lunedì 26 settembre 2022

 QUATTRO CHIACCHIERE CON... MARCO ROMA

-intervista di Valentina Bottini-

1.      Presentati a 360°

«La mia famiglia ha origini nel sud d’Italia; ma ben presto diventiamo romani  lavorando nel settore del commercio di abbigliamento. Tutt’oggi dirigo un’attività di abbigliamento.

Mi affaccio 7/8 anni fa nell’ambito della radio  dove divento la sigla ufficiale di un noto programma della notte su ***; così nasce la  mia avventura radiofonica nelle radio  nazionali diventando a volte come la chiave di programmi importanti. Ho collaborato con attori e personaggi dello spettacolo facendo interviste radiofoniche; ho potuto conoscere personaggi che hanno partecipato a reality; sono stato ospite delle loro cene private a Roma… così sono entrato a far parte di un mondo parallelo a quello che è la mia vita di giorno che ruota attorno alla mia attività. Così ho iniziato a girare varie radio in tutto il mondo con i  miei jingle  dalla Spagna, all’America, al Cile,  al Brasile… la radio stessa ha fatto richiesta per me per inserirmi nel libro Guinness World Record con la motivazione che io  ho cantato jingle in tutte le radio del mondo   che neanche un cantante aveva mai fatto».

2.      Dove e quando è nata la tua passione per il mondo della radio?

«E’ stato mio papà a trasmettermi la passione per la radio. Lui era appassionato delle radio; lui aveva sempre acceso due  radio in contemporanea».

3.      Da dove nasce l’idea di intervenire nelle  principali radio di tutto il mondo? Sia in quelle più grandi e famose, sia in quelle più piccole e locali?

«La  direttrice  decise di togliermi la sigla del programma su *** perché aveva sentito i miei jingle altrove. Io ho sofferto molto per qualche  giorno, poi quando è passata la sofferenza iniziale  gli ho detto che  i jingle di Marco Roma avrebbero potuto girare   il mondo e che non si sarebbero dovuti fermare in una   radio sola. Così è stato; li ho fatti girare in tutto il mondo proponendo anche svariate interviste da ogni dove d’Italia».

4.      Qual è l’argomento  delle tue telefonate?

«L’argomento delle mie telefonate, dei miei jingle, delle mie interviste è uno solo: l’amore».

5.      Parlami dei consigli che dai in radio. Da chi/dove trai ispirazione per i tuoi consigli?

«I consigli radiofonici che do’ sono di una vasta gamma. Se sei insofferente per amore, se hai problemi economici, se hai perso il lavoro, se hai una sofferenza, se hai una depressione, se hai un problema di  salute io dico sempre che c’è una speranza. L’ispirazione   arriva dal mio cuore; perchè c’è scritto “preserva il tuo cuore più di ogni altra cosa perché da esso provengono le fonti di vita. Io credo fermamente nel Dio che è nei cieli che esaudisce una preghiera e tutto ha una speranza nella vita. Lui parla, il mio cuore detta e io do’ consigli».


6.     
Cosa vuoi trasmettere a chi ti ascolta?

«Io faccio tutto questo non per essere vantarmi. Quando vado  in qualche radio dove mi intervistano loro a volte mi trattano come una star, ma io  resto  con i  piedi per terra, resto semplice. Mi dicevano “Marco Roma, che onore vederti dal vivo”; ma io rimanevo coi piedi per terra. Faccio un esempio: ad Aurora  Ramazzotti, la figlia di Eros Ramazzotti, ho cantato la canzone che il padre le ha scritto, “L’aurora”, e lei mi ha detto “Grazie Marco, grazie per il tuo coraggio”. Io non voglio trasmettere la fama, non cerco la fama e la notorietà; io voglio essere un puntino nel mondo, l’ultimo puntino, voglio trasmettere l’amore. L’amore che Dio mi ha  trasmesso, voglio donare l’amore. È più bello donare che ricevere».

7.      Esiste l’amicizia nel mondo della radio?

«L’amicizia nel mondo della radio esiste. Ne cito solo una, una  delle tante. Durante una delle mie interviste radiofoniche ho conosciuto Salvo Veneziano, uno dei concorrenti del primo Grande Fratello. Con lui ci sentiamo, ogni anno gli mando gli auguri di buon compleanno e lui mi ha sempre risposto ringraziandomi e mi ha detto che è bellissimo quello che faccio nelle radio. Sì, può esserci  l’amicizia in radio anche con persone… il grande Paolo Calissano, che è morto poco  tempo fa, un giorno mi chiamò e si sfogò con me, mi parlò della sua vita e dei suoi problemi; in quel momento  abbiamo escluso la radio».

