giovedì 30 luglio 2020

CAPITOLO 75, CAPITOLO 76, CAPITOLO 77



75  TROPPO BUONA PER ME!

Una volta a casa era il momento di fare i conti con la verità, vivevo ancora con Rebecca. Appena la vidi mi sentii un verme per quello che avevo combinato: dolore, amarezza, sconforto, delusione dentro di me… la guardavo e vedevo che soffriva, non avevo giustificazioni.
Casa mia non era ancora finita mancavano ancoro un po’ di lavori. Lei ancora una volta dimostrò di essere superiore a me, dimostrò che mia amava veramente; mi disse di rimanere lì finchè i lavori non fossero finiti, però tra noi qualcosa si era spezzato. Un’altra mi avrebbe sicuramente abbandonato, lasciato per strada come avrei meritato, ma non lei!

Giorno dopo giorno però, quella convivenza stava diventando pesante, si sentiva che c’era sempre tensione e freddezza tra di noi, un giorno Rebecca era nervosa, litigammo e decisi di tornare a casa mia anche se non era ancora finita. Lei da una parte non si aspettava questa mia decisione perché sicuramente ci teneva ancora, ma io -per rispetto nei suoi confronti e per quello che avevo combinato- me ne andai.
Dopo due anni feci ritorno a casa mia! Mancavano ancora i collegamenti della cucina, il gas, l’acqua calda, e alcune luci nelle stanze però era giusto che lasciassi spazio a Rebecca. Una volta seduto a tavola, suonò il  citofono erano Giordano e Lucia, loro seppero questa decisione dalla figlia e sapendo che casa mia non era ancora finita erano venuti per riportarmi a casa loro. Salirono per parlarmi cercando di convincermi. Giordano mi disse: “Giagy  torna da noi almeno finchè casa tua non è finita del tutto, non puoi cucinare, non hai l’acqua calda, come pensi di fare. Mia figlia lo sai che è un po’ impulsiva, ti chiedo scusa io per lei se ti ha risposto così!”   Gli si vedeva negli occhi che ci stava male, in fondo ero insieme a sua figlia da tantissimo tempo e poi vivere per due anni sotto lo stesso tetto si erano attaccati tantissimo a me, però la mia risposta fu secca e decisa: “Per cucinare ho il microonde, per lavarmi mi lavo con l’acqua fredda, è giusto che impari a camminare da solo, prima o poi sarebbe dovuto capitare, per quanto riguarda Rebecca, lei non ha sbagliato in niente, se c’è qualcuno che ha sbagliato qui sono io, non l’ho trattata come meritava, l’ho delusa, l’ho fatta soffrire, merita sicuramente di meglio. Quindi è meglio così!” Dopo un abbraccio con loro ci salutammo e mi dissero che se cambiavo idea o in qualsiasi momento loro c’erano, di non sparire e di farmi sentire. Non avevo mai visto delle persone così buone come loro.
Una volta che andarono capii cosa mi aveva fatto perdere quella vacanza, avevo scelto il divertimento, l’alcol, il fumo, le ragazze facili, invece  dell’amore vero, di  persone meravigliose come loro, scoppiai in lacrime. Solo allora capii che stavo bruciando la mia vita che dovevo rialzarmi per forza perché se non lo facevo avrei fatto una brutta fine.
In quel momento pensai che i miei zii potevano essere delusi. Da quel giorno cercavo sempre di trovare le forze per andare avanti, per rimediare a tutti i miei errori. La vita continuava: lavoro, casa, spese, verità che facevano male, ma io mi ero rimesso in carreggiata. Uscendo nei weekend con gli amici c’era anche Rebecca, anche lei aveva visto che stavo tornando ad essere il ragazzo che aveva conosciuto, vedeva che stavo reagendo quindi tornammo a parlare, ridere e scherzare. Lei si stava riavvicinando a me. Io però cercavo sempre di stare un po’ distante, mi piaceva ancora, ci tenevo tantissimo a lei, ma ero rimasto della mia idea, lei meritava di meglio.

Girono dopo giorno gli amici cercavano di farci tornare insieme, anche Pietro un giorno mi prese da parte e mi disse: “Pe, lei ci tiene veramente a te, te lo ha dimostrato in tutti questi anni e te lo sta dimostrando ancora una volta. Ci vuole riprovare, in questi giorni ho visto in te un cambiamento, quello che hai fatto ti servirà di lezione per non rifarlo più. Perché non ci riprovi?”  Pietro fu l’unica persona con cui mi aprii totalmente dicendogli: “Pietro, io tornerei anche oggi con lei perché i miei sentimenti non sono cambiati, anzi aumentano sempre di più. Io non me la vedo una vita senza di lei, prima avevo tre punti di forza mia zia, mio zio, e lei; oggi non ho più nulla, ma perché me la sono cercata io col mio modo di fare, ho sbagliato troppo, forse tutto, soprattutto con lei. Rebecca per me c’è sempre stata non arrendendosi mai, ha sempre combattuto al mio fianco e, quando io cadevo combatteva anche al mio posto cercando sempre di rialzarmi. Io invece cosa ho fatto? Ho scelto la strada più facile, pensando che mi potesse aiutare invece mi sono rovinato con le mie mani. Lei è troppo buona per stare con uno come me, non mi merita, merita qualcuno che la possa veramente rendere felice, che non la tratti come l’ho trattata io in tutti questi anni, uno migliore di me. Poi quello che ho fatto in vacanza è stato pessimo, l’ho tradita, ho tradito la sua fiducia. Merita rispetto, quello che io non le ho dato!”
Ero convintissimo della mia scelta!


