giovedì 28 maggio 2020

CAPITOLO 47, CAPITOLO 48, CAPITOLO 49, CAPITOLO 50



47  BAGNO AL MARE? NO, ACQUA SANTA!

Tutti pronti per partire per questa nuova avventura insieme, direzione Lourdes. Ore sette di sera tutti in stazione centrale a Busto Arsizio, una volta arrivati dovevamo caricare il treno. Il treno era un treno specifico con vagoni attrezzati per i malati, vi era anche il vagone infermeria, nel caso di necessità e il vagone dove poter celebrare la messa il giorno dopo. Nessuno di noi aveva mai visto quel tipo di treno, la stazione era piena di pellegrini, volontari barellieri e parenti per i saluti prima di partire.
Quella sera, oltre ai parenti, erano venuti a salutarci anche tutti gli amici dell’oratorio, i ragazzi e le ragazze con cui avevamo passato tutto l’oratorio feriale. Tra loro vi era anche Rebecca, nonostante le voci e i giudizi della gente la nostra storia proseguiva a meraviglia.
Ore venti tutti in carrozza pronti per partire, noi ragazzi dell’oratorio eravamo divisi in cuccette da quattro, e ogni cuccetta aveva un responsabile capogruppo dell’UNITALSI; io ero finito in cuccetta con Leonardo, Piero e Riccardo -un ragazzo simpaticissimo che era il nostro capogruppo-. Ognuno di noi aveva un turno di guardia in modo da essere sempre reperibili in caso di necessità per qualche servizio ai malati o per eventuali imprevisti che potevano accadere. Io e Leonardo avevamo il primo turno, forse quello più pesante dalle nove di sera alle cinque del mattino,  quindi subito una volta partiti, dopo ci davano il cambio Riccardo e Piero che avevano il secondo turno dalle cinque a mezzogiorno.  Tutti quelli del primo turno dovevano passeggiare nei corridoi per vedere se procedeva tutto perfettamente e ovviamente ne approfittavamo per parlare e tenersi svegli l’un l’altro. Devo dire  che nonostante fosse il turno più pesante era anche il più bello perché essendo notte vi era l’arietta fresca e comunque si poteva guardare tutto il paesaggio e lo spettacolo del cielo stellato che ti passava davanti, uno spettacolo unico. Intanto il nostro capogruppo ci raccontava un po’ di cose di Lourdes, le sue esperienze, ad un certo punto ci disse: “Godetevi a pieno questa esperienza, perché fare il barelliere non vuol dire solo aiutare la gente, ma tornerete a casa con un carico d’esperienza inimmaginabile e imparerete tanto!” Noi ovviamente alla nostra prima esperienza non capivamo, anche perché sapevamo che noi andavamo per fare del bene e non avremmo potuto immaginare che sarebbe stata una lezione di vita bellissima per noi. Alle cinque arrivammo al primo stop, Ventimiglia, noi tutti volontari con tutti i capogruppo dovevamo scendere dal treno per fare rifornimento. Fare rifornimento che significa?  Praticamente c’erano bancali di cibo, bevande, carta, caffè, sapone, bende, farmaci… tutto quello che serviva per il viaggio per tutti gli ammalati, per le colazioni e per il pranzo praticamente tutto. Una volta fatto rifornimento, si ripartiva per la nostra meta.
Intanto il turno mio e di Leonardo era finito, iniziava il secondo turno quello di Riccardo e Piero, quindi noi che aveva fatto il turno rientravamo nella cuccetta per dormire. Una volta toccato il letto, tempo due secondi e ci addormentammo dormendo profondamente fino alle dieci, praticamente solo cinque ore, si perché purtroppo visto che erano letti a castello e io ero nel letto sotto, da sotto la tendina entrò un raggio di sole che mi svegliò e non riuscii più a prendere sonno. Così uscii ed aiutai anche nel secondo turno a distribuire le colazioni per gli ammalati.
Alle dieci e mezza ci fu la Messa per tutti, gli ammalati che riuscivano e i barellieri che non erano di turno potevano andare nel vagone attrezzato per la messa, ovviamente non ci si stava tutti, quindi la messa si poteva ascoltare dalle casse che vi erano in tutto il treno. Finita la messa bisognava andare in un vagone attrezzato per preparare i sacchetti del pranzo e portarli a tutti i viaggiatori. A mezzogiorno ci fu il pranzo, e poi continuammo il viaggio aspettando di arrivare, sempre parlando e guardando fuori il meraviglioso paesaggio.
Finalmente alla fine  arrivammo a destinazione, non mi ricordo bene a che ora. Una volta arrivati dovevamo scaricare il treno da tutto quello che era avanzato, far scendere tutti i passeggeri, caricare tutto sui pullman che ci avrebbero portato alla struttura ospedaliera dove avremmo iniziato l’avventura.
Ci dividemmo in camere, io ero nella camera da tre ed ero con Leonardo e Piero, gli stessi compagni di vagone mentre Riccardo era con altri amici; quella sera ricordo che non facemmo nulla perché eravamo morti e la sveglia mattutina era alle cinque, quindi andammo subito tutti a letto.


Il pellegrinaggio poteva iniziare, per noi volontari vi erano regole ben precise.  
L’abbigliamento per i maschi jeans azzurri e maglietta polo blu scuro fornita dall’UNITALSI, per le ragazze invece vestito da crocerossine bianco: ad agosto con almeno 30° all’ombra, non vi dico il caldo.
La nostra giornata era così composta: ore cinque del mattino sveglia, lavarsi e prepararsi, alle sei tutti giù nel cortile per andare nel palazzo affianco a prendere gli ammalati, chi in carrozzina chi col risciò. Il risciò, era tipo una carrozza verde dove salivano gli ammalati che non erano in carrozzella, erano portati da due persone, un barelliere lo doveva tirare da davanti e un barelliere lo spingeva da dietro, bisognava essere per forza in due altrimenti era un massacro. Una volta recuperati tutti gli ammalati, bisognava portarli al salone per la colazione, si preparavano tutti i tavoli e si aiutava a fargli fare colazione. Finito ciò, si sparecchiavano tutti i tavoli, si puliva e alle sei e mezza si partiva per andare in chiesa dove alle sette iniziava la messa per gli ammalati. Una volta finita la messa alle otto si riportavano al palazzo, e alle otto e mezza andavamo a fare colazione noi fino le nove, finita colazione si ritornava a prendere gli ammalati per portali in giro tipo processione. Questo fino mezzogiorno, perché poi bisognava  portarli nella sala pranzo dove si preparava per farli mangiare, li servivamo, sparecchiavamo e pulivamo. Finito il pranzo li riportavamo nelle stanze per il riposino e noi andavamo a mangiare. Avevamo  un’ora a nostra disposizione per mangiare e ripulire; poi solo mezzoretta di relax, per poi tornare a riprendere gli ammalati per il giro di svago quotidiano. I capogruppo ci consigliavano ogni giorno di cambiare ammalato per due semplici motivi, il primo era in modo da non affezionarci troppo alla persona, e il secondo motivo  perché potevamo conoscere più ammalati e le loro esperienze. Il giro di svago diciamo così, finiva alle quattro del pomeriggio, perché poi iniziava la messa quindi si tornava in chiesa fino le cinque. Alle cinque ultimo giretto per gli ammalati e alle sei di nuovo in stanza mentre noi ci recavamo nella sala colazione per preparare i tavoli per la cena. Alle sette si tornava a prendere gli ammalati in modo da farli cenare. Finita la cena, si andava in sala relax con loro e chi voleva giocava a carte, guardava la televisione sempre con gli ammalati oppure,  ogni giorno ci inventavamo uno spettacolino, si facevamo delle canzoni, o dei giochi, tutto per farli divertire e li, la conoscenza diventava più forte perché ci raccontavano le loro esperienze, la loro malattia e la loro gioventù, il rapporto si rafforzava. Non affezionarsi a loro era impossibile! Tutto questo fino alle nove perché dopo iniziava la processione per la città con solo la luce delle candele che ognuno aveva in mano, fino ad arrivare alla grotta di Lourdes dove si celebrava il rosario e alle undici si riportavano gli ammalati in camera. La giornata a questo punto era finita, il Don dopo ci dava tempo libero illimitato, quindi potevamo fare svago, ricordandoci però che alle cinque ripartiva tutto; così per sette giorni consecutivi. Noi reggevamo solo fino mezzanotte a parlare scherzare poi crollavamo tutti dalla stanchezza.