8.     Raccontami un episodio simpatico/divertente/riflessivo/curioso/ /significativo.

«L’episodio più bello che posso  raccontare è quando ci sono radio, anche dalla Spagna, che a volte mi mandano  messaggi, speaker  e direttori artistici, dicendomi che sono grande».

9.      Quali progetti hai per il futuro?

«Per il futuro  vorrei poter volare più in  alto  e senza limiti. Una cosa che vorrei e che ho chiesto è di poter volare nel Suo Regno per poter contemplare le Sue meraviglie, questa è la prima cosa, poi tutto  quello che verrà di bello io lo prenderò».


10.  Tre aggettivi con cui gli altri ti definiscono?


«Mi dicono che ho un estro illuminato, di non arrendermi mai e nel bene e nel male di agire a volte di getto come nei jingle».


11.  Tre aggettivi con cui ti autodefinisci?


«Per chi sa comprendermi, gli aggettivi che mi autodefinisco sono… fede, speranza e amore».


12.  Se fossi un personaggio storico  chi vorresti essere? Perché?


«Non vorrei essere nessun personaggio storico. Se proprio  devo scegliere vorrei assomigliare a Gesù perché Lui era umile  di cuore, era mansueto, era dolce, era buono, Lui diceva: “Prendete il mio giogo sopra di voi e fate come me, che sono mite ed umile di cuore”(Mt 11, 29). Noi dobbiamo ispirarci a Lui, dobbiamo aspirare ad essere come Lui ».



lunedì 19 settembre 2022

 SAPORE DI MARE OGGI

di Gianluca Pepe

E poi ti trovi nello stesso luogo dove hanno girato il film “Sapore di mare” del 1983 con Jerry Calà, Cristian De Sica, Massimo Ciavarro, Eleonora Giorgi, Isabella Ferrari…. e guardando quelle spiagge e quel mare pensi che sarebbe stato bello vivere in quegli anni. Anni dove non esisteva la tecnologia, dove per fare una telefonata alla fidanzata lasciata a casa dovevi usare il gettone, dove c’erano compagnie di amici e ti divertivi con poco. Al mare guardavi le donzelle passare e ti rifacevi gli occhi, facevi le gare con il patino, giocavi a biglie o a bocce e la sera si andava tutti a ballare alla meravigliosa Capannina di Forte dei Marmi, dove ballavi e ti innamoravi sulle canzoni di Edoardo Vianello, Abbronzatissima, Il cielo in una stanza, Mina, Una rotonda sul mare... Le cottarelle estive, gli innamoramenti che poi finite le vacanze dovevi abbandonare per tornare a casa…

 Oggi tornando da queste parti vedi gli anziani sotto l’ombrellone che ricordano quegli anni meravigliosi, e staresti ad ascoltarli per ore, appassionato e con l’invidia negli occhi perché capisci che quelli erano anni meravigliosi. E ti chiedi perché?
Perché è cambiato tutto? Perché il mondo non si è fermato a quegli anni meravigliosi? Perché oggi non è come allora? Perché le persone non si accontentano più e non si innamorano più come in quegli anni?
  Ma soprattutto perché i giovani d’oggi non si divertono più come allora?

Tutti sotto l’ombrellone che fissano un telefonino  e consultano i social per sapere l’ultimo pettegolezzo, nessuno parla più con il vicino di ombrellone, e per innamorarsi ci si parla attraverso i social!
E allora contemplando il mare capisci quanto era bello il mondo prima, ma non perché il mondo è cambiato o è sbagliato, perché il mondo è sempre bello, a sbagliare siamo noi!

lunedì 12 settembre 2022

QUATTRO CHIACCHERE CON... FABIO MAZZARI 

-intervista di Valentina Bottini-

1.       Si racconti  a  360°

«Sono un ultrasettantenne che, a questo punto della vita, non può fare che bilanci, dare uno sguardo indietro verso il cammino fatto e guardare alle tante battaglie combattute (alcune vinte, molte perse), a quel poco o tanto che ho imparato e, qualche volta, chissà, magari anche insegnato. Insomma, come diceva Neruda alla polizia cilena che lo interrogava “confesso che ho vissuto”.