76  RIPENSAMENTO

Natale a Milano, mi fecero tutti un “cazziatone” per quello che avevo fatto, soprattutto mio padre, lui era quello che ci era rimasto più male, stravedeva per Rebecca.
Il capodanno, invece, decisi di passarlo con l’oratorio a Champorcher, si iscrisse anche lei e io ci rimasi un po’ male perché vederla mi faceva soffrire. In vacanza si stava creando un clima unico meraviglioso con tutti i ragazzi, nuove amicizie, nuove conoscenze e intanto iniziavano i legami più profondi. Io mi ero legato tantissimo a una ragazza molto più piccola di me, Beatrice,  la vedevo come una sorellina, ma Rebecca ovviamente era gelosa e pensava male, così ogni tanto litigavamo.
 L’ultimo giorno di vacanza fu il più bello perché Don Nicola fece una messa particolare e tutti scoppiammo in lacrime, si era creato un legame intenso.
Proprio per questo l’oratorio per l’estate stava organizzando la giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, io avendo già fatto quella nel 2005 ed essendo rimasto entusiasta volevo partecipare anche a questa. Rebecca invece era combattuta sulla decisione, da una parte voleva venire, dall’altra voleva andare con i suoi genitori ad Ibiza. Capite la difficoltà della scelta: pellegrinaggio religioso contro sballo assoluto. Il problema era che dovevamo confermare e prenotare entro fine gennaio perché i posti a disposizione erano pochi. Passò anche il mio compleanno e arrivo il regalo più bello e inaspettato si, perché  alla fine mi ero fatto convincere dai miei amici e da Pietro a tornare con Rebecca, lei fino a quel giorno non mi aveva mai abbandonato dimostrandomi che era sempre lì a rialzarmi troppo buona per me! Sta volta avevo capito la lezione e non volevo più farmela scappare.
Intanto i preparativi per questo pellegrinaggio all’incontro col Papa iniziarono presto, perché costava abbastanza e noi ragazzi dell’oratorio stavamo organizzando iniziative -tipo: vendita di torte, feste dell’oratorio con musica- per raccogliere qualche soldo e ammortizzare un po’ i costi, alla fine pagammo qualcosa in meno. Iscrizioni fatte ma una volta che ci trovammo a fare la riunione e ci spiegarono in cosa consisteva questa vacanza, ci spaventammo tutti, e in molti ci volevamo tirare indietro; mi sa che era meglio Ibiza! Niente valigia ma bisognava partire solo con uno zaino da campeggio in spalla dove al suo interno dovevamo farci stare il ricambio per 10 giorni, il  k-way nel caso piovesse, le ciabatte, il pigiama, il beauty case, l’asciugamano per la doccia e il sacco a pelo perché avremmo dormito in palestre, oratori, strutture organizzate. Ovviamente lo zaino non doveva pesare troppo perché veniva considerato bagaglio a mano, già questo ci preoccupava. Era impossibile farci stare dentro il necessario per dieci giorni, anche perché bisognava tenerlo sempre in spalla nel pellegrinaggio quindi non doveva pesare troppo. Alla fine uno zaino completo comprendeva, una felpa nel caso facesse freddo, tre magliette, tre pantaloncini, tre calze, tre mutande, un asciugamano in microfibra per risparmiare spazio, le ciabatte, il k-way e il beauty case, e legato sopra il sacco a pelo. In pratica ogni giorno dovevamo lavarci gli indumenti in modo che durassero per dieci giorni, e se noi maschi avevamo ripensamenti figuratevi le femmine che non potevano truccarsi, farsi belle, ma soprattutto avevano il problema più grosso se durante il pellegrinaggio le arrivavano le loro cose?  Meno male ero maschio! 
Il pellegrinaggio invece era così composto: arrivati a Segovia dovevamo raggiungere
l’oratorio dove avremmo passato la prima notte, ci saremmo lavati e la PT (pattuglia tecnica composta da  Giammarco, Monica, Adelaide, Pino, Gloria) preparavano da mangiare e ci faceva trovare pronto il posto dove avremmo passato la notte.
Praticamente la pattuglia tecnica non era altro che questi ragazzi e ragazze che erano partite giorni prima da Busto fino ad arrivare a Segovia con il pulmino dell’oratorio, carico di beni di ogni genere e necessità tipo: la bombola e il fornetto per cucinare, materassini, sacchi a pelo di scorta, cibo di ogni genere, bevande, sanitari, tutto quello che riguardava l’infermeria se uno si faceva male, praticamente vi era su di tutto. E ovviamente perlustravano le zone e i sentieri dove noi poi avremmo fatto il pellegrinaggio. 
Il giorno dopo poteva cominciare la nostra avventura  fatta a tappe, in che senso? Praticamente ogni giorno la sveglia era fissata per le 5 del mattino quando il sole non era ancora spuntato in modo che non facesse troppo caldo -ma la mattina faceva molto freddo- lavarsi, prepararsi, prendere il sacchettino della colazione e del panino che la PT aveva preparano per noi e incamminarci fino la prossima tappa dove avremmo passato la successiva notte… in pratica dovevamo fare ogni giorno 30 chilometri a piedi. Questo era il nostro pellegrinaggio dei primi sette giorni, la tappa finale era arrivare a Madrid a piedi. Una volta arrivati a Madrid avremmo dormito in una palestra con tutti gli altri ragazzi delle diverse parrocchie,  più di 300 persone ammassati in una palestra: dormire per terra e lavarsi nelle docce comuni… sarebbe stato un degenero! In quei tre giorni si faceva la catechesi e le messe in preparazione all’incontro col Papa, questo era la vacanza che ci aspettava.
Io, Rebecca e molti altri eravamo impauriti e ci domandavamo chi ce l’avesse fatto fare di iscriverci, ci consolava solo il fatto che eravamo ancora a febbraio mancavano ancora più di 5 mesi. 


77  NEL MIO CUORE

Tutto a questo punto sembrava procedere bene, avevo anche fatto un nuovo tatuaggio sul polpaccio. Come successo per mio zio decisi di fare un tatuaggio anche per mia zia, dovevo solo trovare il disegno, doveva avere un significato.
Pensa e ripensa disegno trovato! Vi ricordate come mia zia chiamava Rebecca quando era ricoverata in rianimazione? Draghetta, mi sarei fatto disegnare un Draghetto con le alucce che usciva dall’uovo, ovviamente con le iniziali di mia zia, in modo che avrei sempre ripensato a lei, ma nello stesso tempo in modo che Rebecca oltre ad essere dentro il mio cuore sarebbe stata disegnata sulla mia gamba… due piccioni con una fava. Loro erano le due donne più importanti della mia vita. Fu il tatuaggio più bello che avevo disegnato sul mio corpo, anche perché aveva un significato immenso.

Sembrava procedere tutto a meraviglia, con Rebecca andava tutto splendidamente, ogni fine settimana insieme ai suoi genitori andavamo in montagna a Santa Maria Maggiore, loro ogni anno prendevano la casa stagionale da novembre a maggio e quindi eravamo sempre sù a divertirci. Grazie a lei mi era iniziata a piacere la montagna, prima non mi garbava tanto. Ormai andavamo sù dal 2008.

Ma ho detto tutto sembrava andare bene, perché un weekend io e Rebecca eravamo saliti da soli il venerdì sera per dedicare un po’ di tempo a noi, mentre i suoi genitori sarebbero arrivati il sabato pomeriggio. Quella mattina ci svegliammo per andare a fare colazione in paese che dista dieci minuti a piedi da dove alloggiavamo noi, mentre facevamo la strada mi arrivò una chiamata. Era mia sorella Camilla che mi avvisava che mio padre non stava bene, doveva essere operato per l’ottava volta alla gamba a causa della solita vena. Però sta volta era molto più grave i dottori dissero che ormai aveva avuto troppi interventi e non si poteva fare più nulla, l’unica soluzione era amputagliela. Io a quella notizia sbiancai e Rebecca vide che dal sorriso che avevo passai alle lacrime. Dissi a mia sorella che l’avrei raggiunta subito ma lei mi rispose di non preoccuparmi perché c’erano loro e mi avrebbe tenuto informato su ogni cosa. Quando attaccai Rebecca volle sapere cosa era successo così glielo raccontai, anche lei mi disse se volevamo andare a Milano. Ma per una volta fui io che non volevo rovinarle il weekend e gli dissi di stare tranquilla che saremo andati giù la settimana successiva.
In cuore mio stavo malissimo. Una volta fatta colazione e a tornati a casa preparammo da mangiare per i suoi genitori, quando arrivavano io dissi a Rebecca di far finta di nulla, non volevo deprimerli, quindi ci sedemmo a tavola per mangiare ma io non riuscivo, non ci stavo con la testa; a quel punto Lucia mi chiese cos’era successo e io scoppiai in lacrime. A raccontarglielo fu sua figlia, cercarono di tranquillizzarmi dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Il weekend finì, io dovevo tornare a lavoro, ogni volta chiamavo mia sorella per sapere novità ma, nulla, non l’avevano ancora operato, l’operarono il venerdì.
Il sabato io e Rebecca andammo subito a Milano per vedere come stava. Ricordo che entrammo nella sua camera con mia sorella Sofia e con Angela, mio padre era giù di morale, non voleva accettare di aver perso una gamba. Per uno come lui era come se avesse perso un pezzo di vita. Provate a immaginare un napoletano tosto che tutte le mattine si svegliava alle cinque per andare nell’orto, alle otto andava al mercato della carne e della verdura a fare la spesa, tornava a casa faceva la colazione per la moglie, preparava da mangiare per quando rientrava, al pomeriggio tornava nell’orto, già il fatto di non lavorare perché nessuno lo  prendeva per la sua età lo deprimeva, poi qualche anno prima aveva perso Siria, il suo amato pitbull, faceva tutto con lei, era la sua vita. Dovette farla sopprimere per tumori alle mammelle, e da quel giorno si era depresso ancora di più e ora senza una gamba pensava di essere un peso. Ora toccava a noi cercare di farlo rialzare, dovevamo dargli tutta la forza che in quegli anni lui aveva dato a noi, ma era difficilissimo.
Restammo lì tutta la mattinata poi un salto a casa a mangiare, e tornammo nell’orario di visita. Sembrava stare meglio, ma una volta rientrati a casa di mia sorella Sofia, ci arrivò una chiamata da Camilla. Papà aveva avuto una crisi respiratoria e lo avevano dovuto portare subito in rianimazione.
La storia si ripeteva! Ci precipitammo tutti lì in lacrime, arrivò anche mio zio Fausto con zia Paola per cercare di capire cos’era successo;  fuori ad aspettare che quelle maledette porte si aprissero. Ad un certo punto uscì il primario e ci disse: “Il signor Armando ha avuto una crisi respiratoria, i suoi polmoni sono pieni d’acqua e ha preso una bronchite, l’abbiamo messo in coma farmacologico dobbiamo cercare di asciugare l’acqua che ha nei polmoni e cercare di fargli passare questa tosse. La situazione rimane critica!” 
La storia si ripeteva, non ci volevo credere, di nuovo ancora una nuvola nera sulla nostra famiglia. Alla fine tornammo a casa, la domenica ritornammo in ospedale io e Rebecca eravamo rimasti lì a dormire, i suoi genitori avevano capito la situazione.
Ci alternammo a fargli visita sempre entrando con camice, cuffietta, calzari. Papà era come la zia, fermo immobile su un letto, mi sembrava di tornare indietro nel tempo, dentro di nuovo un dolore immenso e Rebecca aveva paura che ricadessi nel buco nero che avevo lasciato.
Passarono i giorni, io tutti i sabati andavo giù a Milano, infatti la mia vita era tornata ad essere da lunedì a venerdì lavoro, casa, problemi da risolvere legati a pompe funebri, casa e tutto quello che ci stava dietro, il sabato a Milano tutto il giorno in ospedale a trovare papà e la domenica tornavo e la passavo con Chiara ma la testa rimaneva sempre a Milano e lei lo sapeva. Ancora una volta era lì con me a farmi forza e a cercare di non farmi cadere, a combattere al mio fianco cercando di rialzarmi.
In tutto questo dolore Jessica (mia madre) non si è mai fatta nè sentire nè vedere. Che razza di madre è una che si comporta cosi!?