48  L’ATMOSFERA TRADISCE

I giorni passavano velocemente, l’atmosfera che si respirava lì era fantastica: un’esperienza di vita veramente unica. Noi dell’oratorio nel poco tempo libero che ci rimaneva avevamo fatto amicizia con altri ragazzi che erano venuti a fare anch’essi i volontari, eravamo diventati un unico gruppo. 
Ogni tanto i miei compagni d’oratorio, mi chiedevano come andava con Rebecca per tenersi informati, per vedere se io avessi cambiato idea. Un giorno ebbi un confronto anche col Don, mi disse di lasciarla perdere, che era una storia che non aveva un futuro, che non poteva continuare e che sicuramente lei al mare si era già dimenticata di me e magari mi faceva anche le corna.
Io e Leonardo  intanto avevamo stretto una forte amicizia con tre sorelle che venivano anch’esse da Busto, e io mi avvicinai tanto ad una di loro e il nostro rapporto stava cambiando. Ma in cuor mio sapevo che stavo commettendo un grosso errore, solo che la pressione dei miei amici e le parole del Don iniziavano a farmi pensare: e se Rebecca si fosse veramente dimenticata di me e se mi avesse fatto le corna?
Intanto, la nostra vacanza stava giungendo al termine, eravamo arrivati all’ultimo giorno. Forse quello più bello ed intenso. La giornata era composta così: sveglia per tutti alle sei, prepararsi e per le sette andare a prendere gli ammalati, portarli a fare colazione solo che sta volta la facemmo tutti insieme fino alle nove, poi ci mettemmo in marcia per andare in chiesa a celebrare una messa speciale, dove finito ciò tutti i barellieri volontari vennero chiamati sull’altare uno ad uno, per ricevere un attestato e un piccolo dono per il lavoro svolto. Sotto l’applauso di tutti i pellegrini e il loro ringraziamento, una messa veramente commuovente. Finita la messa, giro con loro per la città fino l’ora di pranzo quando facemmo ritorno al palazzo per pranzare tutti insieme. Poi come sempre riposino per tutti, anche per noi sta volta. Alle tre ritrovo per recuperare gli ammalati per portarli in giro, chi a prendere souvenir, chi a far foto ricordo per Lourdes, chi a riempire le bottigliette d’acqua santa. Una scena che non dimenticherò mai è di Gennaro e Carlo, due miei grandi amici tifosissimi dell’Inter, che avevano portato una maglietta dell’Inter appunto e l’avevano messa sotto l’acqua santa. Tutti giù a ridere!
Altri ammalati invece venivano, accompagnati nella struttura dove vi era la piscina per fare il bagno nell’acqua santa. Anche molti di noi lo fecero e dissero che era un’esperienza veramente unica, praticamente ti lasci cadere dentro l’acqua santa freddissima ed esci asciutto, così dicono. Purtroppo non tutti riuscimmo a farlo perché la coda era lunghissima e questo è un piccolo rammarico che porto nel cuore. Finito tutto questo, intorno alle quattro portavamo gli ammalati in sala relax, dove chi voleva poteva stare lì con loro chi voleva invece poteva andare a comprare qualche ricordo da portare a casa; io, Leonardo e le tre sorelle eravamo sempre insieme. Alle sei si tornava e si preparava per la cena, sempre tutti insieme, alle otto finita la cena ci si recava sul piazzale dove si fece una processione speciale, arrivando fino ad una chiesa bellissima, lì vi era la messa in tutte le lingue. Fu l’ultima messa prima del ritorno a casa, ognuno aveva i posti predestinati: pellegrini da una parte, crocerossine, barellieri, medici, forze dell’ordine dall’altra, uno spettacolo unico. Finita la messa, intorno alle dieci di sera;  tutti in sala relax, per lo spettacolo che noi avevamo organizzato per tutti gli ammalati come ringraziamento della magnifica esperienza, e del tempo passato insieme. Alla fine dello spettacolo, i saluti con quelli che avevano scelto di tornare a casa con l’aereo. Lacrime e abbracci, perché come avevano già detto i capogruppo all’inizio della vacanza, ci eravamo affezionati a loro. Invece per tutti gli altri che ritornavano col treno, era ora di riaccompagnarli nelle stanze per la notte. La giornata a questo punto finiva, come sempre intorno alle undici. Arrivò il momento del nostro relax e tempo libero; essendo l’ultima sera ed essendo stata una vacanza eccezionale, nessuno voleva andare a dormire, avevamo il magone. Alcuni rimasero in sala relax, invece io insieme ad altri, ci recammo per l’ultima volta alla grotta della madonnina, per l’ultimo saluto. Quella sera purtroppo, sarà l’atmosfera, sarà che era l’ultima sera, sarà l’amicizia nata, saranno state le parole degli amici e del prete che continuavano a girarmi in testa, tra me e una delle sorelle scattò un bacio! Mi accorsi subito del mio errore, e quindi tornai subito nella mia stanza. Tra noi ci fu soltanto quel bacio.


49  RITORNO A CASA

La mattina la sveglia era sempre presto, dovevamo caricare il pullman, che ci avrebbe accompagnato in stazione. Ore sette: tutti gli ammalati come all’andata, venivano portati con un pullman speciale; li avremmo rivisti in stazione. Alle otto eravamo tutti pronti per partire, ricaricando il treno praticamente come l’andata. Una volta carico il treno, bisognava aspettare l’orario di partenza. Allora noi, per ammazzare un po’ il tempo e non farlo sentire troppo lungo, iniziammo ad andare avanti e indietro per la stazione facendo canzoni e balli sotto lo sguardo di tutti i passeggeri affacciati ai finestrini. Applauso guadagnato era ora di partire!
Come all’andata, eravamo divisi in cuccette e a turni, io e Leonardo avevamo sempre il primo turno, ma siccome era giorno, era dalle dieci di mattina alle sei di pomeriggio; poi cambio con gli altri due compagni di cuccetta. Siccome nessuno voleva tornare a casa tutti ci sparammo un turno unico, fino alle tre di notte, dopo a letto e subentrarono tutti i capogruppo dell’UNITALSI.
Guardando fuori, il bellissimo paesaggio e parlando tra noi io continuavo a pensare allo sbaglio che avevo commesso, non mi davo pace. Ad un certo punto, alcuni miei amici iniziarono a prendermi in giro, dicendomi: “Che te ne frega, è capitato, del resto pensavi che la storia con Rebecca fosse andata avanti!  Si vedeva che era solo una storia estiva.” Ma io nella mia testa sapevo che non era così, ci stavo malissimo. Ad un certo punto un altro mio amico, Giovanni, mi disse:  ”Dai Pe, guarda il lato positivo, almeno questa ragazza è più grande, non fai il pedofilo!” A quella frase non capii più nulla, lo spinsi nella cuccetta e gli tirai uno schiaffone, sotto lo sguardo  degli altri e del Don. Subito capirono che in realtà per me vi era qualcosa di forte nel cuore e capirono che dovevano smetterla. Intanto che il viaggio   continuava, il Don ne approfittò per parlare con me. “Vedrai che quando tornerai a casa, spiegando bene le cose, tornerà tutto a posto! Poi ascolta il mio consiglio, state tornando a casa con un bagaglio d’esperienza immenso, non sprecatelo. Questa è una parte di vita che porterete sempre nel cuore, ora che torniamo a casa non ti staccare ancora dall’oratorio, rimani e torna  a fare catechismo. Poi perché non scrivi un articolo su CantoNovo[1]?” Io però non avevo mai scritto un articolo quindi ero dubbioso. Il Don mi capiva sempre, non voleva più che cadessi in depressione e voleva che stessi legato all’oratorio perché vedeva in me un grande potenziale, che io non vedevo ancora!
Il tempo volò velocemente sta volta, arrivammo alla stazione di Busto dove era piena di parenti e amici che ci aspettavano. Per tutti tranne che per me, sì perché Chiara era al mare e i miei zii anziani rimasero a casa ad aspettarmi. Saluti finali con i compagni di viaggio, abbraccio come sempre con la mia grande amica del cuore Veronica che mi era stata molto vicino in quei giorni, tirandomi sù, facendomi sfogare, dicendomi che si sarebbe chiarito tutto; meno male che come sempre al mio fianco c’era lei. Arrivarono anche le tre sorelle a salutare me e Leonardo, la ragazza che avevo baciato voleva che continuassimo la relazione ma io non me la sentivo proprio, così le dissi che era stato solo uno sbaglio e tornai a casa.


50  CHIARIMENTI E ARTICOLO

Le vacanze stavano giungendo al termine, eravamo quasi arrivati a fine agosto, tornò anche Rebecca dal mare. Io dovevo spiegarle la situazione e sperare che mi perdonasse, non mi ricordo bene come andarono le cose, so solo che mi perdonò e rimasi con lei più forte di prima.