Per la verità quest’ultimo periodo della mia vita è stato segnato da un dolore enorme e da un vuoto incolmabile: la morte di mia moglie Silvia, dopo 55 anni di matrimonio. L’altra metà della mia vita se n’è andata di colpo e io ho dovuto lottare contro il silenzio gelido e assente che mi si era aperto dentro. Ma ora sto meglio e posso raccontarvi un po’ di me.

Ho cominciato a fare teatro nel fatidico anno 1968, con il Teatro Universitario di Bologna. Non pensavo però di fare l’attore, mi interessava il teatro come modalità espressiva, culturale (in quegli anni non c’erano tutti i linguaggi mediatici di oggi); volevo fare il regista teatrale. Così mi proposi come aiuto-regista e lavorai per un po’ in quel ruolo. Poi, una sera, alla vigilia di un debutto, un attore si infortunò e dovetti sostituirlo io. Così ho cominciato a fare l’attore, anche perché me la cavavo abbastanza bene, e ho continuato. Ho avuto così l’occasione di lavorare con alcuni fra i più importanti registi di quegli anni: Strehler, Cobelli, Maiello, Puggelli, Cecchi, Shammah, Savary. Alcuni anni della mia vita li ho trascorsi anche nella Svizzera Italiana, dove sono stato protagonista in teatro con il Teatro della Svizzera Italiana, con il gruppo “ La Maschera “ e in molti sceneggiati radiofonici e televisivi.

Poi a Milano, dove ho vissuto per trent’anni, è arrivato il doppiaggio, dopo anni di predominio romano, e così sono entrato in una cooperativa e ho doppiato numerosi telefilm, sit-comedy e anche cartoni animati. Poi, grazie alla generosità di mia moglie, che mi aveva ceduto un magazzino da lei affittato per il suo lavoro di fashion-bijoux, ho creato lo spazio teatrale ZAZIE. Infine è arrivato VIVERE e il personaggio di Alfio Gherardi, molto amato dal pubblico, che mi ha dato una certa visibilità e anche una certa popolarità. In seguito ho ripreso a condurre stages di teatro e ho interpretato alcuni film di produzioni indipendenti.

Confesso che il mio sogno giovanile era quello di diventare calciatore. Avevo iniziato una brillante (almeno sembrava...) carriera nei ragazzini del BOLOGNA, mia città natale. Poi la vita, come spesso accade, è andata in un’altra direzione e ho interrotto, ma mi è rimasta la passione per il calcio che ho praticato, con gli amici attori, fino a qualche anno fa, quando mi hanno operato al femore e ho dovuto abbandonare qualsiasi attività sportiva.

La mia vita è trascorsa tutta accanto a mia moglie e a mio figlio Michelangelo, almeno fino a quando lui è rimasto con noi. Io, a differenza di molti colleghi, sono sempre stato un casalingo, che non vedeva l’ora, dopo il set o dopo le tournèe, di rientrare fra le quattro mura domestiche, per cenare con mia moglie e raccontarle le mie storie di lavoro».

2.       Cos’è “Spazio Zazie”?

«Lo spazio “ Zazie “ era un’ ex-officina, in piena Chinatown a Milano, che doveva servire a mia moglie come laboratorio per la sua attività. Invece io le chiesi se me lo cedeva per farne uno spazio teatrale e lei, generosa come sempre, me lo diede. Era una sala di 90 metri con una colonna portante centrale, che complicava molto le cose, ma che la rendeva anche affascinante. All’inizio avevo studiato una formula innovativa, che però era troppo in anticipo, anche per una città come Milano. Il teatro aperitivo, dalle 19 alle 20, 30. Per la prima mezz’ora si esibiva mio figlio Michelangelo con il suo trio jazz e poi seguiva lo spettacolo. In questo modo lo spettatore aveva davanti a sé una serata intera, per andare al cinema, a cena, magari ancora a teatro. Ma era troppo presto, l’esperimento fallì e tornammo agli orari normali. E così allo Zazie (il nome l’aveva dato mia moglie, dal romanzo di Queneau) sono passate molte compagnie, soprattutto di giovani che non avevano un teatro loro e io vi ho fatto tutte le mie regie e i miei spettacoli. In genere il pubblico veniva più volentieri in quella piccola sala che non in un vero teatro. Dicevano che lì provavano vere e condivise emozioni».

