giovedì 25 giugno 2020

CAPITOLO 59, CAPITOLO 60, CAPITOLO 61, CAPITOLO 62



59  LA TRISTE VERITà

Era il 30 gennaio 2008… la data di scadenza che ci aveva dato il dottore stava arrivando, avevamo appena finito di mangiare e io continuavo a ripensare a quelle parole. Mentre la zia guardava le sue telenovelas, io andai in camera dallo zio. Volevo stare con lui, volevo stargli vicino, quella sera vedevo che c’era qualcosa che non andava, lo zio era agitatissimo continuava a togliersi le coperte come se volesse andare da qualche parte e continuava a guardare le foto che vi erano sul comodino di suo papà e sua mamma (mio nonno e mia nonna), inoltre mi guardava con gli occhi pieni di lacrime come se volesse dirmi qualcosa. Quello sguardo non lo dimenticherò mai!
Io continuavo a coprirlo e a dirgli di stare tranquillo, che c’ero io al suo fianco e non l’avrei lasciato solo, poi mi prese la mano e me la strinse tenendomela. Io continuavo ad accarezzagli la testa, a parlargli cercando di tranquillizzarlo. Dopo un po’ andai in cucina dalla zia e scoppiai a piangere. Lei mi chiese se era successo qualcosa e io gli risposi: ”No, ma non ce la faccio a vederlo così, sono stanco di vederlo soffrire, poi stasera non lo vedo bene, ho paura!” Guardandomi mi disse: “Stai tranquillo che andrà tutto bene, vai a fare un giro con qualche tuo amico, allo zio ci penso io!” Le si leggeva negli occhi che stava soffrendo anche lei, e questo mi faceva molta rabbia perché non potevamo fare nulla. Io non volevo uscire perché non me la sentivo, ma poi lei mi convinse quindi chiamai un mio amico, Lucio, e andammo a bere qualcosa. Avevo bisogno di svagarmi un po’, ma nonostante tutto non riuscivo a non pensare a mio zio. Lucio cercò di tirarmi sù il morale e farmi sfogare ma alle dieci non ce la facevo più e tornai a casa.
Una volta rientrato la zia mi chiese: “Come mai sei già tornato?” Io le risposi:  “Non riuscivo a stare lontano dallo zio!” Così feci per andare in camera ma lui dormiva, quindi non entrai per non disturbarlo, rimasi a guardarlo per un po’, poi io e la zia andammo a letto. Quella sera c’era qualcosa che mi turbava non riuscivo a prendere sonno, rimasi sveglio molto poi finalmente mi addormentai, ma la mia testa continuava a viaggiare e a pensare allo zio. Alle 5 di mattina accadde una cosa stranissima, mi svegliai di sobbalzo sentii un brivido freddo che mi correva lungo il corpo, ero molto agitato, non capii cosa poteva essere, ma dopo dieci minuti mi riaddormentai.
Alle sette suonò la sveglia per prepararmi per andare al lavoro, passai dalla camera e lo zio era nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato la sera, quindi pensai che stesse ancora dormendo, andai in bagno a lavarmi e a prepararmi, poi in cucina a fare colazione e stare un po’ con la zia. Erano le sette e mezza ero pronto per uscire e andare al lavoro, però prima come ogni mattina dovevo passare dallo zio a salutarlo, lui tutte le mattine verso le sette e dieci mi chiamava col campanellino che gli avevamo comprato, visto che non riusciva a parlare; quella mattina non l’aveva ancora fatto, la cosa era molto strana. Andai in camera per salutalo, e dargli come ogni mattina il bacio del buon giorno, appena entrai lo zio era ancora nella stessa posizione, il dubbio iniziò a crescere! 
Impossibile che dormisse ancora, lui si svegliava sempre alle sette. Mi avvicina e lo chiamai: “Zio, sveglia dai stai ancora dormendo, dormiglione è ora di svegliarsi!”  Lui non dette segni di vita!
Lo scossi, lo agitai, lo continuavo a chiamare mentre gli occhi si riempivano di lacrime, inutile… la triste verità!
Il 31 Gennaio 2008 lo zio ci aveva abbandonato, il dottore ci aveva preso!


60  L’INIZIO DELL’INCUBO

D’istinto scagliai un pugno contro il mobile ammaccandolo, la zia sentii il rumore e si recò in camera, io uscii di corsa, non volevo che lo vedesse, cercai di tenerla e di portarla in cucina dicendo che andava tutto bene, in quel momento suonò il citofono era la ragazza che veniva a pulirlo come tutte le mattine, le dissi: ”Vai a rispondere al citofono!”
Lei capii subito che era successo qualcosa, intanto che lei rispose dovevo trovare il modo di dirglielo, ma lei si precipitò in camera e lo vide! Lo chiamava, lo scuoteva ma nulla! Intanto salì anche la ragazza e gli diedi la notizia, ora bisognava  tranquillizzare la zia che corse in bagno chiudendo la porta e scoppiò in lacrime, non si dava pace. Chiesi alla ragazza di chiamare l’ambulanza mentre io cercavo di tranquillizzare la zia, entrai in bagno, lei era tutta rossa, panico, paura, amarezza, rabbia, sconforto, si dava la colpa, non si dava pace. Io l’abbracciai, le dissi di stare tranquilla, avrei pensato a tutto io, avrei pensato anche a lei, ma sembrava di parlare con un muro, lei era entrata in un mondo tutto suo, non ascoltava nessuno.

Arrivò l’ambulanza, salirono, la ragazza li portò in camera dove accertarono la morte dello zio, intanto riuscii a portare la zia in cucina, due barellieri cercavano di tenerla tranquilla; vedendola tutta rossa e gonfia le provarono la pressione, una barelliera prese me e cercò di farmi sfogare anche lei aveva capito che stavo per esplodere. Ad un certo punto il barelliere fece due punture a mia zia per cercare di tranquillizzarla perché il suo cuore non si fermava più, batteva all’impazzata in quel momento a casa mia arrivò anche Loredana (la donna che aiutava mia zia nelle pulizie della casa, ormai diventata un’amica). La zia era entrata in crisi respiratoria, dovevano portarla di corsa all’ospedale, io dovevo pensare allo  zio così chiesi a Loredana se poteva andare con mia zia;  in meno di mezz’ora a casa mia era scoppiato il putiferio!
La ragazza che puliva mio zio mi chiese se volevo una mano, ma io le risposi di stare tranquilla e di andare dagli altri malati che accudiva, in quel momento salì anche la signora del primo piano, amica di famiglia, che mi chiese cosa stava succedendo perché aveva visto l’ambulanza con mia zia sopra e le spiegai  tutto.
Presi il telefono, dovevo iniziare ad avvisare la gente.
La prima chiamata fu per Don Nicola, stavo esplodendo, non ce la facevo più, avevo bisogno di qualcuno che mi capisse e mi aiutasse, non sapevo cosa dovevo fare. Subito dopo chiamai le pompe funebri che arrivarono subito per vestirlo. Chiamai mio padre, ma a casa non rispondeva nessuno così chiamai mio fratello Marco e gli dissi di pensarci lui a fare tutte le chiamate, alla fine mi ricordai che dovevo avvisare anche in ditta.
Le pompe funebri arrivarono subito, dovevo scegliere il vestito, io e la zia sapevamo che doveva accadere prima o poi così lei aveva preparato un vestito nell’armadio. Lo presi, lo guardai, non mi piaceva, lo zio doveva essere bello anche se era morto, così aprii il mio armadio e gli diedi il vestito più elegante che avevo. Finito di vestirlo se ne andarono, rimanemmo in casa solo io e lui… continuavo a guardarlo e ad avere una rabbia in corpo, non mi davo pace per essere uscito la sera, non accettavo il fatto di averlo lasciato solo nel suo letto, mi continuavo a domandare se era morto la sera o la mattina essendo rimasto nella stessa posizione, non mi davo pace per non essere entrato in camera al mio rientro dal bar, per controllare se stava bene!
Piano – piano stavo esplodendo, iniziai a cartellare[1] l’armadio. Scesi sotto casa, avevo bisogno di un caffè, il barista Alessandro, mio amico da tanto, capì subito cosa era successo; capì il mio stato d’animo e non mi fece domande. Appena uscii dal bar, arrivarono i miei fratelli e mio padre. Ci avevano messo neanche 20 minuti vuol dire che avevano scannato[2] in autostrada. Saliti in casa scoppiai a piangere tra le braccia di mio padre, lui neanche una lacrima teneva tutto dentro ma si vedeva che stava malissimo. Una volta spiegata tutta la situazione bisognava iniziare a fare tutte le pratiche, con Ciro andai negli uffici di pompe funebri per scegliere la bara e tutto quello che serviva per il funerale, mentre mio padre e i miei fratelli rimasero a casa ad aspettare tutti i parenti. Una volta finita la prassi tornammo a casa, erano arrivati tutti i parenti. La zia Giada, la sorella di mio zio, saputa la notizia partì subito da Salerno, loro due erano legatissimi.