Intanto a fine agosto uscì il nostro giornalino parrocchiale CantoNovo e trovai un articolo scritto da una mia compagna di viaggio, Ada, che raccontava la magnifica esperienza di questo pellegrinaggio.

“Lourdes: un ricordo che ti accompagna!
Lourdes è un esperienza che rifarei perché mi ha lasciato tanto, forse troppo. Sul treno dell’andata avevo mille incertezze e la presunzione di credere di voler andare a fare chissà quale grande cosa… in realtà stavo andando a ricevere un’emozione forte, un’esperienza indimenticabile. Ciò che più mi ha colpito di Lourdes è l’estrema semplicità delle persone, dei gesti, degli sguardi e dei sorrisi… Semplicità e rispetto non solo da parte di dame e barellieri nei confronti dei malati, ma anche e soprattutto viceversa. Porto nel cuore la signora Carla che si preoccupava che io non mi affaticassi troppo nel trasportarla in carrozzina o la signora Giovanna che, con i suoi occhi azzurri un po’ stanchi, mi accoglieva sempre con un dolce sorriso e mi insegnava con umiltà i suoi valori più grandi. A Lourdes ho respirato un’atmosfera di preghiera e raccoglimento mai provata prima. Un raccoglimento non imposto, ma che viene spontaneo assumere quando vedi un giovane in ginocchio davanti alla grotta o un’anziana signora stringere con fede un flambeau tra le sue mani segnate dal tempo. Nonostante le molte funzioni e processioni, le ore sembravano quasi scorrere a rilento, come se mi volessero dare la possibilità di cogliere anche lo sguardo più sfuggente o la preghiera più silenziosa. Penso che Lourdes,  sia un’esperienza forte e d’impatto soprattutto per noi giovani che, con i nostri sorrisi e il nostro entusiasmo, possiamo davvero portare una ventata di freschezza tra anziani e malati. Lourdes è preghiera, fede, servizio e dedizione, ma anche comunione, contatto umano, condivisione… e il donarsi agli altri fa nascere un ricordo che ti accompagna a lungo dopo il ritorno”.                                           

A leggere l’articolo di Ada, cominciai a pensare alla proposta del Don, cioè di scrivere anche io un articolo su CantoNovo. Così un giorno che ero a casa, mi misi in sala da solo e riguardando tutte le migliaia di foto che avevo fatto a Lourdes, ripensando a tutti i momenti belli trascorsi con i miei amici, ma soprattutto con gli ammalati, prendendo un foglio bianco e una penna incominciai a scrivere. Io avevo sempre avuto il dono della scrittura, in molti me lo dicevano. Ogni volta che mi mettevo da solo a pensare con un foglio bianco davanti e una penna in mano, la mia fantasia mi si apriva, si apriva un mondo nuovo, le emozioni uscivano da sole e il foglio bianco iniziava a prendere colore, cosa ne uscì quel giorno? Quel giorno ne uscì l’articolo per CantoNovo, venne pubblicato nel mese di settembre.  Appena uscì, tanti furono i ringraziamenti da parte della gente, tante furono le chiamate di complimenti per ciò che avevo racchiuso in poche righe, la felicità per ciò che avevo fatto era tanta. Il primo settembre, avevamo il pranzo in oratorio organizzato dall’UNITALSI, ci volevano ringraziare nuovamente per l’ottimo lavoro svolto a Lourdes. Dopo pranzo tutti in teatro a vedere le foto della vacanza, finite le foto, pensieri e ringraziamenti dal responsabile dell’UNITALSI, sul palco. Ad un tratto il mio articolo, letto davanti a tutti, imbarazzo totale, ero uno molto timido, diventai  tutto rosso, un applauso unico perché in quelle poche righe avevo centrato il cuore di tutti!  Cosa scrissi?      

“INDELEBILE
Leggendo il pensiero che ha scritto Ada su Lourdes, mi viene da scrivere che ha proprio ragione quando dice che Lourdes è un’esperienza che ti lascia molto, o forse troppo. All’inizio ero spaventato, avevo paura di non essere capace, che potevo sbagliare o combinare qualche guaio. Ma arrivato lì capii che mi sbagliavo, Lourdes è un’esperienza che consiglio a tutti, la rifarei ancora 1000 volte. Quando arrivi, capisci che si è tutti nella stessa barca, come in una grande famiglia, un clima unico, fantastico, che non trovi da nessuna parte. Gli ammalati ti insegnano molto; parlando con una signora, raccontandomi della sua vita piena di operazioni e difficoltà, anche familiari, mi colpì la grinta, la voglia di andare avanti, di non arrendersi per nessun motivo, una voglia che sinceramente io non troverei mai e mi chiedo da dove usciva tutta questa grinta. Mentre facevamo il viaggio di ritorno, mi tornarono in mente tutti i momenti bellissimi; e il dispiacere che fossero finiti. Lourdes è un posto veramente unico, che ti insegna molte cose, soprattutto a crescere. E’ un’esperienza che consiglio a tutti, perché  è come un pennarello indelebile che ti lascia il segno. Lourdes:  ” Una volta che provi questa meravigliosa avventura, ti lascia il segno nel cuore!”


[1] CantoNovo, sarebbe il nostro giornalino parrocchiale, che esce mensilmente nella nostra chiesa. Su di esso vengono scritte tutte le cose riguardanti la chiesa: parole del Papa, del Monsignore di Busto, pensieri di noi ragazzi, messe, donazioni, spese della chiesa, battesimi, matrimoni morti mensili, vi  sono anche foto del mese praticamente tutto quello che riguarda l’ambito religioso

giovedì 21 maggio 2020

CAPITOLO 44, CAPITOLO 45, CAPITOLO 46



44  ARRIVA NATALE

Il tempo passava troppo velocemente, le cose intanto sembravano non voler cambiare… io ero sempre a casa. Trovare un lavoro si stava rivelando una missione impossibile. D'altronde con solo il diploma di licenza media non era per niente facile.
Arrivò così il Natale, io come sempre dovevo e volevo andare a festeggiarlo a Milano con i miei fratelli e mio papà perché non li vedevo da tanto, ma nello stesso tempo non volevo lasciare gli zii da soli, così papà provò a invitare lo zio e la zia a festeggiarlo  tutti insieme ma loro non vollero. Io invece feci a Milano dal 23 al 27 e, come ogni Natale, fu spettacolare. Si partiva a mangiare a mezzogiorno e si finiva alle sei, il cibo era fantastico, questo era il bello di avere un padre cuoco!  Le giornate trascorrevano così: a mezzogiorno tutti a tavola iniziando dai mille antipasti (affettati di salumi, cipolline, carciofi,funghetti, cetrioli, insalata di pesce, polipo con patate, gamberetti in salsa rosa, lumachine, (per me e mia sorella Sofia) capesante e cozze gratinate, impepata di cozze, ostriche crude (per papà e Ciro),  invece del pane mio papà faceva dei piccoli panzerottini di pane salati con il finocchietto, che erano una bomba per il palato, dopo due minuti finivano subito), poi passavamo al primo (pasta con cozze e vongole, perché papà  non poteva più cucinare l’astice, era diventato allergico -infatti una volta cucinandone uno al ristorante diventò tutto rosso e non riusciva più a respirare, dovettero portarlo in ospedale dove  gli dissero che era intollerante ai crostacei-), finito il primo si passava ai secondi di pesce (siccome mio papà era una testa dura e non era Natale senza crostacei, lui li cucinava lo stesso -per non sentirne l’odore e non stare male, apriva la finestra e la porta del balcone della cucina in modo da far girare l’aria e ogni tanto usciva a prendere una boccata; infatti in cucina c’era un freddo allucinante- : scampi e scamponi al forno -una favola, era il migliore ai fornelli-), sorbetto e dolce anche quello fatto da lui, panettone ripieno di cioccolato, panna con fragole, pastiera napoletana (che era il suo forte) frutta fresca, frutta secca e caffè.
Questo era il nostro pranzo di Natale dei tre giorni, si perché i terroni festeggiano e mangiano 24/25/26. Essere un terrone ha i suoi vantaggi!
Finito di mangiare pausa sigaretta per chi fumava, si portava giù il nostro cane, un bellissimo pitbull femmina che Marco aveva regalato a papà, si aprivano ovviamente i regali e poi da napoletani doc si giocava a carte puntando chiaramente soldi.  Si giocava a bestia, un gioco tipo la briscola ma se perdi paghi la bestia che sarebbe tutta la puntata che c’è nel piatto.
Si giocava fino le otto, poi si tornava a mangiare (ravioli in brodo per digerire il tutto, dolce e frutta)  e finito di cenare, si tornava a giocare fino l’una o le due. Poi tutti a ninna per ricominciare il giorno dopo.