giovedì 23 luglio 2020

CAPITOLO 72, CAPITOLO 73, CAPITOLO 74



72  SUINA IN VISTA

Ed eccoci ancora una volta in macchina per partire, vacanze 2009 con Rebecca, Veronica, Alessio, Giulio, Davide, Federico e Carmelo.
Arrivati finalmente a Cervia, mentre gli altri andavano a ritirare le chiavi dell’appartamento io mi precipitai in spiaggia, non vedevo l’ora di abbracciare e rivedere Giulio. Una volta in spiaggia vedendo Germano, salutandolo e abbracciandolo, gli chiesi subito dove fosse Giulio che volevo vederlo ed ero tornato soprattutto per lui, ma in quel momento i suoi occhi si riempirono di lacrime ed ecco la triste verità… Giulio, il mio grande amico, colui che era riuscito a tirarmi fuori da un momento nero per me, e a farmi passare una vacanza indimenticabile l’anno prima, non c’era più, era morto due mesi prima!
Il gelo, un silenzio di tomba, feci le condoglianze a Germano e gli dissi che ci saremmo rivisti più tardi e lasciai la spiaggia, proprio in quel momento giunsero gli altri ragazzi, anche Veronica aveva creato un rapporto grandioso con Giulio e sia lei che Rebecca mi dissero: “Allora come va, portaci da Giulio che siamo curiose di vederlo!” Volto scuro, dovetti dare la notizia anche a loro. La vacanza iniziava col piede sbagliato. Ma appunto si trattava di vacanza, eravamo lì per riposarci e divertirci, quindi dovevamo reagire, il giorno dopo tutti in spiaggia ovviamente a “Playa Caribe” ormai era la nostra spiaggia. Bagno, partita a carte, partita a bocce, partita a ping-pong, sole, finalmente relax… ma quell’anno sembrava proprio non voler andare nulla per il verso giusto. A Cervia un mese prima c’era stata un’epidemia di suina, e sfortunati come non mai chi prese la suina?  Rebecca!  Sì, un giorno lei non si sentiva bene, aveva la febbre alta così volle rimanere a casa, io le dissi che sarei rimasto lì con lei ma lei mi disse: “No, non è giusto che ti rovini una giornata di mare per me! Vai pure non ti preoccupare” Così andai   al mare ma alle undici  mi arrivò una telefonata, era Carmelo che mi diceva che lui e Federico stavano portando Rebecca in ospedale perché la febbre si era alzata, così mi feci venire a prendere, andammo in ospedale. Io vestito con costume e canottiera, occhiali da sole, infradito e ancora la sabbia addosso, che terrone! La stavano visitando ad un certo punto ci dissero che si trattava di suina, di non preoccuparci solo che avrebbe dovuto dormire in una stanza da sola, e noi in casa avremmo dovuto tenere le mascherine. Tutti allora si spaventarono e volevano che tornasse a casa, non volevano essere contagiati ma io mi arrabbiai dicendo che lei non si muoveva da lì. Poverina era demoralizzata al massimo, i giorni successivi non voleva che rinunciavo alla vacanza per stare con lei quindi mi diceva sempre di andare a divertirmi mentre lei stava a casa con la cugina e magari faceva un giro. Le vacanze purtroppo volavano velocemente e Rebecca aveva fatto i primi tre giorni di mare e basta, la sera faceva un giro in centro con Carmelo, Federico e Veronica mentre io, Davide, Giulio e Alessio andavamo sempre al Caino. Ricordo che un girono passarono lì davanti in macchina per salutarci, erano con la mascherina, li guardarono tutti. Arrivammo a Ferragosto, Rebecca aveva ancora un po’ di febbre ma quel giorno le dissi: “Adesso basta, non mi interessa; visto che con gli antibiotici e le cure che ti hanno dato non ti passa, oggi te ne vieni al mare con me!” Lei era contentissima anche se aveva un po’ di paura perché non le era passata del tutto, ma un giorni di mare la rialzò totalmente, la febbre scesa e guarì. Da quel giorno iniziavano le vacanza anche per lei quindi la sera tutti al Papete a ballare e bere. Ma come sempre, tutte le cose belle prima o poi devono finire, tempo di rientro a casa un’altra estate era finita era il momento di tornare alla  vita  quotidiana.  Sicuramente una vacanza che non dimenticheremo mai!