61  E LA ZIA?

Ora dovevo pensare alla zia in ospedale, quindi ci recammo tutti lì per saperne di più sulle sue condizioni cliniche. Mio zio Fausto lavorava in ospedale a Milano quindi era la persona giusta per parlare con i medici. Il medico ci spiegò che la situazione era critica per una donna di 79 anni, arrivata in quelle condizioni; ci disse che stavano facendo il possibile per farla riprendere dallo shock. Dopo qualche minuto sembrava stazionaria quindi fecero entrare me e mia zia Paola (la moglie di mio zio Fausto) nella stanza. Era girata su un fianco, io mi avvicinai e le dissi: “Mi hai fatto prendere un grosso spavento!” Ma mentre pronunciavo queste parole vidi che era viola in faccia con la bava alla bocca, corsi fuori  chiamando il medico, arrivarono di corsa in 5,  aveva avuto un altro blocco respiratorio. La portarono con urgenza in sala rianimazione, io ero nervosissimo, cercavano a tutti costi di tranquillizzarmi, anche Rebecca che era appena arrivata perché era appena uscita da scuola. Scagliai un pugno fortissimo contro una porta di ferro dell’ospedale, in quel momento si avvicinò mio padre, per la prima volta in vita mia lo vidi piangere, sì una lacrima gli scese sul volto, mi abbracciò e mi disse: “Andrà tutto bene, ci sono io con te!” Andammo tutti in sala rianimazione ad aspettare i medici. Ore d’attesa finchè la porta non si aprì e uscì il primario, parlò con mio zio e gli disse: “La signora è molto grave, avendo 79 anni è arrivata in condizioni critiche, il suo cuore pompa al 40%, abbiamo dovuto metterla in coma farmacologico, ora dobbiamo aspettare che si riprenda per capire bene la situazione clinica!”  Anche la zia mi stava abbandonando!
Tornammo a casa i funerali dello zio  erano fissati  5 giorni dopo perché volevo aspettare che la zia Giada arrivasse da Salerno e speravo in una ripresa della zia.  Quindi allestimmo la camera  ardente in sala, lo zio venne messo dentro la bara con un coperchio a vetro che sparava fuori aria ghiacciata per conservare il corpo. In quel momento arrivarono  anche i  genitori di Rebecca. Tutti mi strinsero, capivano il mio dolore, né per pranzo né per cena volli mangiare.
Arrivò l’ora in cui tutti dovevano tornare nelle loro  case per rivederli il giorno del funerale, era giovedì 31… i funerali erano lunedì 4 febbraio. Rebecca e i suoi genitori non volevano lasciarmi da solo, volevano portarmi a casa loro ma io non potevo lasciare lo zio in casa da solo. Così papà e Sofia decisero di rimanere lì con me tutti quei giorni mentre gli altri fecero ritorno a casa. In camera non c’era il letto matrimoniale ma il letto ospedaliero, lo spostammo tutto contro il muro e mettemmo  3 lettini dove avremmo dormito io, mia sorella e mio padre mentre mio zio era in sala. Io non spiccicavo neanche una parola, fino le dieci di sera stetti in sala con mio zio in silenzio a guardarlo mentre mio padre e Sofia erano in cucina molto tristi. Dopo un po’ mi vennero a prendere per portarmi a letto dicendomi:  “Andiamo a letto, è stata una giornata pesante, hai bisogno di dormire!” Andammo tutti in camera e mia sorella crollò dal sonno mentre io ero molto agitato e continuavo a rigirarmi nel letto, mio padre invece continuava a tenermi la mano guardandomi, non riusciva a dormire aveva perso il fratello, sicuramente rimpiangeva il tempo perso a litigare come lo rimpiangevo io. Quando mi addormentai  lui si alzò, non so se andò in cucina o da mio  zio, so solo che lui non chiuse occhio tutta la notte.
I giorni prima del funerale furono strazianti, io continuavo ad andare avanti indietro tra casa e ospedale per cercare di saperne di più sulle condizioni di  mia zia ma non vi erano miglioramenti, e mio padre e mia sorella stavano in casa ad accogliere la gente che voleva dare l’ultimo saluto a mio zio. La domenica arrivò anche zia Giada, corse in casa e appena lo vide scoppiò in lacrime iniziando a parlare in napoletato, nessuno riusciva a capirla neanche mio padre, l’unico a capire cosa diceva ero io.


62  ULTIMO SALUTO

Arrivò il giorno del funerale, casa mia era piena di fiori e di persone che erano venute a dare l’ultimo saluto allo zio, era molto amato da tutti, aveva tanti amici, non mi aspettavo di vedere e sentire tanto calore e tanto affetto. C’erano anche tutti i suoi fratelli anche quelli con cui aveva litigato da anni e con cui non parlava più. Ma questo non era assolutamente il giorno per litigare, era il giorno per salutare uno zio, un fratello, un secondo padre, che in tutti quegli anni mi aveva cresciuto e amato.
Il becchino ci chiamò per l’ultimo saluto prima di chiudere la bara,  il dolore in  me esplose e iniziai a piangere per non smettere più. Prima di chiuderla però all’interno misi una lettera, che avevo scritto la sera prima e che sarebbe stata letta in chiesa, e il mio braccialetto portafortuna che non toglievo mai perchè me lo aveva regalato Rebecca, volevo che in qualche modo lo tenesse lui. Arrivammo in chiesa, era strapiena di miei amici ma soprattutto amici e colleghi dello zio, di tutte quelle persone che in quegli anni gli erano stati sempre vicino, tutti volevano dargli l’ultimo saluto.
A celebrare la Messa fu Don Nicola, finita la celebrazione era il momento di leggere la lettera… io avevo delegato il mio amico Pietro perché non me la sentivo, nessuno sapeva cosa vi era scritto:

 “Uno Zio diventato padre!
Ciao Pepè, ti ricordi? Ti chiamavo sempre così da piccolo e tu ridevi, mi ricordo ancora tutti i momenti belli passati insieme come se fosse ieri. Tutti i gironi eravamo al Ticino dalla sera alla mattina, la nostra seconda casa; io giocavo con i pesci che tu li pescavi eli  mettevi nel retino, però ogni tanto te ne facevo scappare qualcuno. Tu ti arrabbiavi un po’ così me ne pescavi uno tutto per me per farmi giocare. Oppure quando andavi al lavoro da Maicol e mi portavi con te,  mentre ti aspettavo giocavo con Franco e alle tre di notte, quando finivi di lavorare, anche se eri stanco andavamo al bowling io, te, Franco e suo papà, e mi insegnavi a giocare a biliardo.  Ma il momento più bello che non scorderò mai è quando dopo tredici anni d’assenza da Napoli abbiamo fatto ritorno, e siamo andati un mese intero al mare a Maiori dove mi portavi da piccolo. E’ stata la vacanza più bella che abbiamo fatto insieme io, te e la zia. Per tutte queste cose, questi bei momenti passati insieme, ti devo dire grazie, anche se non sono tuo figlio mi hai sempre trattato come se lo fossi, mi hai cresciuto come farebbe un padre, mi hai insegnato tutto quello che c’era da imparare dalla vita compresa l’educazione, il rispetto ma soprattutto saper perdonare gli sbagli di una persona. Anche se negli ultimi tempi avevamo i nostri battibecchi e discussioni, io ti ho voluto e ti vorrò sempre bene. L’unica cosa che rimpiango, e penso rimpiangerò sempre, è aver perso troppo tempo a litigare, bruciando così tutte quelle cose che facevamo quando ero piccolo. Per il resto sei stato uno zio unico, ti porterò sempre nel cuore, nulla mi farà dimenticare di te. Vederti soffrire nel tuo letto giorno dopo giorno e non poter far nulla mi faceva star male, malissimo e certe volte mi viene da piangere perché vorrei divertirmi ancora con te.
Ti voglio un mondo di bene e te ne vorrò sempre e sinceramente la vita senza di te e la zia mi fa paura.
Mi mancherai tantissimo.
Tuo per sempre Gianluca”




[1] Prendere a pugni
[2] Andare veloce, correre

giovedì 18 giugno 2020

CAPITOLO 56, CAPITOLO 57, CAPITOLO 58


56  LA DENUNCIA

Io continuavo a lavorare nella stessa ditta, intanto  la malattia dello zio era peggiorata tantissimo. Purtroppo non ragionava più, aveva iniziato a vendere tutte le sue cose d’oro come braccialetti e collane, per potersi comprare gratta e vinci, fare schedine, acquistare alcol o sigarette.
In più un giorno accadde una cosa che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato.  Lo zio si recò alla polizia  perché doveva fare una denuncia, solo che la denuncia era verso di me.  Si proprio così; mi denunciò  dicendo che io avevo un comportamento troppo aggressivo, ero una minaccia per lui, diceva che  quando tornavo a casa dal lavoro gridavo, tirando pugni ai mobili rompendoli, ma la cosa più ridicola che disse fu che secondo lui io avevo una relazione con mia zia. Il motivo che lo portava a pensare ciò, era che mia zia da anni ormai non dormiva più in camera con lui, perché lui russava troppo, e quindi avevamo messo 2 lettini in sala dove dormivo io, visto che non avevo la cameretta tutta mia, e lei dormiva lì con me.  Questo secondo lui era motivo per pensare che io e lei avessimo una relazione, arrivando a farci anche delle foto mentre dormivamo. Un giorno venni chiamato in questura, io ero preoccupato per l’arrivo di questa lettera perché fino a quegli anni ero stato un po’ sbandato e pensavo a cosa potessi aver combinato, ma la zia cercava di tenermi tranquillo.  Il giorno della convocazione, la zia  mi accompagnò perché voleva saperne di più anche lei. Una volta arrivati in questura, il poliziotto iniziò a farmi domande tipo che lavoro facevo, che tipo ero in casa, se ero uno aggressivo, che rapporti avevo con mio zio. Io ovviamente non capivo ed ero molto agitato. Allora mia zia chiese di spiegarci meglio che cosa era successo, così iniziò a raccontarci quello che gli aveva detto mio zio. Noi  rimanemmo  increduli, non potevamo credere alle nostre orecchie, a quel  punto il poliziotto ci chiese di spiegare un po’ la nostra situazione famigliare, il nostro rapporto in casa, così io e la zia iniziammo a raccontargli.  Alla fine del racconto anche il poliziotto si rese conto purtroppo che ormai mio zio per colpa della malattia, e il troppo bere, non riusciva più a ragionare, che la sua testa viaggiava in un mondo tutto suo. L’unico problema ora era la denuncia nei miei confronti, lui per prassi non poteva toglierla e far finta di nulla, mi spiegò che l’unico modo per poterla far cadere e renderla innocua, era che io a mia volta denunciassi mio zio per diffamazione, lui sarebbe stato costretto a presentarsi in questura a rispondere a ciò e avrebbe rischiato di essere sottoposto a visita psichiatrica. Se fosse risultato incapace di intendere e volere l’avrebbero portato in un istituto psichiatrico. Questo era quello che mi disse il poliziotto, ed era l’unico modo per far cadere la denuncia nei miei confronti. Come potevo denunciare una persona che per 21 anni mi aveva cresciuto, curato, fatto diventare il ragazzo che ero?! Non potevo assolutamente in fondo anche se non andavamo più d’accordo per colpa della sua malattia gli volevo bene; quindi rifiutai il suggerimento del poliziotto e mi tenni la denuncia, lui ovviamente mi mise in guardia, se per caso fosse arrivata un'altra denuncia nei miei confronti di qualsiasi tipo loro dovevano aprire un procedimento penale. Tornammo a casa come se niente fosse successo, lo zio facendo finta di nulla e io anche, ma quando uscii per raggiungere i miei amici, lo zio e la zia litigarono molto per quello che era accaduto, lei  era arrabbiatissima per quello che aveva fatto e per due mesi non si rivolsero più la parola, per me  invece era come se non fosse successo nulla. Anche quando raccontai a mio padre quello che era accaduto, lui rimase molto male però mi disse di stare tranquillo e di non avercela con lui perché non era colpa sua  se faceva queste cose ma era colpa della sua malattia, ma questo io già lo sapevo, e per qualsiasi problema o necessità, lui per me c’era sempre.


57  NATALE IN FAMIGLIA

Eravamo arrivati a natale 2005, qualcuno quell’anno aveva deciso di guardare di sotto e dare un po’ di armonia alla nostra famiglia, si proprio così perché un giorno mio padre mi venne a trovare. Aveva capito che la situazione dello zio stava peggiorando sempre di più, lo zio era contentissimo di vedere papà! Passammo tutto il giorno tutti insieme, mangiando e uscendo a fare un giro per Busto sembravano i tempi di quando eravamo bambini. Prima di far rientro a Milano, papà disse allo zio e alla zia che il Natale l’avrebbe voluto passare tutti insieme a casa sua. Lo zio non voleva, diceva che non voleva essere un peso con la sua malattia, dovendo andare sempre in bagno, e non sapeva come arrivare perché non guidava più. Papà gli rispose di non preoccuparsi per quello, sarebbe venuto a prenderli e alla fine li avrebbe riportati a casa.  Fu molto dura convincere lo zio essendo un napoletano capatosta (come si dice giù)  ma poi  ci riuscì, io ero gasatissimo il primo e unico Natale tutti insieme come una vera famiglia.
Il grande giorno arrivò, 24 dicembre papà alle nove era già sotto casa a prenderci perché poi doveva tornare a casa a preparare il pranzo della vigilia. Una volta arrivati a Milano iniziò ufficialmente il Natale! Tutti seduti pronti per pranzare, io non credevo ancora ai miei occhi tutti quanti insieme che mangiavamo mentre papà e zio raccontavano gli anni di quando erano giovani, la malattia dello zio quel giorno sembrava essere scomparsa. Ovviamente alle 18 sosta sigaretta per chi fumava, o per fare quattro passi, o per  portare giù il cane, mentre  lo zio iniziava a pensare al rientro a Busto. Ma alla fine papà lo convinse a rimanere li anche la notte, l’avrebbe riportato a casa il mattino successivo mentre io sarei rimasto li come al solito fino al 27. Anche la sera cena insieme, finito di cenare apertura dei regali, e dopo ovviamente come tutti i terroni che si rispettano, partita a carte ovviamente puntando soldi, tra battute e risate. Fu proprio una battuta di Ciro  a fare spaventare tutti, si perché mentre lo zio stava bevendo il caffè, Ciro lo fece ridere; il caffè gli andò di traverso e iniziò a tossire come un matto diventando tutto rosso per circa 5 minuti, eravamo tutti spaventati, ma alla fine si riprese, e rivolgendosi ad Ciro col sorriso gli disse: “Di la verità, hai cercato di farmi fuori!” Scoppiammo tutti a ridere!  All’ una  finimmo di giocare, era ora di andare a dormire, soprattutto per lo zio e la zia che erano molto stanchi. Il giorno dopo papà riportò a casa gli zii, fu il Natale più bello della mia vita l’unico rammarico non aver potuto fare neanche una foto per ricordare quel giorno insieme!