45  SALVO PER MIRACOLO

Dopo Natale tornai a Busto per festeggiare il capodanno con gli amici, niente di speciale, una serata in discoteca. Così finì purtroppo un altro anno bisognava rimboccarsi le maniche per cercare un lavoro, per aiutare ovviamente gli zii e per non vivere sulle loro spalle.
Intanto arrivò il sedici gennaio, il giorno del mio diciannovesimo compleanno, la zia nonostante tutti i problemi non si dimenticava mai di me anzi, trovava sempre il tempo per cercare di coccolarmi, d’altronde ero il suo bambino! Lo zio invece, a causa della malattia e dell’ictus che ormai gli aveva  preso anche la testa stava cambiando nei miei confronti. Zia, per festeggiare il mio compleanno mi fece un pranzetto che era una delizia, e come regalo oltre a dei vestiti mi regalò un po’ di soldi dicendomi di comprare quello che volevo. Poi ovviamente la sera andai a festeggiare con i miei amici in discoteca, per bere e rimorchiare le ragazze. Ero ancora single, e in quel periodo io e i miei amici facevamo a gara a chi se ne faceva di più,  devo dire che da quel punto di vista non mi andava tanto male!
Tutto passava troppo velocemente, svolte positive non ve ne erano, riuscivo solo a trovare qualche lavoretto in nero di qualche settimana o mese, ma nulla di regolare. Però ovviamente mi andavano bene anche quelli, l’importante era guadagnare qualche soldo. Lo zio, non si sa per quale motivo non mi sopportava più, non mi voleva più in casa, voleva che me ne andassi, ma la zia ovviamente non voleva assolutamente, diceva che se me ne andavo io se ne sarebbe andata anche lei lasciandolo da solo. Io e lo zio iniziavamo a litigare spesso anche per cavolate, il rapporto purtroppo si stava pian piano rompendo. Tutto colpa della malattia!

Iniziavo a sentirmi oppresso, il lavoro che non arrivava, la zia sempre triste, lo zio che mi attaccava sempre per qualsiasi cosa. Non ce la facevo più stavo per ricadere nel dolore psicologico, mi sentivo scoppiare!  Cadere in depressione era l’ultima cosa che volevo in quel momento, ma purtroppo era quello che stava per accadere. Nella mia testa iniziavano a ritornare i pensieri di farla finita, non ce la facevo più con quella vita, fino ad allora solo sofferenze, praticamente mi era passata tutta l’infanzia davanti senza che me ne accorgessi, non avevo potuto mai divertirmi come i bambini normali.
L’adolescenza, gli anni più belli, erano volati e pochi erano i momenti in cui mi ero divertito veramente, stava andando tutto troppo veloce. Avevo bisogno di staccare la spina,  così non si poteva andare avanti; mi stava iniziando anche a venire in mente di lasciare tutto e trasferirmi a Milano da papà, ne parlai con lui e lui era contento, era quello che avrebbe sempre voluto. Così ne parlai anche con la zia, però lei era tristissima non voleva assolutamente che la lasciassi da sola con lo zio, ero il suo unico punto di forza, mi amava come si dovrebbe amare un figlio. Si leggeva chiaramente in faccia, e nei suoi occhi che soffriva e che non ce l’avrebbe fatta senza di me. Lei ne parlò anche con lo zio, lui era felice di quella mia decisione non vedeva l’ora, ma io sapevo che era tutta colpa della malattia. Quando stava bene, mi voleva un bene immenso, non mi avrebbe mai abbandonato, prima della malattia ero intoccabile. Io ero in sala a giocare con la play station, era l’unica cosa che non mi faceva pensare ai problemi, sentii la zia che litigò  pesantemente con lo zio dicendo che se io me ne fossi andato se ne sarebbe andata anche lei. Non potevo lasciarla sola in un momento così non me la sentivo, ma soprattutto non potevo lasciare solo neanche lo zio, non era colpa sua se era diventato così. In fondo gli volevo un gran bene anche se non volevo ammetterlo.

Meno male che in tutto sto casino eravamo giunti a giugno, lavoro non ce n’era, io con gli ultimi risparmi del precedente lavoro mi ero fatto convincere dai miei amici e dal don ad andare con l’Unitalsi a Lourdes come volontari barellieri per portare in  giro gli ammalati. Questo prevedeva degli incontri serali per prepararci al nostro pellegrinaggio, che sarebbe stato ad agosto quindi niente mare!
Intanto stava iniziando l’oratorio feriale…  la mia salvezza, parlai con la zia, le spiegai che sarei rimasto, ma visto che stavo per scoppiare avrei fatto il feriale e le vacanze a Lourdes. Al rientro mi sarei dato da fare per cercare un lavoro.
Così feci, iniziai di nuovo una magnifica estate da animatore… fu veramente la mia salvezza! Di nuovo quattro settimane intense con i miei amici, ero sempre il primo ad arrivare in oratorio e l’ultimo ad andare via, infatti il Don confidava molto in me dandomi tutti i ruoli più importanti. Ore sette e mezza apertura, quindi in segreteria per l’accoglienza ai genitori e ai bambini finchè non arrivavano i primi animatori, poi io mi staccavo dalla segreteria e con Davide (uno dei miei migliori amici) organizzavamo con gli altri animatori la pulizia dell’oratorio -visto che nelle sere d’estate c’era un torneo di calcio a cinque, lo Spadea  dove ovviamente giocavo anche io,  la mattina vi era un casino e sporcizia immaginabile di bottiglie di birra, lattine di coca cola, vaschette delle patatine tutto per terra- poi alle dieci, quando arrivavano tutti gli animatori, preghiera in cappellina e riunione per organizzare la giornata e poi via col divertimento.
Il momento più difficile del feriale è sicuramente l’ora di pranzo, perché devi riuscire a tenere cinquecento bambini (perché il nostro oratorio era l’unico con tante presenze) seduti buoni, senza farsi lanciare le posate, il cibo, l’acqua, praticamente un’impresa incredibile.
In più come se non bastasse il Don quell’anno mi aveva affidato un bambino tipo quello del film “Piccola peste”, infatti era soprannominato da tutti gli animatori Satanello. Nessun animatore riusciva a tenerlo, ne combinava sempre una, tirava i capelli alle bimbe, sputava agli animatori, rubava le cose e le nascondeva, faceva gli scherzi col cibo, praticamente un piccolo diavolo. Era anche in cura dallo psicologo, pensare che il padre era in polizia, quindi l’acqua Santa e il diavolo! Solo io riuscivo a tenerlo e lui solo con me voleva stare. Come mai? Praticamente gli altri animatori quando combinava qualcosa lo portavano sempre dal Don e poi ci pensava lui, infatti era legatissimo al prete.
Un giorno Francesca, un’animatrice, mi chiamò per darle una mano, perché non ce la faceva più con lui. Presi  Satanello e gli dissi che l’avrei portato dal Don ma lui nulla continuava, ad un certo punto persi la pazienza lo presi dalla maglietta e lo alzai attaccandolo al muro, ma senza alzargli le mani, però gli dissi: “Se vuoi andare d’accordo con me, vedi di finirla di comportarti così!” Lui mi guardò con due occhioni, non spaventato  ma bensì come se avesse avuto un’illuminazione! Da quel giorno non si staccò più da me, mi cercava sempre e quando veniva affidato ad altri animatori ne combinava di tutti i colori per farsi portare da me, con me invece diventava un angioletto. Nell’ora di svago la mattina al feriale c’era chi faceva i compiti, chi giocava, chi disegnava… Satanello  era tra quelli che disegnava ad un certo punto gli dissi: “Fai un disegno tutto per me!” Alla fine dell’ora tornai da lui per vedere cosa mi aveva disegnato, a vedere il disegno rimasi allibito, non credevo ai miei occhi. Mentre tutti gli altri bambini avevano disegnato chi i fiori, chi la famiglia, chi gli animali, lui aveva disegnato un carro armato, ma non un disegno da bambino di undici anni, come aveva lui, ma un disegno da professionista con tutti i dettagli e le rifiniture, perfetto in ogni particolare. Allora gli domandai: ”Come mai questo disegno?”La sua risposta mi lasciò di stucco, mi disse: “Mi piace la guerra!”
Adesso iniziavo a capire come mai era in cura dallo psicologo… ero legatissimo a lui e lui a me. Non era l’unico che era legato a me, perché quell’anno da animatore ero riuscito a conquistare l’amore di tanti piccolini e piccoline, tutti sembravano voler stare con me, mettevo fiducia e li facevo sempre divertire.
Un’altra bambina che non voleva staccarsi mai da me era Greta, una bimba brasiliana,  adottata anche lei da piccola… era una piccola peste. Ricordo che tornavo a casa sempre pieno di morsi perché a lei piacevano si le coccole, infatti stava sempre tra le mie braccia, ma ogni tanto mi mordeva lasciandomi il segno dei denti.
L’estate procedeva alla grande ero tornato in piena forma.