73  CROLLO TOTALE

I lavori a casa mia procedeva bene, col fatto che l’idraulico era mio amico, l’impianto elettrico me lo fecero Marco e Ciro, e tutto il resto del materiale, compresa la manodopera, mi aveva aiutato Giordano, sicuramente risparmiai tantissimi soldi, senza contare che gli infissi li feci nella mia ditta, l’unica cosa che pagai a prezzo pieno furono le porte interne che dividono sala, bagno, camera, cucina e la porta blindata che fino ad allora non c’era.
Ormai eravamo giunti al giro di boa c’era solo un piccolo problema ora da risolvere, dovevo convincere gli eredi di mio zio, quindi i suoi fratelli, a firmare le carte in modo che la casa rimanesse a me. In fondo io non gli avevo chiesto nulla fino ad allora  a loro, e loro fino quel giorno non si erano mai fatti nè vedere nè sentire.  Non pensavo fosse  così difficile, in pratica ad ogni mia lettera di avviso, loro non rispondevano o, se rispondevano, le loro risposte erano sempre: “Di quella casa noi non vogliamo sapere nulla, puoi fare quello che vuoi!” Il fatto era che per la legge loro dovevano metterlo per iscritto nero su bianco.
Si da il fatto che gli anni passavano e le cose non si smuovevano, io iniziavo a deprimermi e buttarmi sempre più giù perché le spese mensili da pagare erano tante. In pratica lo stipendio non lo vedevo e non lo gustavo neanche, tutto per cosa? ? Per metà appartamento!
 Così iniziai ad arrabbiarmi e a dichiarare guerra a tutti coloro che si mettevano sulla mia strada, stavo tornando ad essere il ragazzo della Trekka, il ragazzo di strada; solo che con questo atteggiamento a pagarne le conseguenze era anche il mio rapporto con Rebecca, ma soprattutto lei che mi vedeva cambiare. Vedeva che mi stavo chiudendo ancora una volta in un mondo tutto mio per non far  più ritorno. Tutte le volte che andavamo a trovare mio padre lui cercava di aiutarmi di farmi stare tranquillo, dicendomi che si sarebbe risolto tutto, avrebbe parlato lui con i fratelli e li avrebbe fatti ragionare. Mi diceva di non rovinare tutto per loro. Ma ormai stavo iniziando a cadere senza rendermene conto, fermarmi ormai era impossibile! Rebecca se ne era accorta di questa mia caduta libera, cercava sempre di tenermi su senza abbandonarmi mai, nonostante tutto lei era lì a sorreggermi, ma io non me ne accorgevo ormai ero accecato da tutto, l’uscita da questo tunnel era sempre più lontana.
Intanto alcuni fratelli di mio zio e mio padre si fecero sentire dicendomi che non avevano intenzione di spendere neanche una lira per fare le pratiche, piuttosto non rinunciavano all’eredità. Così facendo io mi trovavo a dover pagare le spese di un appartamento che probabilmente avrei fatto fatica ad ottenere. Più il tempo passava più le cose peggioravano, anche mio padre iniziava a non stare bene di salute, la sfortuna della famiglia Pepe sembrava non aver fine. Dovette essere operato alla gamba per colpa di una vena che non faceva passare il sangue nella giusta maniera, se non sbaglio si dovrebbe chiamare trombosi. Quella fu una delle tante operazioni che dovette affrontare mio padre. Ma nonostante non stesse bene ogni volta che andavo a trovarlo e gli chiedevo come stava lui continuava a rispondermi: “Bene, ma non ti preoccupare di me, tu piuttosto come va?”  Anche lui pensava sempre agli altri, a me e a Marco, che eravamo quelli messi peggio. Dopo di noi veniva la sua salute.
Mi ricordo che un girono mi portò da uno dei suoi fratelli che non voleva firmarmi i fogli della casa, questo fratello era in debito con mio padre perché papà l’aveva sempre aiutato quando era nei guai, anche lavandogli e stirandogli la biancheria, ma soprattutto gli aveva dato tanti soldi, alla fine lo convinse dicendogli: “Con tutto quello che ho  fatto per te, ora tu devi fare una cosa per me, ti conviene firmagli questi fogli!” Alla fine me li firmò, il problema era che mancavano ancora 4 fratelli di mio padre più le mie sorelle Siria e Carmela e mio fratello Esposito, loro non si facevano proprio  sentire.
Ormai per quell’anno mi rassegnai ero caduto troppo in basso, non mi interessava più nulla di nulla non avevo più voglia di combattere, ero stanco… neanche Rebecca riuscì più a tirarmi sù anzi stavo rischiando di portare giù anche la cosa più bella che avevo al mio fianco ma ormai non riuscivo più a vedere.


74  TORNA IL RAGAZZO DI STRADA

Eravamo giunti per l’ennesima volta alle vacanze estive, questi anni erano passati troppo velocemente e troppo male. Il mio rapporto con Rebecca ne stava risentendo, ma non per colpa sua, anzi lei è sempre stata un amore, standomi sempre affianco e cercando sempre di rialzarmi senza abbandonarmi mai. Subendo anche il mio bruttissimo carattere e soffrendo tantissimo interiormente perché vedeva che il ragazzo dolce, sensibile, generoso, con un cuore enorme che aveva conosciuto fino ad allora, stava sparendo per far spazio al ragazzo: duro, orgoglioso, senza rispetto degli altri e con il cuore di ghiaccio.  Ma nonostante tutto lei non si arrendeva.
Quell’anno per motivi futili, banali, inventati decidemmo, o meglio decisi di fare le vacanze separate. Alcuni amici avevano già prenotato per Ios[1] e anche noi stavamo prenotando per quel posto in modo da stare tutti insieme. Io dissi subito agli altri ragazzi che ovviamente volevo che ci fosse anche Rebecca, il problema era che saremmo stati tutti maschi e uno di questi mi convinse a non farla venire dicendomi: “Cosa la fai venire a fare? Siamo tutti maschi, lei sarebbe l’unica donna si romperebbe le ….!” Io però continuavo ad insistere finchè alla fine non mi convinse, comunicai la decisione a Rebecca e giustamente lei ci rimase malissimo anche perché io avevo scelto loro a lei. Una volta deciso prenotammo, la settimana dopo si aggiunsero a noi altri amici e tra di loro c’erano anche delle ragazze a quel punto io smattai[2] contro colui che mi aveva detto di non far venire Rebecca, lui mi disse: “Cosa ci posso fare io, come facevo a sapere che sarebbero venute altre ragazze?” Io era arrabbiatissimo e quando lo dissi a Rebecca, lei si arrabbiò ancora di più giustamente con me e con lui, rimanendoci malissimo; non mi parlò per un po’ di tempo. Vivevamo sotto lo stesso tetto e parlavamo solo se era necessario. Tutta questa situazione stava diventando difficile, io stavo diventando difficile!

Arrivarono le vacanze,  partimmo Rebecca alla fine fece la vacanza con i suoi genitori. Eccoci arrivati ad Ios,  l’isola del divertimento puro, dell’alcol a  go-go, delle ragazze facili. Iniziai subito col piede sbagliato, ero triste da una parte perché non c’era Rebecca e arrabbiato ancora dall’altra parte col mio amico per quel fatto, ma alla fine su quell’isola eravamo in 40. Praticamente c’era tutta Busto! La prima sera fu tranquilla conoscenza del posto, mare, baretti, io comunque iniziai a viaggiare in un mondo tutto mio, la testa vagava, i problemi tornavano a galla, la mia vita iniziava a non piacermi più soprattutto perché col mio modo di fare stavo allontanando la ragazza più importante che avevo.
Alla fine scelsi la strada più facile, quella che mi avrebbe rovinato per sempre la vita, quella dell’alcol e del fumo. Tutte le sere con i  miei amici eravamo tutti ubriachi, non ce n’era uno sano, facevamo fatica a tornare a casa anche in motorino -che era il nostro mezzo di trasporto, un motorino per due persone, io ero con Vittorio. Chi sdraiato per terra, chi a letto, chi a vomitare. La cosa buona era che io non arrivavo mai a vomitare mi fermavo sempre prima. La giornata di molti, me compreso, infatti era: ore 11 del mattino mare fino le 19, a quell’ora andavamo al “Far Out”  che era un bar con piscina e pista da ballo, dove si beveva fino le 21 e già lì molti erano ubriachi, poi si tornava a casa in motorino ci si lavava e per le 23 si mangiava. Dopo ciò  si rideva e scherzava fino le  24, chi voleva beveva ancora, e poi si tornava fuori… giro per il centro e per i baretti dove c’era musica e alcol -ci si riempiva di chupiti fino le 2 di notte- e  a quel punto apriva la discoteca, dove con 5 euro bevevi 2 consumazioni. Si stava a ballare fino alle 8:30 del mattino, una volta usciti dopo tanto alcol, si mangiava la pita (piadina greca con carne, cipolle, insalata, pomodori, patatine, ketchup). Alle 9:30  si tornava a casa dove ci si metteva a letto per chi riusciva fino le 11. Alle 11 di mattina ripartiva la giornata!
Il grandissimo problema, era che io dopo la seconda sera non capivo nulla, ed essendo tornato ad essere il ragazzo senza cuore, ascoltai gli amici sbagliati che mi dicevano: “Divertiti quando tornerai a casa si vedrà!” Lasciai la Rebecca nel peggior modo in cui si può lasciare una ragazza, da vigliacco, per  telefono, mandandole un messaggio, ovviamente dopo aver bevuto. Solo la mattina quando mi passò la sbronza capii cosa avevo fatto, ma ovviamente era troppo tardi,  io ormai ero per terra e non volevo più alzarmi. Furono due settimane di devasto tra alcol, fumo, ragazze facili, un disastro tutti rimorchiavano a destra e a sinistra e concludevano anche portandosele a letto; finche un giorno ci cascai anche io e mi lasciai andare, iniziai a fare la vacanza da ragazzo senza cuore ma che si voleva solo divertire come tutti. Rimorchiai un paio di ragazze, ma senza farci mai sesso perché ogni volta, anche se sembrerà strano da credere, mi sentivo un verme, solo che l’alcol e il fumo aiutavano tanto.