3.       Regista, recitazione, attore, doppiatore, cinema, radio, teatro, televisione… posso definirla un  artista poliedrico?

«Grazie. E’ una definizione impegnativa, che spero di meritare. E’ vero peraltro che ho effettivamente ricoperto tutti questi ruoli, dall’attore al doppiatore, dalla radio alla tv, dal teatro al cinema. Per la verità quello a cui sono più affezionato e in cui mi riconosco maggiormente è quello di regista teatrale. Un po’ perché è un ritorno ai miei progetti di gioventù, quando ho cominciato a fare teatro e poi perché, da attore, conosco quelle stesse tensioni, quelle insicurezze, quelle  fragilità che provano i miei colleghi e sono in grado di aiutarli a superarle, e a crescere sul proprio personaggio facendo in modo che riescano ad esprimere il meglio di sé stessi. E poi affrontare, analizzare, interpretare, allestire un testo, magari un classico, è anche un modo per me di riprendere gli studi interrotti a suo tempo, per fare l’attore». 

3.       Chi è Fabio oggi?

«Fabio oggi è un anziano signore che, in una lunga carrellata all’indietro, sta rivedendo tutti i fotogrammi della sua vita. Un film abbastanza interessante, un po’ action, un po’ sentimentale, un mix di dramma e commedia, come avviene spesso, un po’ in bianco e nero e un po’ a colori. L’unico vero dolore è il fatto di non poterlo vederlo insieme all’altra protagonista, mia moglie Silvia. Per il resto, grazie al cielo, ho ancora l’energia sufficiente per sostenere un paio di monologhi teatrali e portarli in giro. E per prepararmi ad interpretare alcuni ruoli importanti per l’associazione di cui faccio parte “Cinema sociale99“ (creata e diretta da Luca Guardabascio) di Eboli».

5.       Qual è il segreto per “sopravvivere” nella “jungla” della  televisione?

«Mah, non so se sono realmente in grado di rispondere a questa domanda. Posso dire che, durante la lunga esperienza di VIVERE, il segreto è stato quello di essere semplicemente me stesso: corretto, professionale, gentile e, a volte, anche divertente con i colleghi e i tecnici. Per il resto non saprei, dal momento che, come vedete, in tv non appaio più da un pezzo. Un po’ per scelta e un po’ perché, in Italia, dopo una certa età (l’ha detto Franco Nero) è molto difficile lavorare. Comunque risponderei come prima: essere me stesso. Ho visto infatti che chi sgomita o peggio, non sempre viene premiato. Spesso viene adoperato e poi gettato via, magari accompagnato da una cattiva, spregevole opinione. Da parte dei colleghi e dei produttori».

6.       Tutti la ricordano nel ruolo di Alfio Gherardi nella soap “Vivere”, ma lei ha recitato anche in altri ruoli sia per la televisione sia per il teatro. Mi racconti.  Inoltre lei è anche un importante doppiatore… me ne parli.

«Per la verità, per la maggior parte della mia carriera, io sono stato soprattutto un attore teatrale e i ricordi sarebbero quindi molti. Forse troppi. Posso citare alcuni dei ruoli che ho interpretato. A cominciare da una versione “giovane“ del Cyrano, a ventidue anni, a il servo Fessenio de “La Calandria”, commedia del ‘500. Poi “Nella giungla delle città“ di Brecht, dove cantavo una canzone di Jannacci. Poi, nella Svizzera Italiana, ho interpretato Trofìmov ne “Il giardino dei ciliegi“, personaggio che ho amato molto. In una versione molto affascinante de “Il processo“ di Kafka, io interpretavo, sotto diverse forme, tutti i personaggi persecutori del protagonista K. Ebbe molto successo, e io in particolare. Poi, nel mio ZAZIE a Milano, ho allestito e interpretato di nuovo Cèchov e qui vorrei ricordare il dottor Astrov di “Zio Vania“. Infine a Eboli, mia nuova patria, ho interpretato “Carlo Levi a sud di Eboli“ con la regia di Luca Guardabascio e “Una scimmia all’Accademia“, tratto da Kafka, scritto e diretto da Luca Guardabascio.