46  ALL’IMPROVVISO TU

Quell’anno procedeva alla grande, ma un giorno accadde quello che mai mi sarei aspettato!
Tra le ragazze ve ne era una di nome Rebecca, aveva 14 anni, ed era la cugina di Veronica, la mia migliore amica. Io ricordo che l’avevo già conosciuta qualche anno prima ad una festa dell’asilo. Quel giorno ero alla festa con Veronica ed ad un tratto si avvicinò Rebecca per salutare sua cugina, quando se ne andò io dissi a Veronica: “Carina tua cugina!”  Ma lei mi rispose subito: “Lascia stare mia cugina Pe, è troppo piccola per te!” Lo ricordo come fosse ieri!
Adesso me la ritrovavo al feriale e, come se non bastasse, era una delle ragazze che aveva voluto stare ad ogni costo nella mia squadra ! Si perché alcuni animatori, erano caposquadra e io ero il capitano dei gialli. Gira e rigira, giorno dopo giorno, tra me e Rebecca stava nascendo qualcosa. Il problema era che io avevo 19 anni e lei ne aveva 14, quindi nessuno avrebbe accettato la mia relazione con lei. E così fu!
Ci mettemmo insieme, ma da quel giorno eravamo giudicati da tutti, io ero sempre richiamato dai ragazzi più grandi che volevano che lasciassi Rebecca, dicevano che era solo una cotta estiva, secondo loro. Un giorno anche il Don mi chiamò a rapporto dicendomi: “Gianluca cosa stai facendo, non vedi che è solo una ragazzina? Ha solo 14 anni e tu 19; per lei sei solo un’infatuazione, un amore estivo. Finita l’estate vi lascerete e magari sarai qui a starci male. Tronca prima che sia troppo tardi! Poi voi siete i loro animatori quelli che devono curarli, farli divertire, farli crescere e dovete essergli d’esempio!” Il problema  era che io sono testardo, quando mi impunto su una cosa deve essere quella e più la gente mi diceva che dovevo lasciare stare, più mi impuntavo a continuare e a dimostrare loro che si sbagliavano, che non era solo una cotta estiva ma che sarebbe durata. Almeno quello era quello che pensavo io!

Una sera mentre stavo uscendo dall’oratorio per tornare a casa ebbi uno scontro imprevisto… la mamma di Rebecca venne fuori dall’oratorio per parlarmi, io ovviamente oltre ad essere imbarazzato ero spaventato perché sapevo che sicuramente non gradiva la mia relazione con la figlia, infatti scendendo dalla macchina tutta arrabbiata, mi iniziò ad urlare dietro dicendomi di lasciare stare sua figlia, di girarle alla larga che io per lei ero solo una cotta estiva e basta, che era troppo piccola per pensare ai ragazzi e che io l’avrei solo usata e poi gli avrei spezzato il cuore, detto questo prese e se ne andò senza neanche farmi parlare.
Bè come primo incontro con i suoi genitori prometteva sicuramente bene! Io ovviamente da quel momento mi impuntai ancora di più, come se fosse diventata una sfida personale, nessuno mi poteva più fermare! Il feriale stava giungendo al termine, si stavano avvicinando le vacanze vere, chi partiva per il mare con i genitori, chi partiva da solo, chi partiva con l’oratorio… Chiara sarebbe partita con i genitori per il mare, io quell’anno ero nel gruppo di quelli che sarebbero partiti con l’oratorio, la vacanza a Lourdes  si stava avvicinando.
L’Unitalsi quell’anno festeggiava il 10° anno della loro associazione. All’inizio noi ragazzi non volevamo accettare perché ci sembrava strano fare una vacanza estiva  a Lourdes, ma poi il Don riuscì a convincere la maggior parte di noi e così fu. Prima di partire dovevamo fare delle riunioni serali con il gruppo dell’UNITALSI perché ci dovevano preparare a questo pellegrinaggio perché avremmo aiutato come barellieri. Finito il feriale e finito il corso di preparazione si poteva partire!

giovedì 14 maggio 2020

CAPITOLO 40, CAPITOLO 41, CAPITOLO 42, CAPITOLO 43



40  CROLLO PSICOLOGICO

Sembrava procedere tutto perfettamente nella mia vita, invece stava per iniziare una fase nera. Avevo diciotto anni, la malattia di mio zio iniziava a peggiorare, continuava ad andare avanti e indietro in ospedale per fare le chemio, mia zia era sempre più preoccupata per la sua salute, e io iniziavo a mettere insieme i pezzi della mia vita sempre senza domandare ma scoprendo piano piano da solo le cose.
Senza rendermene conto, col passare del tempo iniziai ad avere un crollo psicologico… non sapevo più con chi sfogarmi, con chi parlare, non c’era più il mio grande amico Alessandro che mi sapeva  sempre far ridere, non avevo nessuno di cui fidarmi, o meglio c’era Veronica ma sentivo che avevo bisogno di qualcuno che mi stesse vicino senza lasciarmi un momento solo. Sapevo che sarei crollato da un momento all’altro!

Un giorno mentre ero in casa, scrissi una lettera al Don dicendo che non ce la facevo più con questa vita, piena di sofferenza, misteri, delusioni. Avrei voluto avere una vita normale, come tutti i ragazzi della mia età. La domenica sera gliela lasciai nella casella dell’oratorio… avevo preparato tutto, il lunedì ero pronto a scappare di casa!
Preparai una lettera anche per Costanzo e una per mia zia con una videocassetta da vedere, dove spiegavo che non ce la facevo più a vivere così. La mattina successiva, uscii prima del solito di casa, avevo raccontato a mia zia che iniziavo a lavorare prima.
Mi recai alla stazione, presi il primo treno per Milano e partii! Non sapevo neanche io dove volevo andare, ma sicuramente lontano da casa, lontano da tutto e tutti! Mentre io mi allontanavo da Busto, come ogni mattina passò a prendermi a casa Costanzo che non vedendomi giù ad aspettarlo come al solito, citofonò a mia zia chiedendo di me. Lei le rispose che ero già andato a lavoro, ma Costanzo le disse che era impossibile perché non ero con lui, così lo fece entrare, parlarono e trovarono la lettera. Subito cercarono di chiamarmi ma io avevo spento il cellulare, erano preoccupatissimi! Intanto, anche il prete la mattina aveva trovato la lettera e anche lui cercò di chiamarmi. Arrivato a Milano feci un giro per la città, ad un certo punto, non so perché forse per senso di colpa verso mia zia che stava soffrendo, accesi il telefono e vidi tutte le chiamate. In quel momento mi chiamò il Don, dicendomi di tornare a casa subito perche mi voleva vedere, ma io non volevo saperne. Lui allora mi disse che se non volevo rientrare a casa mia, di andare a stare da lui che mi avrebbe ospitato per un po’ di giorni, in modo da parlarmi e tranquillizzarmi un pochino. Alla fine accettai e così feci, tornai indietro, intanto lui chiamò mia zia tranquillizzandola. Una volta arrivato, parlai tutto il giorno col Don che alla fine mi convinse a tornare a casa mia, appena entrai in casa mia zia con gli occhi lucidi mi disse solo: “Perché hai fatto ciò, lo sai che io ti voglio bene!” Io l’abbracciai e poi me ne andai a letto, mio zio non mi disse nulla.
Sembrava tutto finito, tornò tutto alla normalità. I giorni successivi tornai al lavoro, finito di lavorare avevo degli incontri con il Don per parlare dei miei sentimenti, dei miei stati d’animo,  ma quello che avevo scoperto iniziava a tormentarmi.
Più di una volta dopo mangiato, mentre i miei zii la sera guardavano la televisione in cucina, io me ne andavo in sala a giocare con la Play Station, ma poi ad un certo punto mi affacciavo alla finestra e guardando di sotto pensavo: “Un salto nel vuoto e non soffrire più!”  Ogni tanto mi sporgevo per buttarmi di sotto, ma quando mancava sempre poco per farlo, la paura mi fermava e tornavo indietro soffrendo tantissimo interiormente.