L’ultima sera fu la più bella; un gruppo di ragazzi era già partito, rimanevamo due gruppi, il nostro -che sarebbe partito quella mattina alle 4- e altre 8 persone che sarebbero partite due giorni dopo. Quella sera avevamo fatto un patto: niente alcol, anche perché sinceramente eravamo stanchissimi e con sonno arretrato. Andammo fuori a mangiare (lì con dieci euro mangiavi tutto pesce), finito di cenare ci eravamo preparati fette di anguria e cocktail alla frutta leggerissimi, da portarci in spiaggia davanti al falò dove Gennaro suonava la chitarra e noi cantavamo, ridevamo, parlavamo della vacanza, ci raccontavamo le nostre storie.
Fu l’unica sera  che ero sano e capii cosa avevo perso, capii solo in quel momento cosa avevo combinato, avevo perso la ragazza della mia vita, l’unica cosa per cui valeva la pena tornare a casa, la ragazza che in quegli anni non mi aveva mai abbandonato, mi era stata sempre vicino anche con il mio carattere pessimo. In una vacanza avevo bruciato tutto, ora non mi rimaneva veramente più nulla! Vittorio, vedendomi star male e vedendo una lacrima che scendeva mi disse: “Ora cosa intendi fare?” Per la prima volta la mia risposta fu sensata e decisa: “Ho rovinato tutto, l’ho persa per il mio carattere, lei in questi anni non mi ha mai abbandonato nemmeno per un secondo, io ho tradito la sua fiducia. Non merita di soffrire ancora, merita uno che le possa dare la felicità di cui ha bisogno, che la tratti come una principessa. Quindi non farò nulla per rispetto nei suoi confronti non tornerò più  da lei, la lascerò libera!”  Quella fu la mia risposta anche se il cuore in quel momento si spezzò per non aggiustarsi più!
Ad un certo punto il fuoco si stava per spegnere così Danilo ebbe la brillante idea di dire: “Tranquilli ci penso io!” Si alzò, prese un ombrellone di paglia e legno che c’era sulla spiaggia, si avvicinò al fuoco, noi lo guardammo e pensammo: “Ma va non sarà così babbo da buttarlo dentro!” In una frazione di secondo, neanche il tempo di alzarci per fermarlo, Danilo scaraventò l’ombrellone all’interno del fuoco… subito ci alzammo per cercare di tirarlo furori ma appena ci avvicinammo essendo in paglia fece una fiammata stratosferica, quindi cercammo di spegnere subito le fiamme mentre dei ragazzi dell’isola correvano verso di noi, volevano picchiarci. In un lampo fu il fuggi-fuggi generale scappammo tutti in mille direzioni, il problema fu che presero Davide che stava dormendo lì, non aveva fatto in tempo a scappare, iniziarono a picchiarlo e lo portarono  dalla polizia. Poverino, lui non c’entrava nulla stava dormendo. Dopo dieci minuti il mio telefono suonò: era Davide arrabbiatissimo per quello che era successo, ci diceva di andarlo a recuperare in caserma perché non capiva neanche una parola di quello che dicevano. Una volta arrivati grazie a Vincenzo riuscimmo a spiegare cosa era successo, a Danilo spettava pagare l’ombrellone, gli sarebbe arrivata la fattura a casa potevamo andare a prendere il traghetto per partire perché nel frattempo si erano fatte le 4, stavamo anche rischiando di perderlo.  Una volta arrivati al porto, arrivò il proprietario dell’ombrellone che prese Dario per il collo, non voleva farlo salire, voleva subito i soldi, io presi il proprietario lo spinsi via e portai Danilo sul traghetto intanto che Vincenzo ancora una volta cercò di spiegare che l’ombrellone gli sarebbe stato ripagato.
Una volta seduti sul traghetto e in salvo, collassammo dal sonno, tanto che non ci accorgemmo che era già passata un’ora da quando ci eravamo imbarcati, ed eravamo arrivati in aeroporto. Erano le 5 di mattina, l’aereo era alle 18:00 ci sedemmo sulle valige a dormire fino quell’ora poi salimmo sull’aereo e, anche lì, appena toccammo i sedili ci fu un collasso totale. Non ci accorgemmo neanche che eravamo rimasti fermi per guasto, io avevo fatto tutto il viaggio con la cintura. Sicuramente nel bene o nel male vacanza indimenticabile. 


[1] Isola  della Grecia
[2] Mi arrabbiai

giovedì 16 luglio 2020

CAPITOLO 69, CAPITOLO 70, CAPITOLO 71



69  WEEKEND E VACANZE

Dopo il funerale Rebecca e i suoi genitori avevano organizzato un weekend a Viareggio, volevano che andassi con loro, io però non me la sentivo anche se sicuramente ne avrei avuto bisogno. Mio padre però non voleva lasciarmi qui da solo così mi disse che sarebbe venuto con me a Domodossola a far cremare la zia, l’avremmo sepolta e poi per il weekend mi avrebbe portato a Milano con lui.
Salutai Rebecca e i suoi genitori che mi diedero appuntamento finito il weekend a casa loro perché volevano che mi trasferissi lì per un po’. Partii con mio padre per Domodossola, una volta cremata mia zia e sepolta con mio zio, partimmo per la Trekka.  Mi aspettavano 3 giorni nel mio quartiere con mio padre, Angela e i miei fratelli, furono tre giorni veramente pesanti e difficili perché sapevo che una volta che sarei tornato a casa mia, non c’era più nessuno ad aspettarmi, dovendo  iniziare a preoccuparmi di tutti i problemi che sarebbero arrivati. Nel frattempo in quei tre giorni mio padre cercava di tirarmi sù di morale, di farmi forza; diceva che io ero stato fortunato perché avevo trovato due persone d’oro che mi avevano amato con tutto il cuore, ma ora era il momento di rimboccarmi le maniche e mettere in pratica i loro insegnamenti, dovevo diventare uomo, dovevo diventare grande. Loro avrebbero voluto così!  Facile da dire difficile da fare. Ad un certo punto mio padre, mi disse anche: “Se vuoi puoi anche trasferirti qui con me e Angela, qui la porta per te è sempre aperta!” Questo era il sogno che avrebbe sempre voluto, non in questo modo però, e che l’avrebbe reso felicissimo. Ma sapeva benissimo che  la mia risposta sarebbe stata: “Non posso papi, è vero ho perso tutto però mi rimane ancora Rebecca, lei in questi mesi non mi ha mai abbandonato, ha dimostrato che sono importante e che mi ama tantissimo, non posso lasciarla da sola, il mio futuro è lei,  e poi ho il lavoro e i casini legati alla casa da sbrigare. Grazie di cuore ma non me la sento di abbandonare tutto! Però ti prometto che da adesso in poi recupereremo il tempo perso”. Questa fu la mia risposta, mio padre sapeva  che avrei risposto così.
Tornai a casa da Rebecca e dalla sua famiglia, la vita doveva andare avanti anche se non volevo rialzarmi, non avevo più le forze, ora dovevo tornare al lavoro anche perché a soli 23 anni mi trovavo a dover pagare 14 mila euro di funerale tra mio zio e mia zia. Volevo pagarli io senza chiedere una mano a nessuno, mi sembrava giusto così; l’unica cosa che chiedevo era la parte di casa di mio zio perché quella di mia zia diventò mia. Non mi sembrava di chiedere così tanto!

Il tempo passava troppo velocemente, le giornate volavano arrivando così fino alle vacanze estive, io non volevo partire, non me la sentivo, era una vacanza che avevo organizzato con mia zia e senza di lei non mi sembrava giusto farla. Alla fine Rebecca e i miei compagni di viaggio mi convinsero ad andare, mi sarebbe servito per staccare un po’ dai problemi. Purtroppo ancora una volta Rebecca non poteva venire perchè era ancora troppo piccola e doveva andare con i suoi genitori. Il giorno della partenza arrivò, salutai Rebecca e la sua famiglia e ovviamente l’appuntamento era al rientro dalle vacanze.


