno dopo. Il lunedì mattina ho chiesto mezza giornata dal lavoro per poter stare con lui, appena sono arrivata i dottori lo stavano cambiando perché era sporco, io preoccupata chiesi subito come mai, loro mi dissero di stare tranquilla perchè non era nulla di che, era solo stato male tutta la notte vomitando, però non mi avevano detto che vomitava sangue, io vedendo sul pigiama delle macchie scure pensavo fosse il gelato alla liquirizia e mi sentivo in colpa. Così sono stata tutta la mattina con lui, poi al pomeriggio prima di andare al lavoro ho voluto parlare col primario per stare più tranquilla. Lui mi ha rassicurato dicendomi che era sempre sotto osservazione, di non preoccuparmi che non era nulla e per qualsiasi motivo mi avrebbero chiamato. Così l’ho salutato e gli ho detto che ci saremmo visti dopo il lavoro. Poi è successo quello che è successo e ho saputo solo dopo che in realtà lui aveva vomitato sangue, quindi ho pensato a una emorragia interna, ma quello che non mi da’ pace è perché non me l’abbiano detto,  perché mi hanno chiamato solo dopo che probabilmente era già morto. Ci sono troppe cose che non mi tornano troppi misteri, se mi dicevano che non stava bene e aveva vomitato sangue io sarei rimasta lì.
Penso ci sia sotto qualcosa, non me l’hanno raccontata giusta. Solo che poi pensandoci non me la sentivo di fargli fare un’autopsia, aveva già sofferto troppo. Tuo padre si è anche lasciato andare, non accettava il fatto di dover passare la sua vita senza gamba pensava di essere un peso per me!”
Questo è quello che mi raccontò Angela, anche io subito pensai che c’era sotto qualcosa. Era successo qualcosa di strano, ma poi conoscendo mio padre che teneva tutto dentro anche io capii che lui si era lasciato andare. Ma quello che mi faceva più male e mi farà sempre male è che secondo me quando mio padre quella mattina passò tutta la mattinata alla finestra, era perché aspettava me!
L’idea che mi sono fatto è che sia morto con la speranza di vedermi l’ultima volta e io questo regalo non gliel’ho fatto, questa è una ferita che porterò sempre nel mio cuore.
Finito il racconto salutai tutti e tornai a casa dicendo che ci saremmo visti presto, non sarebbe cambiato nulla.

Una volta tornato a casa avevo una partita la sera da giocare, non potevamo rinviarla e non me la sentivo di saltarla, dopo quello che avevano fatto i miei amici per me! Loro erano venuti lì, io dovevo scendere in campo, anche perché mio padre avrebbe voluto questo. Così alla fine andai in oratorio e una volta che entrai sulla rete del campo c’era uno striscione con scritto: “Pepe ti vogliamo bene” Con le firme di tutti i miei amici. Ero troppo commosso. La partita poteva iniziare scendemmo tutti in campo, i miei compagni vollero che la fascia da capitano la indossassi io. Mentre loro al braccio sinistro avevano la fascia nera in segno di lutto.
Una volta che l’arbitro fischiò l’inizio tutti i miei compagni si abbracciarono intorno a me per un minuto di silenzio in tutto l’oratorio, in mio rispetto. Alla fine del minuto un applauso uniforme e tutti vennero a stringermi la mano e farmi le condoglianze. Rimasi sorpreso da tanto affetto, ero felice di avere amici così. Purtroppo perdemmo la partita ma quello non mi importava, mi importava solo quello che avevo visto da parte dei miei amici e compagni ed  ero commosso.

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...