Finchè un weekend  scappai ancora di casa, solo che sta volta il Don non vedendomi in oratorio alle due, capì subito e mi chiamò dicendomi che se non mi avesse visto entrare velocemente in oratorio mi sarebbe venuto a prendere lui stesso.
Così, anche quella volta tornai subito da lui. La situazione, grazie all’aiuto del Don arrivò a migliorare ma ci volle tanto tempo e tanta pazienza. Ovviamente mio padre e i miei fratelli non vennero mai a sapere nulla di tutto ciò. Ma alla fine cosa avevo scoperto?


41  VERITà O MENZOGNA?

Praticamente questo era quello che avevo scoperto:  mio padre aveva avuto due mogli, una con cui aveva fatto i primi tre figli (Siria, Carmela, Esposito), un giorno si separarono e sua moglie decise di tornare a Pagani con Esposito, mentre  Siria e Carmela vollero stare con lui .
Nel frattempo papà conobbe Jessica, la sua seconda moglie, e lì iniziarono i problemi. Mio padre e mia madre si sposarono e diedero luce alla prima figlia Camilla, ovviamente mamma non so se era gelosa o cosa di Siria e Carmela, sta di fatto che le trattava sempre male tanto che Carmela, stanca di quella situazione, decise di tornare a vivere giù con la madre mentre Siria rimase a Milano con loro. Quando nacque mia sorella Camilla, mio padre ovviamente doveva continuare ad andare al lavoro, e Jessica si doveva occupare da sola delle bimbe. Solo che molte volte, usciva di casa lasciando Camilla e Siria da sole. La vicina era sposata ed era molto amica di mio papà e spesso le bimbe le curava lei. Ma quando lei andava al lavoro, il marito ospitava Jessica a casa e si mettevano tutto il giorno a giocare a carte (così ho saputo, ma bisogna vedere se giocavano a carte) lasciando in casa da sole le bimbe. Siria praticamente doveva fare da  mamma a Camilla, visto che era un pochino più grande e andava già a scuola. Molte volte  quando Siria tornava a casa da scuola, Jessica la trattava malissimo[1], facendola sempre piangere. Mio padre, non so se era all’oscuro di tutto ciò oppure non voleva vedere perché era troppo innamorato di lei. Ma voci certe dicono che Jessica fosse molto furba quindi io penso che mio padre fosse all’oscuro della situazione.

Papà  amava tantissimo i cani, portò a casa un cucciolo e quando andò al lavoro, Jessica lo prese e lo buttò nello scarico della pattumiera (nella casa di papà sul vano scala c’era lo scarico per buttare i rifiuti)… vivevamo al settimo piano, povero cagnolino!
Al rientro a casa papà, non vedendo più il cucciolo, chiese spiegazioni a Jessica. Lei gli raccontò quello che era successo, ma dando la colpa a Siria dicendo che era stata lei a buttarlo giù, così mio padre se la prese con lei. 

Un giorno mio padre venne chiamato d’urgenza a scuola, una volta arrivato la professoressa  gli disse che avevano fatto portare via sua figlia dagli assistenti sociali, mio padre ovviamente non capiva il motivo e chiese spiegazioni, la professoressa gli disse: “Come, dovrebbe saperlo, visto che abbiamo trovato… (qui non posso aggiungere altro), Siria ci ha raccontato tutto!”
Siria aveva raccontato cosa succedeva  in casa.   Da lì si capì che papà era allo scuro di tutto ciò! Infatti  rimase sbalordito, non poteva credere alle sue orecchie, cercò in tutti i modi di riprendersi sua figlia, ma non gli fu possibile e da quel momento non seppe più nulla di lei. Tra papà e mamma non so allora cosa successe, perché questo non l’ho ancora scoperto; so solo che dopo nacquero Marco, Sofia e io, quindi penso che Jessica in qualche modo riuscì a tenerselo stretto finchè nacqui io! Si perché da lì mio padre non volle più saperne di lei. In pratica io nacqui solo per caso o meglio, mia madre doveva finire in carcere (anche di questo non so il vero motivo, non so cosa aveva combinato so solo che la dovevano arrestare).
A quei tempi non arrestavano le donne incinta, quindi per non essere arrestata si fece mettere incinta da papà. Fece solo i primi tre mesi e poi uscì finchè io non nacqui. Dopo sei mesi, come avevate letto all’inizio del libro, venne arrestata e io di lei non seppi più nulla… neanche come si chiamava fino a quando non la cercai io. In pratica io nacqui solo per caso! Questo è quello che ho scoperto.
VERITA’ O MENZOGNA?
Non lo so, nessuno mi ha mai raccontato veramente come siano andati i fatti e non so neanche il motivo. Ma chiunque volesse smentire o confermare per dirmi la verità io sono qui ad aspettare!


42  PATENTE E FERIALE

La mia vita continuava come sempre, continuavo a fare il muratore con Costanzo, ogni sabato mattina andavo al cimitero a trovare il mio grande amico, e in più avevo deciso di iscrivermi alla patente, ovviamente a spese mie. Io e Samuele, un mio amico, c’eravamo iscritti insieme, lui frequentava sempre le lezioni,  io invece molte volte saltavo perché facendo il muratore ogni tanto finivo tardi e non riuscivo ad andare, così dovevo studiare a casa. Tornando a casa sempre stanco però, mi passava la voglia e non lo facevo più. L’unica soluzione per mettermi a studiare, era quella di iscrivermi all’esame di teoria, solo così mi sarei messo a studiare seriamente e così feci.
Una volta iscritto avevo solo una settimana di tempo per studiarmi tutto il libro, perché ancora non l’avevo aperto, ricordo che tutta quella settimana, uscito dal lavoro tornavo subito a casa e mi mettevo a studiare e a fare le schede, non uscendo più neanche la sera. Il giorno dell’esame feci solo due errori quindi fui promosso, ero felicissimo, così mi iscrissi subito per fare la pratica di guida perché, lo zio anche se aveva più di dieci anni di patente non mi voleva dare lezioni. Il nostro rapporto per colpa della sua malattia stava cambiando. Una volta fatte le guide con l’istruttore, diedi anche la pratica e venni promosso, ero riuscito a prendere la patente ed ero doppiamente felice perché ero l’unico della mia famiglia ad averla presa senza essere bocciato neanche una volta… soddisfazione doppia.
Per la macchina invece dovevo aspettare perché lo zio non voleva che usassi la sua e, siccome non c’erano soldi, non potevo comprarmela, però l’importante è che c’era la patente, e poi avevo il mio motorino quindi ero tranquillo.

Un giorno ebbi una piccola discussione con Costanzo, così decisi di licenziarmi e di cercare un altro lavoro, iniziai a mandare curriculum in giro ma era molto  difficile trovare lavoro senza avere una macchina.
Passarono giorni e mesi arrivando così all’estate, la zia era un po’ preoccupata perché io non avevo ancora trovato nulla e i soldi cominciavano a scarseggiare, ma le dissi che appena sarebbe finita l’estate mi sarei messo sotto e avrei trovato qualcosa. Intanto potevo gustarmi ancora per un anno l’oratorio feriale, facendo l’animatore insieme ai miei amici. Finito l’oratorio feriale la zia mi disse nonostante tutto di andare al mare, però avendo un vuoto di memoria non  mi ricordo quell’anno dove andai.