58  TROPPO VELOCEMENTE

Gli ultimi anni passavano molto velocemente, forse troppo stavamo per entrare nel 2008. Il 31 luglio mi scadeva il contratto, nella mia ditta mi avevano proposto il rinnovo però io non volevo accettare, perché negli ultimi anni facevano fatica a pagarci. Praticamente ci davano lo stipendio ogni tre mesi e io mi ero un po’ stancato avendo anche la macchina da pagare. Non volendo farmi aiutare dagli zii, avevano già i loro pensieri, anche perché lo zio in questi anni era peggiorato tantissimo, era costretto a letto e non si alzava più, non mangiava più pesava 40 chili era tutto pelle e ossa, dovemmo fare la richieste del letto ospedaliero e l’accompagnamento. Una ragazza tutte le mattine negli ultimi due anni veniva a casa a cambiarlo e pulirlo perché la zia da sola non ce la faceva  più e io dovendo andare a lavorare non riuscivo a darle una mano. Spiegai i miei problemi alla mia capa, dicendole che per rimanere io avevo bisogno di sicurezze e quindi uno stipendio regolare, ma lei mi disse che di certezze non ne poteva dare, l’unica certezza era passare da determinato a indeterminato, ma per quanto riguardava lo stipendio non sarebbe cambiato nulla. Così io esplosi dicendole tutto quello che pensavo, avrei finito il mio contratto regolarmente  e poi me ne sarei andato, informandola però che mi doveva dare i soldi che mi spettavano più la liquidazione nei tempi di legge altrimenti avrei fatto scoppiare una guerra. Arrivato l’ultimo giorno di lavoro avevo aperto gli occhi anche agli altri dipendenti, in quegli anni avevamo costruito un bellissimo rapporto. Così Pamela, una mia collega,  diede anche lei le dimissioni.
La zia, da una parte era contenta perché già ai tempi mi aveva detto di cercare un altro lavoro dove mi pagassero regolarmente, ma io non l’avevo ancora fatto perché non volevo rischiare di rimanere a casa senza nulla. Continuavo a dirle “meglio pochi soldi che niente”, anche perché dovevo aiutarli per forza.  Dall’altra parte era un po’ preoccupata per il fatto che eravamo sotto estate e sarebbe stato difficile trovare un altro lavoro, io la rassicurai dicendole: “Non ti preoccupare, mi rimboccherò le maniche come ho sempre fatto, tempo 1 mese ne troverò un altro”. Non potevo permettermi di rimanere a casa.

Arrivò agosto il tempo delle vacanze, tre mesi prima avevo prenotato con i  miei amici per andare a Cervia perché Rebecca era ancora piccola e doveva fare le vacanze con i suoi genitori. Comunque la nostra storia procedeva abbastanza bene, con alti e bassi ma come in tutte le coppie. Quell’anno non volevo tanto partire per non lasciare da soli gli zii, ma la zia alla fine mi convinse dicendomi che non sarebbe successo nulla di partire e svagarmi un po’ che ne avevo bisogno. Il giorno della partenza arrivò eravamo come sempre io, Leonardo, Annalisa (la ragazza di Leo), Veronica (la cugina di Rebecca) Davide, Danilo, Roberto e Giulio: sempre noi gli inseparabili delle vacanze.
Arrivati a Cervia iniziò ufficialmente il relax, casa bella, mare discreto, divertimento da paura e poi c’era il Papete, discoteca famosissima sulla spiaggia tra alcol e donne! Purtroppo tutte le cose belle hanno un’ inizio e una fine infatti era già ora del rientro a casa, chi a scuola chi a lavoro. Io dovevo cercarne uno ad ogni costo.

Vi ricordate cosa promisi a mia zia?  Che in meno di un mese avrei trovato lavoro. Detto fatto tutti i giorni ero nelle agenzie per il lavoro, per chiedere se era uscito qualcosa, non potevo stare neanche un secondo a casa perchè gli zii avevano bisogno di me. Esattamente un mese dopo, a ottobre, trovai lavoro presso una ditta di serramenti… ero gasatissimo, iniziai subito, contratto per 6 mesi con possibilità di rinnovo, la zia era orgogliosa di me.
Tutto sembrava procede bene, ho detto sembrava, perché quando meno ce lo aspettavamo lo zio peggiorò ancora, chiamammo subito il dottore che venne a visitarlo a casa. Finita la visita ci fece sedere in cucina  e ci diede una bruttissima notizia. Lo zio al massimo sarebbe arrivato a fine gennaio. Eravamo a novembre quindi rimanevano solo due mesi. Io e la zia stavamo malissimo per quella notizia avevamo un dolore immenso, io mi stavo piano-piano buttando giù, ma la zia ancora una volta cercò di farmi forza e io cercai di farla a lei dicendole: “Vedrai che il dottore si sbaglia lo zio ha una forza immensa, non ci lascia soli!” I giorni successivi avevo un dolore immenso dentro però non potevo parlarne con la zia l’avrei buttata ancora più giù, ne parlai con mio padre e i miei fratelli. Loro la domenica dopo, vennero subito a trovare lo zio, non lo vedevano dal Natale 2005, ci rimasero veramente male, mia sorella Sofia a vederlo in quelle condizioni scoppiò a piangere mentre, mio padre essendo un puro napoletano come me tenne tutto il dolore dentro.  Cercarono di farci forza sia a me che alla zia. Io ancora una volta dissi: ”Il dottore si sta sbagliando!”  Lo zio per me era fortissimo, una roccia, avrebbe superato anche questa. Però giorno dopo giorno peggiorava, non mangiando non riusciva neanche più a parlare, non aveva più le forze, e quando sibilava qualcosa nessuno riusciva a capirlo, l’unico che riusciva a capire quello che diceva ero io, ero il suo unico punto di riferimento. Io ero in un mio mondo, non riuscivo più a trovare il sorriso, meno male che avevo Rebecca e la sua famiglia che mi tiravano sù di morale. Tutte le mattine quando mi svegliavo prima di andare al lavoro andavo in camera a salutare lo zio, stavo lì con lui dieci minuti, gli parlavo e gli dicevo che ci saremmo rivisti finito il lavoro, poi stavo con la zia in cucina le dicevo che per qualsiasi motivo doveva  chiamarmi.  Alle sette e mezza  uscivo di casa per iniziare la mattinata di lavoro.