Per quanto riguarda la TV, ho esordito sostituendo Gianni Cavina in una versione ante litteram di “Antonio Sarti brigadiere“. Però qui Cavina non doveva interpretare ancora il poliziotto, ma un ladro, e quello io feci. Piacqui al regista Passalacqua, che mi volle come protagonista in un sceneggiato sulla seconda guerra mondiale, dove interpretavo un pilota tedesco. Mi chiesero di restare a Roma, ma io avevo la mia famiglia e la mia vita a Milano e tornai al Nord. E qui, ancora per la Tv della Svizzera Italiana, interpretai alcuni sceneggiati, fra cui vorrei ricordare “Il processo di Stabio“ accanto a Lino Troisi e “La roeda la gira“, dov’ero l’avvocato difensore di Paolo Ferrari, con cui stringemmo amicizia. Paolo era una persona splendida.

Il doppiaggio. L’ho fatto per anni e, per la riedizione di vecchi film (che dopo un certo numero di anni, perdevano i diritti e potevano essere ridoppiati) ho avuto la fortuna di dare la voce a grandi attori come Jack Nicholson giovane, Denis Hopper, Harvey Keitel, Klaus Kinsky e Burt Reynolds. Devo precisare che si trattava per lo più di tv movie, perchè le voci “cinematografiche“ ufficiali di questi attori erano a Roma. Ho interpretato anche alcuni cartoni animati, fra cui val la pena di ricordarne almeno uno. Data la mia origine bolognese, mi chiesero di ridoppiare, in un’occasione, il celebre puma Svicolone, che prima di fuggire esclamava immancabilmente “svicolo tutto a mancina..” ».

 7.       Esiste l’amicizia nel mondo di cinema/televisione?

«A meno che non si abbia a che fare con qualche divo capriccioso e viziato, figura ormai sempre più rara (ma non troppo), direi di sì. Il lavoro che fanno gli attori, il loro condividere emozioni identiche, tensioni, sforzi, attese, intensità, debolezze e punti di forza, li porta quasi naturalmente a una sorta di vicinanza e d’intimità che può anche essere molto forte. E poi anche, se per caso, ci fosse un contrasto, nel momento in cui due attori recitano una scena insieme, fra loro si accende una comunicazione profonda, muta, fraterna che cancella tutto. Io non ho mai avuto inimicizie con i colleghi, anzi,  a me è successo sempre così».

 8.       Mi racconti un episodio della sua carriera lavorativa.

«A parte tutti gli innumerevoli aneddoti legati al teatro, soprattutto scherzi (che da sempre si fanno in scena). Tipo cambiare le battute, in modo che il/la partner sia costretto/a a improvvisare o non entrare in scena, quando è stato annunciato il tuo ingresso ( “ Ecco il nostro sire, prepariamoci ad accoglierlo..Mah..che succede? Forse è stato trattenuto da un imprevisto..Eppure mi è parso di vederlo..etc. ). Oppure in tv, quando, credendo che io fossi ricco come il personaggio che interpretavo,


Alfio Gherardi, mi arrivavano lettere con richieste di denaro, anche da parte di carcerati. O proposte di matrimonio da parte di affettuose zitelle.

Ebbene ricorderò un episodio legato al doppiaggio. Vivevo a Milano e un giorno fui convocato da una cooperativa di doppiatori per un provino. Nella saletta davanti alla sala di incisione, c’era già in attesa un ragazzo venuto da Genova, anche lui per il provino. Eravamo tutti e due lì per la stessa ragione ed, essendo entrambi piuttosto agitati, cominciammo a scherzare, come succede spesso, soprattutto fra gli attori, per stemperare la tensione (all’epoca andava di moda, anzi era quasi obbligatorio, imitare Totò ). E quel ragazzo, simpaticissimo, era formidabile, non solo in quella imitazione , ma in un sacco di altre invenzioni, voci, battute, etc. Tanto che io mi dissi: è chiaro che sceglieranno lui, ed è anche giusto. Toccò a me per primo entrare e fare il provino. All’uscita non me la sentii di assistere  al provino del nuovo amico, gli dissi in bocca al lupo, lo abbracciai e me ne andai, sicuro che avrebbero scelto lui. A sorpresa scelsero invece me e io mi dissi com’è strano e a volte ingiusto questo mestiere. Passarono gli anni e io continuai il mio lavoro di doppiatore. Una sera, di colpo, una sorpresa; in televisione c’era quel ragazzo di Genova ed ebbi, ancora una volta, la conferma della sua bravura e versatilità. Era Maurizio Crozza».