43  ROVINA FAMIGLIA

Una volta fatto rientro a casa dovevo mettermi sotto a cercare lavoro e così feci, dopo due giorni trovai un lavoro come stampatore di pubblicità, ovvero era una ditta che stampava cartoni, sacchetti, cartelloni, volantini tutto quello che riguardava la pubblicità. Era molto bello come lavoro ma durò poco… solo una settimana perché lo zio in quella settimana aveva avuto un ictus e la sua malattia cominciava a peggiorare. La zia doveva fare avanti e indietro ogni giorno tra casa e ospedale, io non me la sentivo di lasciarla da sola, e al momento della firma del contratto (tra l’altro era un contratto per quattro anni) mi tirai indietro spiegandogli i problemi che avevo in casa. Il capo, una persona bravissima, mi disse: “Risolvi i tuoi problemi familiari, e appena li hai risolti torna qui che ti assumo!” In quei giorni lo zio era in ospedale, io e la zia continuavamo ad andarlo a trovare standogli vicino. Però lei era molto preoccupata, ricordo che mi disse: “Adesso come facciamo, lo zio senza lavoro, (perché non avrebbe più potuto fare il cameriere, con la sua malattia era troppo pesante) tu senza lavoro, solo con la mia pensione come finiremo!” Io, cercai subito di tranquillizzarla e le dissi che le cose col tempo si sarebbero sistemante. Infatti qualche giorno dopo, lo zio uscì dall’ospedale tornando a casa, anche se in seguito doveva subire l’operazione alla prostata per togliere i cinque tumori che aveva nel petto. 
Il peggio doveva ancora arrivare. Le chemio che faceva avevano dato riscontro positivo, le cisti tumorali si erano ridotte, e ora si poteva operare per tirarle via  sperando che non sarebbero tornate. L’operazione andò bene, tutte le cisti erano state tolte ora bisognava solo aspettare e fare le cure. Per levare le cisti però, avevano dovuto fargli un taglio che partiva dall’inguine e arrivava al petto, ben  60 punti! Ma l’importante era che fosse andato tutto a posto.
Dopo due settimane di ricovero, lo zio poteva tornare a casa ma doveva stare a riposo, non fare sforzi e periodicamente fare dei controlli, da quel giorno le cose cambiarono radicalmente. Si perché lo zio non poteva più andare al lavoro, al Ticino, a giocare a biliardo la sera, doveva stare a riposo e da quel giorno, l’uomo felice, pieno di energia e  di positività, sempre col sorriso stampato in faccia, sparì per non fare più ritorno.
 Giorno dopo giorno lo zio stava cambiando, era sempre nervoso, non rideva più, e aveva anche iniziato a bere la sera davanti la televisione, io e la zia gli dicevamo che non poteva assolutamente ma lui non ci ascoltava.
Una sera mentre io ero uscito con gli amici, lo zio fece il secondo ictus che gli prese il labbro e il braccio, infatti da quel giorno aveva il labbro leggermente storto e sempre  meno forza nel braccio sinistro. Il grosso problema era che sta volta l’ictus gli aveva preso anche la testa, si perché da quel giorno lui non ragionava più come prima!


[1] purtroppo per motivi di privacy, non avendo il permesso di Siria, non posso scrivere che crudeltà lei facesse, posso solo assicurarvi che va al di la di ogni immaginazione

giovedì 7 maggio 2020

CAPITOLO 37, CAPITOLO 38, CAPITOLO 39



37  PERDITA DEL LAVORO

Al lavoro oltre al capo, avevo due colleghi Giuseppe, che diciamo era la pecora nera della ditta ma era un amico dello zio, e Rino. Ormai erano già quattro anni che lavoravo come fabbro, e con Rino in tutto quel tempo era nato un bellissimo rapporto.  Ci divertivamo tantissimo insieme al lavoro, parlavamo tanto, mi faceva sfogare e molte volte mi faceva crescere aiutandomi con consigli, mi trattava come un fratellino. Io e lui non avevamo un bel rapporto con Giuseppe, perché lui ne combinava sempre una quindi gli stavamo un po’ lontani… Giuseppe non aveva rispetto di nessuno pensava solo a se stesso.

Ricordo che erano le nove del mattino e una volta io e lui litigammo di brutto, arrivò a spingermi e a mettermi quasi le mani addosso, io gli dissi di colpirmi se aveva il coraggio ma lui prese, uscì e andò a chiamare il capo. Io dal nervoso presi un pezzo di ferro scagliandolo per terra, Rino mi spiegò che non era intervenuto altrimenti l’avrebbe aperto in quattro. Arrivato il capo gli spiegammo l’accaduto e mise tutto a tacere.
Tornando a casa non mangiai dal nervoso, la zia e lo zio vollero sapere cos’era successo, ma io non volevo preoccuparli. Avevamo già così tanti problemi in casa! Alla fine gli raccontai tutto e feci promettere a mio zio che non sarebbe intervenuto conoscendo Giuseppe, ma nel pomeriggio quando io andai al lavoro arrivò anche mio zio che voleva parlare con lui. Ci fu una specie di riunione tra me, il capo, Giuseppe e lo zio. Chiarito l’accaduto tornò a casa ma io ero infastidito perché lo zio aveva già i suoi problemi, mi sentivo in colpa. Da quel giorno con Giuseppe le cose degenerarono, io e Rino non uscivamo più con lui a posare i lavori, e lui ogni volta mi faceva gli scherzispostandomi i vestiti, mi spostava il motorino, mi sgonfiava le ruote, me lo ingolfava. Fin quando un giorno non ce la feci più ed esplosi, tanto da arrivare al faccia a faccia con lui. Ci stavamo per picchiare, io avevo diciotto anni lui quaranta, ma dalla rabbia che avevo sicuramente sarebbe finita male. A quel punto intervenne il capo ma io, dal nervoso, mandai tutti a quel paese e mi licenziai andandomene a casa. Rino ci rimase molto male perché invece di mandare a casa Giuseppe e fermare me, aveva fatto il contrario!
Gli zii vedendomi tornare a casa prima del dovuto, capirono subito che le cose erano degenerate e conoscendomi bene, sapevano che mi ero licenziato. Il problema era che eravamo quasi sotto le vacanze estive, avevo diciotto anni e doveva arrivarmi la cartolina del militare: trovare un nuovo lavoro in quel momento  sarebbe stata dura.
Mi sentivo in colpa così mi diedi subito da fare, ma come non detto esattamente una settimana dopo arrivò a casa la cartolina del militare. A settembre dovevo presentarmi in caserma per fare i tre giorni. Io non volevo andare assolutamente al militare, non volevo allontanarmi dagli zii. Dovevo trovare una soluzione per saltarlo, così parlai subito con qualche mio amico per cercare un rimedio, l’unica cosa che potevo fare era trovare un lavoro per dimostrare che ero l’unico a portare a casa i soldi,  quindi essendo sostegno famigliare mi avrebbero esonerato. Si rilevò difficilissimo, nessuno voleva rischiare di assumere un ragazzo che sarebbe potuto partire a novembre per il militare.
Lo zio da una parte era contento, perché almeno poteva occuparsi della sua malattia senza dover pensare a me che ero senza lavoro, la zia invece era molto triste perché non voleva lasciarmi andare, però io non potevo farle vedere che ero triste perché si sarebbe depressa, quindi gli dicevo sempre: “Massì cosa vuoi che sia, starò lontano solo undici mesi poi torno!” Ma in cuor mio invece ci stavo malissimo. Però lei si  sentiva più tranquilla  perché pensava l’avessi presa bene.

L’estate sempre più vicina, iniziavo a perdere le speranze di poter trovare un lavoro, così mi rassegnai e visto che era ormai giugno parlai col prete per poter fare l’oratorio feriale. Intanto lo zio voleva andare al mare al paesello perché aveva paura di non poterci più tornare, ma la zia non voleva perché non accettava l’idea che lo zio si mettesse a guidare ed affrontare un viaggio così lungo nelle sue condizioni.
Finito l’oratorio feriale la zia mi disse di andare tranquillamente in vacanza che allo zio ci avrebbe pensato lei, l’oratorio come ogni anno organizzava le vacanze estive insieme, io non c’ero mai andato. Quell'anno il Don mi convinse a fare la vacanza estiva con loro a Folgaria, io accettai subito perché ci andavano tutti i miei amici di oratorio e di compagnia.