Giungemmo a Natale quell’anno per me non era un Natale da festeggiare, continuavo a pensare alle parole del dottore, ogni persona che mi chiedeva cosa volessi di regalo la mia risposta era sempre la stessa: “Niente quest’anno non ho nulla da festeggiare, vorrei solo che il dottore si sbagliasse!” Questo era l’unico regalo che volevo ma ovviamente alla fine i regali li ricevetti lo stesso.
Era la vigilia come sempre dovevo festeggiare il Natale in famiglia a Milano, ma quell’anno io non volevo andare e mio padre sembrava capire. Alla fine la zia mi convinse che era la cosa giusta, che era giusto che io andassi a festeggiare il Natale con mio padre e i miei fratelli. Così io qualche giorno prima come regalo le avevo fatto fare una medaglietta d’oro con incisa la mia fotografia; gliela diedi la mattina prima di partire per  Milano e lei scoppiò in lacrime e mi abbracciò baciandomi tutto. Quell’abbraccio non potete neanche capire quanto mi fece forza!

I tre giorni passarono velocemente, questa volta non vedevo l’ora di tornare a casa anche i miei capirono. Passò anche in fretta il Capodanno, eccoci giunti a gennaio, il mese della verità. 16 gennaio 2008, il mio compleanno, 23 anni ma anche quel giorno non era molto da festeggiare. La mattina, come sempre prima di andare al lavoro andai a salutare lo zio, bacio sulla fronte come ogni giorno e gli chiesi: ”Sai che giorno è oggi?” Lui mi rispose: ”Sì, il tuo compleanno!”  In quel momento il mio cuore si riempi di gioia, mi commossi; mio zio nonostante la malattia si ricordava del mio compleanno e voleva che aprissi il cassetto dove teneva quei pochi soldi che aveva, per regalarmeli ma io rifiutai rispondendogli: ”Il regalo più bello che mi puoi fare, è farti forza e reagire per me”. Lui mi sorrise e mi disse:  ”Va bene!”  Andai al lavoro in lacrime. Rebecca per quel giorno mi aveva preparato una festa a sorpresa per tirarmi sù da quei giorni neri, meno male che c’era lei al mio fianco!

giovedì 11 giugno 2020

CAPITOLO 53, CAPITOLO 54, CAPITOLO 55



53  GMG: FATICA MERAVIGLIOSA

Il giorno della partenza arrivò, come sempre saluto in famiglia, salutai Rebecca che doveva fare le vacanze con i genitori al mare; tutto pronto per partire. Anche per questa esperienza c’era  Veronica  come sempre; purtroppo Veronica aveva scoperto di avere una malattia neurologica e col passare del tempo iniziava a far fatica a camminare e a trovare l’equilibrio quindi il pellegrinaggio lo doveva fare in carrozzina.
Il Don decise di partire in pullman, quindi il giorno della partenza tutti fuori dall’oratorio con tutti i genitori e gli amici a salutarci. Il viaggio in pullman fu lunghissimo e straziante, ore e ore seduti con un caldo pauroso perché era metà agosto, tutti con pantaloncini e maglietta e anche nelle valige vi erano vestiti estivi solo un pantalone lungo e una felpa nel caso di brutto tempo.
Sul pullman come ogni gita, o vacanza che si rispetti , vi era chi giocava a carte, chi parlava, chi cantava, chi guardava la televisione, chi dormiva, io stranamente ero uno di quelli che dormivano! Le ore passavano pianissimo, arrivò la sera quindi cena al sacco  (panini) e poi  a dormire o almeno provarci visto che dovevamo dormire sui sedili del pullman. Una volta arrivato il mattino, sosta chiaramente per i bisogni, per colazione e per darsi una sciacquata, così fino ad arrivare al pranzo sempre al sacco.
Verso le sette di sera, arrivammo finalmente in Germania. Tutti pensavamo di aver sbagliato posto perché, arrivando pian-piano alla meta, iniziavamo a vedere le nuvole, faceva freddo, il sole iniziava a non vedersi più, e una volta arrivati in Germania un acquazzone immenso ci  accolse… e noi avevamo solo vestiti estivi. Iniziavamo bene!
Una volta arrivati, il pellegrinaggio poteva iniziare passando prima da uno stabilimento adibito al ritiro del kit del pellegrino che comprendeva cappellino con bandiera Italiana (ogni paese aveva il suo cappello con la sua bandiera), maglietta della diocesi di Milano (sempre per gli italiani), zainetto, telo da usare come tappeto per  i due  giorni in cui avremmo incontrato il Papa nel parco, radiolina per sentire la Santa Messa in tutte le lingue, guida della città per non perdesi e buoni pasto. Una volta fatta quella tappa dovevamo recarci in una scuola dove ci davano il cibo per la sera: una scatoletta di carne, un salamino, una banana, e un pezzo di pane, vi posso assicurare che questo cibo non l’avrei dato neanche da mangiare al mio cane, non vi era nulla di commestibile. Poi  finito ciò bisognava dividersi a gruppi, perché le notti che seguivano le avremmo passate in diverse famiglie della Germania: uno scambio interculturale. In queste famiglie avremmo passato le notti e la colazione, poi loro continuavano la loro vita tra lavoro e impegni e noi continuavamo il nostro pellegrinaggio. Io ero in gruppo con Silvio, Pietro (il ragazzo di Lourdes) e Fabrizio ma siccome la famiglia che ci doveva ospitare si era dimenticata di venire, io e Fabrizio fummo affidati ad un ragazzo che era lì ad aspettare che gli venisse affidato qualcuno, mentre Pietro e Silvio decisero di passare la notte nella scuola con altri ragazzi che non erano stati recuperati, per essere recuperati il giorno dopo, dormendo così sul prato con sacchi a pelo.
L’appuntamento era per la mattina dopo la colazione, ovviamente facendo colazione con le famiglie si iniziava a fare un po’ di confidenza e a conoscersi un po’- inutile dire che io non capivo una mazza di quello che dicevano, sapendo a stento a formulare una frase di senso compiuto in italiano, meno male c’era Fabrizio!-.
La colazione non era male, vi era di tutto: affettati di ogni tipo, salame, prosciutto cotto, crudo, mortadella, formaggi, uova, marmellata, fette biscottate, ci rimpinzavamo bene perché poi sapevamo che fuori non avremmo mangiato nulla dal momento che il cibo che ti forniva il pellegrinaggio era pessimo, infatti a fine GMG avevamo perso tutti dai 4- 5 chili.
Raggiunto il punto di ritrovo potevamo iniziare il nostro pellegrinaggio: i primi quattro giorni a spasso per le città della Germania tra chiese, musei, monumenti, parlando, ridendo, confrontandoci e conoscendo un sacco di persone che erano lì anch’essi per quella esperienza, italiani e stranieri. Due giorni poi li avremmo passati in un parco grandissimo, il parco di Marienfeld (se non sbaglio) dove si incontrava il Papa e la domenica si faceva la Santa Messa, gli ultimi tre giorni invece li avremmo passati sul pullman facendo tappa e visita nei campi di concentramento di Flossenburg, Dachau, e Mathausen. Ma andiamo passo per passo!

Come stavo dicendo i giorni in giro per la Germania furono bellissimi tra risate, canzoni, visite, ci facevamo sempre riconoscere, mettevamo allegria a tutti quelli che capitavano sulla nostra strada perché quando capitavamo sui mezzi di trasporto come metro, pullman, tram (erano più le volte che ce la facevamo a piedi per chilometri e chilometri, perché non funzionavano o perché la città era bloccata dalla quantità di pellegrini che erano accorsi per la GMG) iniziavamo ad innalzare canti che facevamo all’oratorio, rendendo partecipi tutti quelli che erano sui mezzi italiani e non, e  alla fine ci beccavamo un applauso finale da tutti.
Una scena comica che ricordo che accadde su un tram fu che Mattia, uno di noi, era affianco ad una ragazza e pensando fosse straniera, guardandoci le mise il braccio intorno alla vita e  disse: “Raga, questa è la my girl!” Lei, a quel punto, gli tolse il braccio e gli  rispose: ”Mi spiace, ma non sono la tua ragazza!” Era italiana, lui diventò tutto rosso, e noi tutti scoppiammo a ridere.
Oppure un’altra volta eravamo su un pullman e due ragazzi tedeschi completamente ubriachi si misero vicino a me, il Don e altre due ragazze, iniziarono a dire chissà che cosa nella loro lingua, già io non li capivo, poi ubriachi marci figuratevi! Il Don ridendo, gliene disse di tutti i colori prendendoli in giro, noi ovviamente scoppiammo a ridere e i due ragazzi non capendo l’italiano e vedendo che noi ridevamo risero anche loro senza capire che in realtà li stava prendendo in giro.
Tutto questo fino ad arrivare alla sera finale in cui salutammo le famiglie ringraziandole per quei giorni trascorsi insieme, e trasferirci al parco Marienfeld  dove avremmo passato i due giorni successivi.