70  GIULIO, UN GRANDE AMICO

Una volta arrivato a Cervia le vacanze potevano iniziare, tra mare, spiaggia discoteche, papete, e alcol!
Purtroppo io i primi giorni non mi sentivo in forma, i miei amici cercavano ogni volta di tirarmi sù di morale ma per l’inizio fu abbastanza difficile, fin quando una sera decidemmo di fare serata solo maschi. Eravamo io, Roberto, Leonardo, Giulio, Davide e Danilo, mentre Annalisa e Veronica rimasero in casa. Andammo a Milano Marittima, dieci minuti a piedi da dove eravamo noi, lì era pieno di baretti con la musica a manetta e alcol a go-go. Entrammo al Caino, che era uno di questi bar. Poteva iniziare la serata, i ragazzi per non farmi pensare ai problemi mi dissero di berci sopra, così mi presi un cocktail e fu l’inizio della fine. Tutte le sere uscivamo a bere e il più delle volte tornavo a casa sbronzo anche perché non ero uno che reggeva molto l’alcol. Avevo iniziato a pensare che in questo modo potevo non pensare più ai miei problemi e mi potesse aiutare. Le vacanze passarono velocemente tra divertimento, alcol e papete, per il resto non successe nulla anche perché c’era Rebecca che mi aspettava a casa e tutte le sere ci sentivamo, mi mancava tanto.
In spiaggia io avevo fatto amicizia con Giulio, lui e Germano erano due fratelli ed erano i proprietari della spiaggia dove andavamo noi: “Playa Caribe”. Giulio era stato colpito da un tumore al cervello e avevano dovuto operarlo, i medici dicevano che era stato fortunatissimo ad essere ancora in vita. In pochi gironi io e lui diventammo subito grandi amici, infatti ogni giorno che ci vedevamo gli dicevo: “Che ragazza mi presenti per stasera!”  Lui me ne indicava una a caso e mi rispondeva: ” Ti va bene quella? Quella è bravissima a baciare, ti fa vedere il paradiso!”  Io ridevo e gli rispondevo:  ”E quanto mi costa, quanto ti devo dare?” Lui: “Eh quella è molto cara 200 euro a bacio!” Tutti i giorni così, ogni giorno una ragazza diversa con un particolare e costo diverso, tutto questo ovviamente scherzando. Tutti gli volevano un gran bene e io mi ero legato subito a lui tanto che un giorno ci sedemmo a parlare da soli. Gli raccontai che era un periodo nero della mia vita, in soli 5 mesi avevo perso tutto e non avevo più voglia di rialzarmi; lui per farmi forza mi raccontò della sua malattia, rimasi sbalordito a vedere tanta forza e grinta in lui. Gli raccontai anche di uno dei miei grandi sogni,  avere uno stabilimento balneare come il loro, lui mi raccontò come aprirono “Playa Caribe” e poi mi fece una proposta allettante, mi disse: “La vedi questa spiaggia affianco, è in vendita potresti comprarla tu in modo da lavorare vicino a me e se non ce la dovresti fare da solo ti potresti mettere in società con me e mio fratello!” La proposta era fighissima, troppo bella per essere vera, l’avrei accettato subito al volo ma poi tornando con i piedi per terra gli risposi: ”Guarda sarebbe il sogno della mia vita, solo che come ti ho spiegato ho un po’ di problemi, tanti soldi da spendere  e poi c’è la mia ragazza. Però la terrò presente, mai dire mai!” Io e lui eravamo diventati inseparabili, il giorno dei saluti e del ritorno a casa ci salutammo con un grosso abbraccio e nostalgia dandoci appuntamento all’anno dopo, sarei tornato da lui e chissà magari rimasto lì!


71  SEMPRE PEGGIO

Vacanze finite tornai da Rebecca, non vedevo l’ora di riabbracciarla, si tornava alla vita normale; avevo anche deciso di tornare a casa mia, quindi dopo tre mesi feci ritorno nel mio appartamento, ma quando entrai mi fermò subito una vicina di casa dicendomi che avrei dovuto rompere un pezzo di muro della cucina; dove passano le canne fumarie del condomino perché se ne era rotta una Come se non bastasse una volta che entrai e mi preparai per fare una doccia, appena aprii l’acqua vidi che da sotto la doccia iniziò a formarsi un lago immenso, le tubature erano già vecchie e stando ferme per tanti mesi erano scoppiate, avrei dovuto rompere i pavimenti per sistemarle. Come se non bastasse una volta che entrai in camera e mi sedetti sul letto scoppiai in lacrime, mi mancavano troppo i miei zii, praticamente già l’inizio prometteva male. Ovviamente quel giorno Rebecca era lì con me e vedendomi così, ma vedendo anche tutto quel disastro mi disse: “Tu stai ancora da me! E per i lavori ora sentiamo papà!” Suo padre lavorava in una impresa edile, magari mi avrebbe aiutato nei costi di ristrutturazione. Inutile dire che i giorni volavano velocissimo, andai come ogni mese a pagare la rata di pompe funebri e già che ero lì mi venne in mente quella cosa che mi disse mia zia al cimitero, cioè che voleva che suo marito, suo papà e sua mamma potessero stare  insieme. Così chiamando di nuovo sua cugina per firmare il consenso, decisi di fare alla zia, questo ultimo regalo. Feci in modo di racchiuderli tutti in un solo loculo, inutile dire che le spese aumentarono. La casa stava cadendo a pezzi, le tubature erano scoppiate, la canna fumaria si era rotta, l’impianto elettrico non era più a norma, decisi di ristrutturare anche casa in modo che una volta che fossi entrato non avrei dovuto più mettergli mano, così grazie alle mie numerose amicizie, al Giordano (papà di Rebecca) e al mio lavoro, decisi di rifare completamente l’appartamento. Pavimenti, tubature, impianto elettrico, impianto idraulico, infissi nuovi; sta di fatto che dovetti chiedere un prestito per la ristrutturazione. La prima richiesta di 40 mila euro mi venne rifiutata, dovetti farne un’altra ma potevano solo darmene 20, così ancora una volta i genitori della Rebecca mi aiutarono vendendomi incontro 20 la banca e 20 loro.  A quel punto mi venne spontanea una domanda: “Ma se non ci fossero stati loro, io che fine avrei fatto?” Si da il fatto che a soli 23 anni mi trovai a dover pagare 54 mila euro, guadagnandone solo 1000 al mese e avendo rate mensili di 800 euro, escludendo le spese delle bollette, benzina, e viveri…. allucinante!  Questo mi buttò ancora più giù! 

Il lavoro proseguiva bene, finalmente una bella notizia, da determinato passai ad indeterminato almeno una cosa sembrava procedere nel verso giusto.
Quasi tutti i weekend io e Rebecca li passavamo a Milano da mio padre; stavamo recuperando il tempo perso in più mio padre si era innamorato di Rebecca. Lei col suo modo di fare era riuscita a rubare non solo il mio cuore ma anche il suo, lui stravedeva per lei e ogni volta che andavamo a trovarlo passava ore e ore a parlarle e mi diceva sempre di non farla soffrire perchè un’altra come lei non l’avrei mai trovata e lui mi avrebbe spaccato le gambe. Ero contentissimo di ciò perché mai nessuna ragazza era riuscita a fare questo effetto a mio padre, Rebecca era la ragazza giusta per me.