38  VACANZE IN VISTA

Il Don chiese a me e a Vittorio, un mio amico, di partire quattro giorni prima con due genitori -che avrebbero fatto i cuochi durante il nostro soggiorno- in modo da preparare le stanze per il resto del gruppo. Io e lui  accettammo. Una volta arrivati a Folgaria, ci mettemmo subito al lavoro per preparare la casa per tutti i nostri amici, ci divertimmo un macello.
Una volta arrivato il resto del gruppo poteva iniziare la vacanza; fu uno spasso unico, ne combinavamo sempre una  facendo anche disperare qualche volta il prete. Il Don fece le stanze, io ero capitato in camera con Mattia, Gennaro, Vittorio, Andrea, una delle camere più casiniste perché facevamo a gara con la camera di fronte che era composta da Renato, Maurizio, Carlo, Giovanni e Massimiliano.
La giornata tipo era: sveglia alle sette con la musica “a palla” che metteva il nostro educatore Pietro (il primo giorno dallo spavento caddi anche dal letto a castello, meno male che sotto c’era il letto di Gennaro che ammortizzò  il colpo,  però finii addosso a lui). Una volta svegliati, lavati e pronti, alle otto lodi mattutine fino le nove, poi  tempo per fare i compiti per chi studiava  ancora, mentre gli altri giocavano nel parco della villa. A mezzogiorno il Don ci aveva diviso in tre squadre: ogni squadra aveva i suoi compiti, a rotazione si preparava la tavola, si serviva al tavolo, si  sparecchiava e si puliva. Naturalmente  vi era un punteggio, io e Vittorio chiaramente eravamo nella squadra più casinista del gruppo. Il pomeriggio c’era la  preghiera pomeridiana, il gioco insieme e alle quattro si andava tutti in centro a mangiare il  gelato, poi tempo libero fino le sei e mezza  dove, si rientrava e si facevano i vesperi. Finito ciò le squadre preparavano per la cena. Una volta finita la cena, la serata era libera; andavamo in centro dividendoci nei bar e in sala giochi per poi rientrare alle undici per  la  preghiera, poi tutti a letto.  Questa era la   giornata tipo!
Anche in vacanza naturalmente, c’erano i primi inciuci, i primi amori estivi; io corteggiavo Viviana una bellissima ragazza bionda, occhi chiari, fisico mozzafiato, niente male. Ma nello stesso tempo, mi venivano dietro altre due ragazze di nome Bruna e Stefania; erano gelosissime l’una dell’altra, gli sguardi che si lanciavano erano di fuoco e io mi divertivo a vedere tre ragazze che mi contendevano. Alla fine mi ero deciso, avevo  scelto di mettermi  insieme a  Viviana, ma lei  si era stancata di questa  situazione e aveva baciato un altro ragazzo, Alfio, così io ci rimasi male e alla fine non mi misi insieme a nessuna delle tre.
Un episodio che ricordo bene, e che fece arrabbiare tantissimo il Don fu che come ogni volta ci eravamo divisi in gruppo, uno di questi andò in un bar e alle undici tornò a casa;  l’altro gruppo andò  in una piccola discoteca, ovviamente io e i più casinisti facevamo parte di questo gruppo. Ci dimenticammo di guardare l’orologio, tornando  a casa a mezzanotte. Il Don, con il resto del gruppo era nel salone che ci aspettava per la preghiera, noi cercammo subito una scusa da raccontagli  ma appena entrammo lui ci fulminò con lo sguardo e ci disse: “Adesso sedetevi in silenzio e il primo che fiata stasera dorme con me, finita la preghiera a letto e non voglio sentire fiatare nessuno!” Si, perché noi la sera facevamo sempre macello e non dormivamo prima dell’una.
La vacanza purtroppo giungeva alla fine, gli ultimi due giorni ricordo che furono i più spettacolari. Dopo la sveglia e la preghiera, un giocone insieme tipo guardie e ladri ma nei boschi come Rambo, poi finito quello un altro gioco, era il gioco dei numeri (praticamente tu avevi una targhetta in testa con scritto dei numeri, e dovevi coprirli  usando qualsiasi cosa asfalto, alberi, panchine, cestino, compagni, tutto ma non le mani. Se l’avversario riusciva a leggerti i  numeri, vinceva la  tua targhetta  e tu dovevi andare a prenderne  un'altra. Vinceva la squadra che conquistava più targhette. Finito di giocare ci  aspettava un pranzo speciale preparato dalle cuoche, preghiera e un altro giocone sempre a punti. Gli educatori, usando una collinetta e un telo di plastica,  avevano costruito una parete scivolosa dove buttavano acqua con sapone. Una squadra doveva cercare di salire fino in cima, mentre le altre due squadre le lanciavano gavettoni pieni di acqua e farina addosso; vinceva la squadra che riusciva a far salire più persone in cima. Una volta finito di giocare doccia per tutti perché eravamo conciati da buttare, mentre le cuoche ci preparavano la cena speciale. Finito ciò preghiera, e la sera alle nove caccia al tesoro per tutta la città. Ogni caposquadra,  aveva una radiolina con cui si metteva in contatto con il Don alla centrale, la centrale era la villa.  Dovevamo risolvere gli indovinelli e i giochi preparati dagli educatori, per recuperare gli indizi che servivano a trovare il tesoro. Ricordo che un indizio si trovava dentro un cimitero, la mia squadra era composta da me, Vittorio, Kelly, Fabiana, Stefania e Andrea. Dovevamo entrare nel cimitero, ma avevamo una paura tremenda, era notte, con solo i lumini accesi, terrore sui nostri volti. Io e Vittorio eravamo abbracciati mentre parlavamo con la radiolina al Don dicendo che ce la stavamo facendo addosso, ad un certo punto da dietro un muretto sbucò fuori un educatore vestito di bianco col cappuccio tipo rito satanico, in quel momento ci stringemmo tutti forte e ci mettemmo a gridare mentre il Don dall’ altra parte della radiolina scoppiò a ridere. Dopo aver sorpassato l’ultimo ostacolo del cimitero, tutte le squadre si trovarono nel bosco della villa a cercare il tesoro, purtroppo noi perdemmo.  Finita la serata tutti a letto, inutile dire il macello.
Il giorno dopo invece, sempre dopo  la  solita routine,  alle dieci una messa speciale dove al posto della predica ognuno poteva lasciare un commento, dire due parole sulla vacanza trascorsa.  Al momento dello scambio della pace, invece di stringere la mano come si fa di solito ci scambiammo abbracci. Tutti scoppiammo in lacrime. Una messa spettacolare. Il pomeriggio,  divisi sempre per squadre con ognuno un educatore diverso, noi eravamo finiti con Pietro che ci fece fare un lavoro speciale,  su un cartellone ognuno di noi doveva scrivere i sentimenti provati durante quella vacanza  con sottofondo musicaòe e poi leggerli agli altri… inutile dire che anche ci furono commozione e lacrime per una vacanza spettacolare giunta al termine. La sera  dopo la cena, preparata dai cuochi, il Don aveva preparato una corrida, in pratica ogni persona  doveva creare un gruppo, decidevamo noi se singolarmente o con più persone, e doveva inventarsi qualcosa: giochi, balli, canti, scenette, che poi doveva interpretare davanti al resto del gruppo proprio come una corrida. Io avevo scelto di stare con Massimiliano e Giovanni. Io e Massimiliano cantavamo: “Hanno ucciso l’uomo ragno” degli 883 mentre Giovanni con una cuffia in testa faceva Spiderman, entrando e lanciando la carta igienica come fosse una ragnatela. Finite tutte le esibizioni, tutti davanti al falò a cantare e bere vin brulè… il giorno dopo il rientro a casa  tra lacrime e tristezza per una vacanza finita.


39  COLPO DI FORTUNA

Vacanze finite, rientrato a Busto e subito dovetti partire per i tre giorni di leva.
Sveglia presto, direzione caserma Militare di Milano, io non volevo assolutamente fare il militare… dovevo trovare una soluzione per saltarlo. Qualche giorno prima il papà di Vittorio mi disse che per farmi saltare il militare mi avrebbe assunto a lavorare con lui, aveva un’impresa edile, così io sarei stato l’unico a portare a casa soldi, e quindi sarei stato esonerato come sostegno familiare… ero più tranquillo.

Il primo giorno di visita bisognava fare tutti gli esami di salute necessari, il secondo giorno di visita era previsto il colloquio con il maresciallo e un test di trecento domande, a cui bisognava rispondere con delle crocette. Mi ricordo che le domande erano demenziali tipo:  “Se vedi uno che si taglia le vene cosa fai? Chiami aiuto, lo aiuti tamponandogli la ferita, o lo guardi ridendo?” A leggere quelle domande tutti sorridevamo e ci domandavamo se erano normali, il maresciallo disse che servivano per capire cosa passava nella nostra testa! Fin lì, risultò tutto apposto quindi 80% arruolabile. Il terzo giorno era quello più importante, ti prendevano peso, altezza e impronte digitali, arrivavano gli esiti che confermavano se era tutto apposto e sostenevi il colloquio col medico durante il quale d:ovevi dire se avevi avuto operazioni, allergie, traumi o qualche problema di salute; se il medico ti riteneva idoneo, passavi direttamente dallo psicologo ed eri matematicamente arruolato.
Toccava a me: peso, altezza, esiti degli esami perfetti, impronte digitali… eccomi arrivato dal medico! Mi chiese se avevo allergie, problemi di salute o avevo avuto traumi, io gli risposi che ero allergico al polline e all’erba, fin li tutto apposto quindi arruolabile. Ad un certo punto gli dissi che giocando a calcio all’età di sedici anni avevo fatto una commozione celebrale, lui mi chiese se era solo una scusa per essere scartato, ma io l’avevo fatta veramente, mi chiese se avevo con me gli esami solo che io non li avevo dietro, anche perché risalivano a quando avevo sedici anni, ne erano passati due. Quindi una botta di fortuna incredibile, il medico mi scrisse sul referto: rivedibile. Dovevo tornare l’anno successivo con gli esami fatti, solo che l’anno successivo sarebbe finito l’obbligo del militare e sarebbe diventato facoltativo. Non potete neanche immaginare la gioia, ero riuscito a saltare il militare.
Tornai a casa e raccontando tutto alla zia, anche lei era stra-felice perché non l’avrei abbandonata, andava tutto a meraviglia: militare saltato e potevo iniziare a lavorare con Costanzo!

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...