54   INCONTRO COL PAPA

Questo immenso parco, il Marienfeld, poteva contenere tutti i pellegrini che erano lì per la Giornata Mondiale della Gioventù. Il parco era diviso in zone, nella prima zona vicino all’ingresso c’erano i volontari che distribuivano il sacchetto col cibo per i  due  giorni.  Stava a noi gestirci sul cibo e decidere quando mangiare e bere, ma vi assicuro che anche lì, il cibo era pessimo. Infatti ogni giorno ricevevamo telefonate dai nostri genitori, che ci chiedevano come andava e se mangiavano perché nei documentari riguardanti la GMG  e nei telegiornali, continuavano a intervistare persone che si lamentavano sui trasporti e sul cibo dicendo che era indecente, e ovviamente a casa erano un po’ preoccupati.
Poi nel secondo spazio vi erano i rubinetti per lavarsi e i bagni per maschi e femmine, i bagni erano quelli chimici da cantiere quindi dopo un giorno potete immaginare lo schifo che c’era, ci passava anche la voglia di usarli, poi tutto il resto del parco era diviso a settori e ogni gruppo aveva un settore dove doveva posizionarsi e preparare il campo per la notte. Noi ovviamente, con la fortuna che avevamo eravamo lontani dai bagni -quindi quando dovevamo andare in bagno ci voleva almeno mezz’ora per arrivare- e lontanissimi dal palco, quindi il Papa l’avremmo visto e sentito solo nei megaschermi  che vi erano disposti per tutto il campo.
Una volta arrivati nel nostro settore, dovevamo iniziare a preparare il campo per la notte che avremmo passato lì, quindi tirammo fuori tutti i nostri teli blu che avevamo nello zaino del pellegrino e scocciandoli o legandoli con delle corde improvvisate che avevamo, abbiamo creato un enorme tappeto dove tutti potevamo starci sopra. La giornata così proseguiva, ognuno per occupare il tempo poteva fare quello che voleva, quindi c’era chi giocava a carte, chi leggeva, chi sentiva la musica stando attento a non esaurire tutte le batterie della radiolina, chi parlava, chi pregava. Io, Carlo, Leonardo, Pietro e altri ragazzi iniziammo ad andare in giro per tutto l’enorme parco a fare amicizia con le popolazioni. La cosa bella è che quando incontravi una popolazione di un altro posto del mondo, loro ti chiedevano un ricordino in regalo, che poteva essere la maglietta della nostra diocesi, il cappello italiano, un braccialetto, qualsiasi cosa di ricordo. Da lì allora iniziammo a fare scambi con il resto del mondo.
La sera si tornava nella nostra sezione si stava un po’ insieme, si facevano i vesperi, si parlava, ci si confrontava, si rideva e poi si mangiava quel poco di commestibile che c’era, poi si cercava di andare in bagno e nei lavandini, per preparasi per dormire sotto il cielo stellato. Tra i bagni e il cibo non so proprio cos’era meglio! Una volta nei nostri sacchi a pelo, si cercava di dormire, essendo in migliaia ovviamente era difficile perché c’erano le popolazioni africane che facevano balli e canti fino tardi, chi suonava con la chitarra, chi andava in giro. Quando finalmente riuscii a prendere sonno sentii un rumore strano, era il Don che con una bottiglia di plastica ammazzava un topo, si perché nel paco vi erano i topi, quindi dormire iniziò a diventare molto difficile, la paura di trovarsi un topo addosso o in bocca era tanta.
La mattina, una volta svegli ci si recava nei lavandini e nei bagni, per lavarsi i denti, la faccia e prepararsi, ma la coda era lunghissima, almeno un’ora di attesa.   Alle dieci bisognava essere tutti nei propri settori, i volontari bloccavano le strade e le vie perché arrivava il Papa, passando con la sua papa-mobile tra di noi. Una volta sul palco iniziò a parlare sotto lo sguardo di migliaia di pellegrini e telecamere, partirono ovviamente canti, cori, applausi e noi alzammo i nostri striscioni: “Se sei Benedetto  (doppio senso) batti le mani” e  “Non chiamateci Papa Boys!”  Alle undici circa iniziò la Santa Messa, tutti con libricino in mano, cuffie con attaccata la radiolina per ascoltare la Messa in tutte le lingue, al momento della comunione, centinaia di preti, vescovi, cardinali si distribuirono tra la gente per dare la comunione, e allo scambio della pace, tutti andavano in giro per scambiare il segno della pace con le persone più vicine.  Finita la Messa Benedetto XXVII ringraziò tutti per essere accorsi  numerosi  in quel giorno; ci disse:  “Siete accorsi in molti a questa giornata  su invito del nostro Papa Giovanni Paolo II, lui oggi è in ognuno di voi, ma sicuramente sarà affacciato su una nuvola a gustarsi questo meraviglioso spettacolo, e l’appuntamento che vi vorrà lanciare sarà per Sidney 2008!”  Si perché, ogni Giornata Mondiale della Gioventù veniva annunciato il luogo dove si sarebbe svolta la prossima GMG che si teneva ogni tre anni. Finito ciò iniziarono a partire cori e applausi come:  “Giovanni Paolo Santo subito, Giovanni Paolo uno di noi!”  Alla fine della messa il Papa risalendo sulla sua papa-mobile uscì passando però in tutti i settori del Marienfeld per dare un saluto a tutta la gente che era accorsa. La GMG era così conclusa, ora bisognava raccogliere le nostre cose e lasciare il Marienfeld, uscendo avevamo un po’ di amarezza, perché stava giungendo tutto al termine e anche se erano stati giorni faticosi, furono giorni meravigliosi.