 Passò un altro anno, Natale tutti in famiglia, arrivando fino all’estate 2009, non era cambiato nulla; casa mia era un cantiere senza data di fine, io vivevo ancora da Giordano, Lucia e Rebecca e finalmente ci avvicinavamo alle vacanze estive… prenotazione Cervia, c’era Giulio che mi aspettava e sta volta avrei fatto per la prima volta le vacanze da solo con Rebecca, avrei potuto presentarla a Giulio. Non stavo più nella pelle!

giovedì 9 luglio 2020

CAPITOLO 66, CAPITOLO 67, CAPITOLO 68



66  CROLLA LA MIA VITA

Come ogni anno nel mio oratorio si organizzava un torneo di calcetto estivo, lo Spadea, e io essendomi allontanato dal calcio perché non ci stavo più con la testa, mi occupavo dell’organizzazione, ma quell’anno non me la sentivo, erano successe troppe di cose, la morte dello zio e la zia in ospedale. Rebecca e la zia mi dissero di dare lo stesso una mano così almeno mi distraevo un po’, così  alla fine accettai. Una volta uscito dal lavoro, la sera come sempre passavo a prendere Rebecca, andavamo a trovare la zia e stavamo con lei, la facevo mangiare poi per le sette riportavo Rebecca a casa, la sera alle otto andavo in oratorio ad aiutare per il torneo di calcio.
Tutto così fino al 27 maggio, quel giorno mi sentivo stranissimo, sentivo che c’era qualcosa che non andava, finita la giornata di lavoro andai subito in ospedale perché Rebecca era in giro con sua mamma a fare compere, sarebbe arrivata dopo. Quando arrivai vidi la zia seduta sulle sedie del corridoio che mi aspettava, appena mi vide mi corse incontro e mi abbracciò piangendo, io ero preoccupato e le chiesi cos’era successo, lei mi disse: “Mi hanno detto che se andrà tutto bene dovrò fare la dialisi a vita!” Io sinceramente non sapevo che cos’era  e non lo so tutt’oggi, quindi le chiesi di cosa si trattava. Lei mi spiegò che era un cura che doveva fare ogni tot presentandosi in ospedale, era preoccupata per me perché così facendo avrei dovuto rinunciare alle vacanze con lei. Ricordo che mi disse:  “Come faremo adesso, non potremo  andare in vacanza perché ti dovrai occupare di me e io non voglio che ti sacrifichi per me!” Io cercai subito di tranquillizzarla perché era agitatissima, dicendole: “Stai tranquilla non ti preoccupare, non è nulla, vorrà dire che per un anno non vado al mare, rilassati ce la faremo!” Ma lei si sentiva troppo in colpa e continuava a piangere;  fortunatamente in quel momento arrivò Rebecca con sua mamma, la zia vedendole scoppiò ancora di più. Anche loro le dissero che avremmo trovato una soluzione di stare tranquilla. Una volta tranquillizzata la riportammo in camera a letto e rimanemmo lì con lei, io tenendole  la mano e tenendola abbracciata sotto lo sguardo di Rebecca e sua mamma che intanto le parlavano, il dolore che provavo dentro nel vederla così era immenso e Rebecca l’aveva già capito.
Il tempo passò velocemente, ad un certo punto la zia mi disse: “Ma stasera non vai a preparare per il torneo?” Erano già le otto e non me ne ero neanche accorto ma in quel momento, d’impulso risposi:  “No, stasera voglio stare qui con te che sei più importante!” Ma sia la zia che Rebecca che sua mamma mi dissero di andare che sarebbero rimaste loro con lei. Così mi avvicinai verso l’uscita della porta della stanza ma ad un tratto, non so per quale motivo, mi rigirai a salutarla, mi guardava con quei due occhioni azzurri e si leggeva che soffriva interiormente. Quello sguardo non lo dimenticherò mai, anche perché sarebbe stato l’ultimo!
Io non volevo andare via, sentivo che stava per succedere qualcosa, c’era qualcosa che non mi convinceva quella sera, alla fine Rebecca mi disse: “Vai amore ci penso io a lei!” Così andai. La sera Rebecca mi raggiunse in oratorio e mi tranquillizzò dicendomi che quando l’avevano lasciata era più tranquilla. Finito il torneo stetti un po’ con Rebecca, anche lei si accorse che mi stavo chiudendo in un mondo tutto mio e sapeva che mi stavo facendo del male ma non mi abbandonò nemmeno per un secondo. Finita la serata tornai a casa ma niente, avevo sempre quel sesto senso, c’era qualcosa che non andava, lo stesso sesto senso che avevo avuto per lo zio. Me ne andai a letto a dormire ma anche questa volta ad un tratto alle 5 di mattina, come già successo per mio zio, un brivido freddo mi corse per  tutto il corpo e anche questa volta mi svegliai agitato. La mattina ero preoccupatissimo, così alle sette mandai un messaggio a Rebecca con scritto: “Stamattina non mi sento troppo bene, per me c’è qualcosa che non va, ho paura accada qualcosa!” Lei ovviamente era già sveglia perché doveva andare a scuola, così mi rispose di stare tranquillo, andare al lavoro e poi ci saremmo visti per andare da mia zia. Quindi iniziai la mia mattinata di lavoro, ma  ero assente, con la testa continuavo a pensare a lei. Nel pomeriggio dovetti uscire col mio collega a fare una riparazione, gli dissi subito però che se mi arrivava una chiamata io dovevo scappare; dovunque ero e in qualsiasi momento, lui mi disse di non preoccuparmi che capiva.
Andammo a tirare giù una porta ma alle cinque mi suonò il cellulare!  Era Loredana che mi chiamava per dirmi che la zia era stata male di correre in ospedale, il mio sesto senso si stava trasformando in realtà! Lo dissi subito al mio collega gli dissi che dovevo tornare subito in ditta perché dovevo correre in ospedale ma la sua risposta fu: “Non possiamo lasciarli senza porta, dai facciamo veloce e poi andiamo!” Così velocemente gli rimontammo la porta, tornammo in ditta erano già le cinque e mezza, timbrai, corsi fuori, presi la macchina e corsi a prendere Rebecca per precipitarci in ospedale.
Arrivammo alle sei meno venti, mi avevano chiamato alle cinque, una volta salito in reparto fuori ad aspettarmi c’era la Loredana appena mi vide scoppiò il lacrime, Rebecca sbiancò e io capii che la zia mi aveva abbandonato.


67  DOLORE INTERIORE

Non avevo parole, non avevo lacrime, non riuscivo più a connettere, la mia testa iniziò a viaggiare in un buco nero; dentro provavo una rabbia immensa, un dolore incredibile.  La zia era morta alle cinque e venti, mi avevano chiamato alle cinque e io non ero potuto correre in ospedale per una “cavolo” di porta, non riuscivo a mandare giù il fatto che il mio collega non mi avesse ascoltato e riportato subito in ditta. Magari non sarebbe cambiato nulla ma per lo meno io sarei stato lì con lei, non l’avrei abbandonata, non l’avrei fatta morire da sola; o magari vedendomi  avrebbe trovato la forza per reagire. Neanche il tempo per un’ ultimo saluto. Rammarico, amarezza, delusione, tristezza, rabbia, odio, frustrazione, sconforto, abbandono, la voglia di combattere e reagire era finita, non volevo più saperne.

Arrivò il dottore a spiegarmi cos’era successo: “Sua zia era molto anziana, 79 anni, il suo cuore ormai pompava al 30%, ha avuto una crisi respiratoria abbiamo cercato di fare il possibile ma non c’è stato verso. Anche se si fosse ripresa avremmo dovuto subito operarla per cercare di far pompare di più il suo cuore!”
Poi mi accompagnò nella sala dove l’avevano messa, appena entrai vidi un corpo sotto il telo bianco, non potevo credere ai miei occhi: la scoprì, i suoi occhioni blu erano spariti non potevo più vederli, però il suo volto era molto sereno, aveva un leggero sorriso. Finalmente aveva trovato la pace che in tutti questi anni le era mancata dovendo sempre pensare agli altri.