 9.       Quali progetti ha per il futuro?

«Sto preparando un nuovo monologo teatrale, tratto da Kafka, scritto e diretto da Luca Guardabascio, così come il precedente “Una scimmia all’Accademia“. I due monologhi, presentati insieme, formeranno una specie di dittico kafkiano.

Parteciperò poi a Salerno al cortometraggio “Per averci creduto” di Luca Guardabascio, che ha creato a Eboli l’associazione culturale Cinema Sociale99, della quale faccio parte e che tratta storie e argomenti di forte impatto sociale e civile. Poi, sempre per la stessa associazione, sarò protagonista con Kevin Capece di un film tratto da Cèchov, ambientato in un teatro di notte, e anche questo girato a Salerno».

 10.   Tre aggettivi con cui gli altri la definiscono?

«Beh, non saprei. Forse bisognerebbe chiederlo agli altri. Scherzi a parte. So che vengo considerato un gentleman, quindi elegante (almeno nei modi). Mi definiscono anche buono. E poi, per non usare solo aggettivi edificanti, qualcuno mi definisce presuntuoso. Mentre altri mi definiscono modesto. Scegliete».

 11.   Tre aggettivi con cui lei si autodefinisce? Perché?

«Sono malinconico, da sempre. Per questo spesso faccio lo spiritoso, invento battute per colleghi e amici, secondo la ben nota legge del clown (triste nella vita). Sono leale, com’è anche nelle caratteristiche del mio segno zodiacale l’Ariete. Infine sono ansioso, il perché non lo so, ma so che è così (anche se, giunto a questa età sto migliorando)».

giovedì 8 settembre 2022

DIVENTARE GRANDI

di Gianluca Pepe

E poi arriva l’estate a siglare la fine di un anno lavorativo. Le vacanze così lontane e sognate, finalmente arrivate, la voglia di partire in direzione del mare per godersi il meritato relax lasciando tutti i problemi e i pensieri a casa, staccare la spina e accenderla solo alla fine di un meritato riposo. 6 agosto ore 4:00 del mattino in macchina direzione Viareggio; città conosciuta grazie al meraviglioso carnevale ma sottovalutata invece nel periodo estivo per chi ha bambini. Chi ha famiglia pensa a posti come Bellaria, Riccione o Igea Marina conosciute per il divertimento, sottovalutando la magnifica passeggiata sul lungo mare di Viareggio, non considerando la Pineta luogo magico per chi ha dei bambini, i giochi, le giostre, i baretti, il noleggio bici e la buonissima ciambella del Gatto Nero, chioschetto all’interno della pineta.

Poi la mattina di ferragosto ti trovi a contemplare il mare, guardare all’orizzonte per capire dove finisca questa meraviglia impetuosa, calmo ma nello stesso tempo con le sue onde sonore che ti culla in pensieri, desideri, sogni. Inizi a volare con la fantasia cercando di fare progetti per il futuro e sperando che qualcosa nell’anno nuovo porti dei cambiamenti. Metti a fuoco, e cerchi di focalizzare un punto, che non deve mai essere un punto d’arrivo ma di partenza, perché nella vita ti devi sorprendere sempre, e non fermare mai infatti si dice che chi si ferma sia perduto. Poi in sottofondo la canzone  dei Righeira “L’estate sta finendo” che dice: “L’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va [….]” Si perché si cresce, si diventa grandi anche se questo non ci piace, vorremmo rimanere sempre bambini; e allora si cerca di lasciare qualcosa che faccia ricordare di noi! Come un treno freccia rossa ti passano davanti tutti i momenti vissuti da quando eri piccolo fino ad aggi, ti volti guardi tuo figlio e speri che un domani possa raggiungere sogni e obbiettivi che magari tu non sei riuscito a realizzare. Cerchi di fare in modo che ogni giorno che passa lui abbia il sorriso stampato, che negli occhi abbia sempre la gioia di un bambino e che un domani ripensi a tutti i momenti belli trascorsi e capisca la bellezza della vita.  



 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...