55  TRISTEZZA DELLA STORIA

Una volta usciti dal Marienfeld, ci recammo al pullman, potevamo partire, destinazione primo hotel che il Don aveva prenotato  per poi fare visita al primo campo di concentramento: Flossenburg.
In hotel arrivammo la sera, hotel cinque stelle, vi era tutto, era bellissimo, oltre ad avere le camere,  aveva dei piccoli appartamenti all’interno di un enorme parco. Da quanto era grosso dovevi girarlo in pullman. Siccome era tardi non facevamo in tempo a lavarci e prepararci per la cena quindi andammo tutti vestiti ancora come la GMG, un po’ puzzolenti. Appena entrammo ci vergognammo un pochino, perché i camerieri erano tutti in giacca e cravatta, gli altri ospiti dell’hotel tutti vestiti da gala, noi invece come dei barboni, tutti ci guardavano un pò straniti. Una volta arrivati nella nostra sala per la cena, vi erano tavoli con disposto sopra ogni tipo di cibo: affettati di ogni genere, uova sode, pollo arrosto, pollo piccante, pasta, carne, insalata… Noi ovviamente, non mangiando da due giorni e alla visione di tanto cibo, ci dimenticammo di essere in un hotel a cinque stelle dove vi erano solo persone raffinate e ci lanciammo sul cibo come animali, perché era cena a buffet. Tempo mezz’ora i tavoli erano vuoti, avevamo mangiato tutto sotto lo sguardo incredulo della gente. Finito di mangiare eravamo molto stanchi quindi il Don ci divise in camere per la notte. Io capitai in un appartamento bellissimo con Fulvio, Carlo, Filippo e Massimo; una volta arrivati in camera finalmente una vera doccia e poi letto. Il mattino dopo colazione sta volta vestiti meglio e più educati, anche la colazione era a buffet, anche li, vi era di tutto dal dolce al salato. Finita la colazione  partimmo per il primo campo di concentramento di Flossenburg.
Una volta arrivati ed entrati lo scempio, a quella visione, l’amarezza della storia di tante persone morte in quel modo, mi si stringeva il cuore.  Così furono anche per gli altri due giorni quando andammo a Dachau e a Manthasen, altri due campi di concentramento. In questi giorni dormivamo sempre in hotel, la qualità ovviamente non era come quello a cinque stelle, però sempre meglio un letto comodo tra quattro pareti e un tetto che un sacco a pelo in mezzo ai topi.
Purtroppo arrivò la fine della splendida vacanza, era ora di tornare a casa, sul pullman nel viaggio di ritorno eravamo tutti tristi perché il pellegrinaggio ci aveva aperto gli occhi ma soprattutto i campi di concentramento  ci avevano aperto il cuore, ognuno di noi  lasciava un suo commento,  un sentimento provato e ovviamente il mese successivo uscirono gli articoli su CantoNovo.

 FEDE E STORIA

“Raccontare come sono stati questi dieci giorni, non è per nulla facile!Certe emozioni, certi sguardi, certe cose che ti nascono nel cuore, fanno fatica a tradursi efficacemente in parole.
Con ancora negli occhi le stelle cadenti della notte di S. Lorenzo, ci siamo rivolti ad una stella che non cade; abbiamo risposto all’appello e siamo giunti a Colonia per adorarlo. Come tante e tante figure della Bibbia, abbiamo lasciato ciò che avevamo, le case, le famiglie, gli agi, e abbiamo assaporato un po’ della gioia che Cristo ha promesso a chi lo segue.
La Germania, culla di fermenti culturali fin dall’antichità, è stata una piacevole sorpresa di ospitalità e tolleranza.  Abbiamo avuto anche il nostro piccolo miracolo nel tempo atmosferico, che ha retto fino tutta la messa col Papa, nonostante minacciasse pioggia. Da questa prima settimana, insieme a tanti punti di riflessione col Pontefice, portiamo certamente a casa l’entusiasmo per tutte le esperienze di scambio con la folla di multiforme di giovani pellegrini.  Quasi una moderna Babele! E, disperdendoci in tutti gli angoli del mondo, come sale della terra, ci diamo appuntamento a Sidney 2008.
Senza scrollarci del tutto di dosso, e ancora tanta stanchezza sulle spalle, ci siamo dedicati ad un’incontro forte con la storia, a Flossenburg, Dachau, e Mathausen.   Con religioso rispetto abbiamo reso omaggio a questi luoghi della memoria, imprimendoci bene nella mente l’imperativo; mai più!  Non dimenticare, perché non si ripeta mai più un simile orrore.
E’ stata forte l’estrema  antitesi: la diversità tra i popoli, che avevamo appena vissuto come occasione di arricchimento e speranza, in questi luoghi era stata solo una minaccia da estirpare ferocemente.  Impossibile non sentirsi disorientati, preda di dubbi e fortemente scossi nel più intimo di noi stessi da un’ umanità tanto disumana! Come per i Magi, i “doni” che ci portiamo a casa sono molto più preziosi di quelli con cui siamo partiti. A noi ora farli fruttare.                                                                                                                          “….per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.”
Margherita”


GRAZIE-GRAZIE-GRAZIE!

Che aggiungere a quello già raccontato!? Forse un commento personale (piacevole, riflessivo, felice) sulla giornata mondiale della gioventù, e uno un po’ più triste (pieno di rabbia, sofferenza, preghiera) per la visita ai campi di concentramento!
Dalla giornata mondiale mi proto a casa lo scambio di magliette, braccialetti, spille,ecc… con i popoli stranieri. Non tanto per aver qualcosa di altre Nazioni a tutti i costi, ma per essere riuscito (con l’aiuto dei miei compagni) a parlare (o farmi capire), ridere e scherzare con altre persone di popolazioni diverse, senza pregiudizi. Cose che, nella vita di tutti i giorni, sinceramente facciamo fatica a fare. Grazie a questa esperienza ho imparato a guardare la gente di altre nazioni con altri occhi: gli occhi del cuore!
Dall’esperienza dei campi di concentramento, invece, porto a casa molta riflessione e preghiera, ma anche rabbia e tristezza per tutto il male, l’odio e la violenza che ci sono stati. Preghiera per tutta quella gente che ha perso la vita, ma che ha vissuto con coraggio e forza giorno per giorno senza arrendesi, sapendo a cosa andava incontro. Così ho imparato che la vita va vissuta giorno per giorno e a mille, gustandola tutta senza arrendersi mai. Quindi da questa esperienza, dove ho imparato tanto, posso dire solo: GRAZIE-GRAZIE-GRAZIE!
           
                                                                                                                      Gianluca  

giovedì 4 giugno 2020

CAPITOLO 51, CAPITOLO 52



51  LAVORO E SERMIG

Le vacanze erano finite, Lourdes aveva portato bene perché la mia vita finalmente stava prendendo una svolta positiva.  
Dopo aver girato praticamente tutte le agenzie di Busto, dopo aver passato interi pomeriggi con Rebecca quando usciva da scuola, finalmente a ottobre trovai  il lavoro. Mi avevano preso in una ditta elettronica che faceva bobine, e componenti elettrici, non male almeno così sembrava.
Poi come se non bastasse continuavo a giocare a calcetto a 7 al  C.S.I. e il Don riuscì a convincermi a frequentare catechismo dicendomi che c’erano altre esperienze meravigliose che dovevo fare.
In più fui scelto come allenatore dell’A.S.O., la squadra di calcio dei ragazzi dell’oratorio, quella dove giocavo anche io da piccolo. Procedeva tutto alla grande.
Intanto la situazione in casa era sempre la stessa, la zia solita vita, lo zio peggiorava di anno in anno e la mia famiglia a Milano l’avrei rivista a natale: tutto come al solito. Quell’anno infatti, non successe molto di eclatante a parte che avevo compiuto 20 anni e che a fine anno con la mia squadra di ragazzi avevamo vinto il campionato oratoriale. Primo anno di allenatore e subito vittoria, promettevo bene. Quando giocavo io, ricordo che una volta arrivammo primi, l’anno dopo secondi, e poi ancora primi, io avevo girato tutti i ruoli fino ad arrivare in porta ed ero un muro, mi arrivarono proposte anche di società di calcio ma purtroppo me le feci passare perché oltre a giocare all’A.S.O., giocavo anche a calcetto a 7 come centrocampista, ora me ne pento.

Tutto questo fino ad arrivare a fine marzo quando il Don ci fece fare un’altra esperienza di vita con il catechismo, esperienza anch’essa molto bella: i catechisti ci avrebbero portato al SERMIG a Torino.
Cos’è il SEMIG?   Il SERMIG è un vecchio arsenale di armi che oggi hanno adibito all’accoglienza di bisognosi e di ragazzi volenterosi di dare una mano, da li prese il soprannome di “Arsenale della pace”. Anche quella fu un’esperienza molto bella. Finita anche quella esperienza, il Don  voleva che scrivessi un articolo su CantoNovo, come era già successo per Lourdes, quindi io che ormai ci avevo preso gusto a scrivere, perché potevo far viaggiare la mia immaginazione, come per la prima volta mi misi in sala con davanti un foglio bianco e la penna in mano… e via!

“Il Sermig è nato nel 1964 da un’intuizione di Ernesto Oliviero. Il nome (servizio missionario giovani) sintetizza i grandi sogni condivisi: sconfiggere la fame con opere di giustizia, vivere la solidarietà verso i più poveri e dare una speciale attenzione ai giovani creando insieme a loro la via della pace. Prima, al posto del Sermig, vi era un arsenale militare dove costruivano armi per la guerra adesso è diventato un arsenale della pace, sempre aperto per chi vuole sostare, cercare il silenzio e la presenza di Dio. Dal 1983 il lavoro gratuito di tanti soprattutto di giovani lo hanno trasformato in profezia di pace, punto di incontro tra culture, religioni, schieramenti diversi per dialogare, conoscersi, correggersi, amarsi, camminare insieme.  E’ un riferimento per i giovani che hanno voglia di dare un senso alla propria vita (giovani, coppie sposate, famiglie, monaci e monache). Una casa aperta a chi aspetta soccorso: madri sole, carcerati, stranieri, persone che hanno bisogno di cure, di casa, di lavoro.  Il risultato? Milioni di persone aiutano milioni di persone. Bastano questi motivi per andare a visitarlo.
  Io e alcuni compagni di catechismo abbiamo avuto subito l’onore di conoscere Ernesto Oliviero, fondatore di questo meraviglioso  posto, il quale ci ha spiegato come iniziò tutto con molti sacrifici e molta voglia di fare.  In pochi minuti è riuscito a destare una grinta incredibile; il mio primo pensiero fu: “Basta! Mi trasferisco qua ad aiutare il prossimo”. Vorremmo davvero che molte persone aprissero il loro cuore ai più bisognosi, per vivere la vita con vero amore. Sono stati due giorni di preghiera e aiuto verso il prossimo con lavoro e fatica; due giorni in cui ci si ama a vicen da come al Sermig.
 E per finire vi lascio una domanda alla quale dovete rispondere con il cuore: “Siete in grado di donare la vostra vita, il vostro tempo per aiutare il prossimo come ci chiede Gesù?”


52  TATUAGGIO E GMG

Il 2005 prometteva di essere un anno pieno di esperienze di vita!
Intanto avevo deciso di farmi il mio primo tatuaggio, si proprio così il ragazzo che fino allora aveva detto che non si sarebbe mai fatto un tatuaggio e che aveva una paura immensa degli aghi cambiò idea. Avevo deciso di farmi tatuare sul braccio sinistro un folletto che suonava il flauto con le iniziali del mio grande amico Alessandro, un modo per portarlo sempre con me. La paura ricordo che era tanta, ma poi alla fine riuscii a superare la tensione; tatuaggio fatto ovviamente di nascosto dagli zii perché erano contrari. Una volta visto però dovettero accettarlo.

Dopo  l’esperienza del  Sermig, per l’estate il Don ci aveva convinto a partecipare alla GMG. La GMG era la Giornata Mondiale della Gioventù, che si teneva in Germania, dieci  giorni di pellegrinaggio all’incontro col Papa. Il Papa, allora Giovanni Paolo II, aveva invitato tutti i giovani del mondo a questo meraviglioso pellegrinaggio prima di ammalarsi e il Don, come al solito, ci aveva convinto a fare anche questa esperienza unica. Questo voleva dire che  per il secondo anno consecutivo dovevo rinunciare al mare, sacrificio che venne ripagato a pieno.
Fummo in tanti ad iscriverci per questo pellegrinaggio, però vi era un grosso problema, in questo pellegrinaggio non potevano partecipare minorenni non accompagnati dai genitori, e la maggior parte di noi, che voleva partecipare era proprio minorenne. Quindi il Don dovette fare una riunione con tutti i genitori, farsi firmare i fogli di consenso, in modo da prendersi tutta la responsabilità  di tutti i minorenni. In più tutti i partecipanti alla GMG dovevano compilare i fogli d’iscrizione che si trovavano al centro ASL.
A questo proposito, mi viene in mente una scena comica che fece scoppiare a ridere tutte le persone che vi erano quel giorno al centro ASL. Un girono io e un  gruppo di amici ci recammo per fare l’iscrizione; compilando i fogli ci accorgemmo che se non eri maggiorenne ci voleva la firma di un genitore, io ero salvo ma due miei amici, Carlo e Gennaro, non potevano consegnare il foglio, dovevano portarli a casa farli firmare e tornare a riconsegnarli. Il problema era che all’una chiudeva, noi avevamo fatto già due ore di coda e siccome non facevano in tempo ad andare a casa, fare firmare i fogli e tornare all’ ASL, si inventarono una scenetta comica. Mentre stava per toccare a noi Gennaro disse a Carlo: “O Carlo, hai letto qui sotto, ci vuole la firma dei genitori altrimenti non puoi consegnare il foglio!” Lui rispose: “ E ora che facciamo?” In quel momento a Gennaro venne in mente un’idea: “Fai quello che faccio io!” Fecero finta di chiamare i genitori per  farli correre fuori dall’ufficio in modo da firmare i fogli, dopo dieci minuti sotto lo sguardo di tutte le persone che erano in fila Gennaro si mise a gridare: “O Carlo, va che sono arrivati i nostri genitori!” Carlo rispose: “Dove sono, non li vedo?” Gennaro, schiacciandogli il piede disse: “Come non li vedi, sono lì in macchina, dai andiamo a fargli firmare i fogli, così non devono scendere dalla macchina!” E rivolgendosi a me, visto che toccava quasi a noi, mi disse: “O Pe tieni il posto, che facciamo firmare i fogli ai nostri genitori e torniamo subito!” Il problema è che fuori non c’era nessuno, uscirono, falsificarono la firma sotto lo sguardo di tutti, che a stento riuscivano a non ridere, e tornarono dentro.  Fogli firmati, consegnati, ora eravamo iscritti ufficialmente al pellegrinaggio. Un signore, uscendo, guardando Gennaro e Carlo, scoppiò a ridere e gli disse: “Complimenti, siete fortissimi!” 

Purtroppo però,  il Papa  il 2 Aprile 2005 morì. Noi tutti eravamo dispiaciuti tantissimo, la sera che il Papa stette male noi dell’oratorio, come successe in tutto il mondo documentato dalle televisioni, ci chiudemmo un’oretta in cappellina a pregare per la sua salute, ma alle 22:00 se non sbaglio le campane suonarono in segno di lutto: il Papa se ne era andato.
Qualche settimana dopo fu eletto il nuovo Papa, Benedetto XXVI, molti di noi iniziavano ad avere ripensamenti sul pellegrinaggio, perché in fondo noi volevamo andare per vedere Giovanni Paolo II. Il Papa meraviglioso dei giovani, il nuovo Papa non lo conosceva nessuno, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro, poi dopo la magnifica prova di recitazione di Gennaro!
Il Don, giustamente, ci fece notare che Giovanni Paolo II avrebbe voluto vedere quel giorno milioni di pellegrini, quindi trovammo la convinzione. Anche per quella esperienza facemmo un percorso spirituale intenso, ci trovavamo le sere a cenare in oratorio tutti insieme e dopo cena, preghiera, preparare canti, parlare, confrontarci su idee.  Ma sentivamo che mancava qualcosa, si perché le sere di preparazione erano fantastiche, facevamo delle risate immense, ma come sempre l’oratorio San Luigi a quel pellegrinaggio doveva lasciare il segno, dovevamo trovare un modo per far parlare di noi. Pensa e  ripensa, alla fine preparammo degli striscioni con diverse scritte da alzare al momento del pellegrinaggio, su uno di questi vi era scritto: “NON CHIAMATECI PAPA BOYS!”

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...