Il dolore dentro di me aumentava sempre di più, scese solo una lacrima, non avevo neanche la forza per piangere, tenni tutto il dolore dentro. Uscii per recarmi nella sua camera a prendere le sue cose per lasciare libera la stanza, in quel momento la sua vicina mi disse una cosa che mi lasciò a bocca aperta. “Tuo zio è morto da poco vero?” Le risposi di sì e le domandai il motivo di quella domanda, lei mi disse: “Stanotte tua zia parlava nel sonno, io mi sono svegliata perché pensavo non stesse bene, ad un certo punto ho visto che era  come se stesse parlando con qualcuno.” Io non credevo a quello che stavo sentendo ma lei continuò dicendomi: “Sentivo che gli diceva: cosa fai qui? Non è ancora il momento, poi devo pensare a Gianluca non posso lasciarlo solo ha bisogno di me!” Non so se me lo disse per cercare di tirarmi su il morale ma secondo lei mia zia parlava proprio con mio zio,  la ringraziai per quelle parole e me ne andai.

Ora bisognava avvisare tutti, non avevo le forze, diedi il telefono a Rebecca e le chiesi di pensarci lei, io mi sedetti per terra vicino una finestra guardando fuori. Io sguardo era perso, Loredana e Rebecca mi guardavano e capirono che stavo crollando.  Arrivati a casa di Rebecca mi misi sul divano e non mi alzai più da lì, continuavo a guardare una foto mia e di mia zia che avevo sul telefono, non parlavo, non piangevo, ero perso in quella foto. Rebecca, sua mamma e suo papà mi guardavano da lontano e parlavano tra di loro, mezz’ora dopo suonò il citofono. Dopo pochi secondi, seduti sul divano con me c’erano  Marco e Sofia, si erano precipitati da me per vedere come stavo, mia sorella col pancione in lacrime e mio fratello che cercava di farmi forza abbracciandomi e stringendomi a lui sentivo che piangeva, io nulla non riuscivo. Ricordo che disse: “Ora ti devi rimboccare le maniche, devi trovare quella forza che hai dentro di te, che hai sempre avuto, lo so che non sarà facile ma gli zii avrebbero voluto questo.” Io dopo tanto silenzio sibilai: “La forza è finita, la mia vita è finita, non ha più senso ora combattere, senza di loro non riuscirò ad andare avanti, la mia forza erano loro!” Mio fratello non accettava quelle risposte: “Tu sei forte lo sai, l’hai sempre dimostrato,  loro non ti vorrebbero vedere così, sanno che ti hanno lasciato in buone mani, sanno che ci sarà qualcuno al tuo fianco che ti farà reagire, non ti hanno lasciato solo, al tuo fianco ci sono Rebecca e la sua famiglia, sapevano che si potevano fidare di loro altrimenti non ti avrebbero mai lasciato. E poi ci siamo noi, la tua famiglia, gli zii saranno sempre al tuo fianco, vivranno sempre nel tuo cuore!” Mio fratello in parte aveva ragione avevo ancora un punto di forza in Rebecca, dovevo farmi forza per lei, come lei in tutto questo tempo l’aveva trovata per aiutarmi e starmi vicino non mi avrebbe abbandonato mai. Ma tra il dire e il fare sappiamo che in mezzo c’è il mare. 
Prima di tornare a casa mio fratello mi disse:  “Ora dobbiamo andare, perché Sofia è incinta e ha bisogno di riposare, e io ho lasciato tutto aperto.”
Li salutai, io volevo tornare a casa, ma i genitori di Chiara mi dissero che io sarei rimasto lì, non mi avrebbero lasciato da solo. Rimasi sul divano fino tardi loro rispettarono il mio silenzio. Rebecca mi chiese se volevo mangiare ma nulla, così lei andò a tavola ma finito venne a sedersi vicino a me; mi abbracciava, mi coccolava, senza dire nulla ma era lì. A mezzanotte mi disse se volevo andare a dormire, io non avevo sonno ma lei mi porto lo stesso: “Hai bisogno di riposare andiamo!” Mi misi nel letto, lei mi tenne la mano tutta notte ma io nulla, rimasi sveglio fino al mattino.  La mia testa viaggiava, mille le domande: “Perché tutto questo dolore? Perché tutta questa sofferenza?  Perché tutte a me? Perché proprio io? Perché loro? PERCHE’!”
Domande a cui non avrei mai avuto risposte! 


68  ORA DEL FUNERALE

L’indomani mi alzai prestissimo, non avevo dormito tutta notte, ora era arrivato il momento dei preparativi. Andai con la mamma di Rebecca alle pompe funebri, scelsi tutto per il funerale,  volevo fosse sepolta con lo zio, loro avrebbero voluto così. C’era solo un piccolo problema, la zia per la legge non era  mia parente perché non era sposata con mio zio ma solo conviventi, e anche se convivevano da anni e per me era come una zia, per la legge non valeva.  Quindi l’unico modo che avevo per farla cremare, era rivolgermi ad una sua cugina per firmare i fogli. La chiamai arrivò immediatamente, nell’ultimo periodo io e lei ci frequentavamo spesso, veniva sempre a trovare la zia in ospedale e mi stava sempre vicino. Una volta fatta la prassi con le pompe funebri  bisognava andare a casa a prendere un vestito, portarlo all’obitorio dove avevano allestito la camera ardente e l’avrebbero preparata.

Fatto tutto, iniziarono ad arrivare tutti:  parenti, amici miei e suoi per darle l’ultimo saluto. Io mi ero messo vicino alla bara e da lì non mi schiodai più mentre Rebecca stava fuori, perché disse che lei voleva ricordarla con il suo sorriso e i suoi splendidi occhi. Arrivò anche mio padre, anche questa volta voleva stare qui con me ma io gli dissi di non preoccuparsi perché ero in buone mani, lui doveva solo pensare a stare bene, ci saremmo visti il giorno del funerale. Quei giorni ci fu un via vai di gente, io sempre dentro senza uscire mai continuavo a guardarla, la mia testa continuava a girare, sempre mille domande senza risposte, continuavo a sbadigliare, ma non per il sonno, non stavo bene e Rebecca ovviamente se ne accorse. Non parlavo con nessuno, non dicevo nulla, tenevo tutto dentro. Così mia zia Paola chiese informazioni a Rebecca; le chiese cos’era successo e come stavo io, lei le rispose: “Sta male non ha dormito tutta notte, non parla, non mangia, non piange, tiene tutto dentro, penso possa esplodere da un momento all’altro!” Lei le disse di starmi molto vicino. Poi si avvicinò a me e mi disse: “Per qualsiasi cosa, io e zio ci siamo, non farti problemi per nulla, e per la questione della casa quando sarai più tranquillo la risolveremo. Faremo di tutto perché rimanga a te, era il volere della zia!” In quel momento la testa non mi permetteva di ascoltare!
I tre giorni passarono così tra casa e obitorio senza dormire nè mangiare. Era arrivato il giorno dell’ultimo saluto, stessa prassi di mio zio, il becchino ci chiamò dentro per l’ultimo saluto e io come successo per mio zio le misi una lettera che avevo scritto la sera prima, e una collana che non toglievo mai me l’aveva regalata sempre Rebecca, uguale per mio zio. Una volta arrivati in chiesa, finita la celebrazione sempre fatta da Don Nicola, era il momento della lettera, sta volta la volle leggere proprio il Don.

“My Life!
Ciao zia, scrivere in questo momento è veramente difficile. Non è come lo zio che eravamo preparati e sapevamo che doveva lasciarci da un momento all’altro. Sta volta è diverso, il dolore che provo dentro e proverò sempre è troppo grosso!
In 5 mesi ho perso uno zio diventato padre e una zia diventata madre, sì proprio così; perché tu per me non eri solo una zia ma eri una mamma  con la M maiuscola. E’ proprio vero il detto che i figli non sono di chi li fa, ma di chi li cresce; di chi ride, soffre, piange insieme a loro. Tu in questi 23 anni, mi hai dato tutto l’affetto e l’amore che una madre darebbe al proprio figlio avresti dato la tua vita per me! Mi hai cullato, cresciuto, coccolato, difeso sempre; sgridato quando era il caso, sei stata il mio rifugio quando stavo male! In tutti questi anni, tu ti sei sempre sacrificata per me e lo zio, pensando   prima a far star bene noi; e poi a te stessa.
Dopo la batosta che abbiamo preso dello zio sei stata male, ma ancora una volta ne eri uscita con forza e a testa alta. Avevamo iniziato a gustarci tutti i giorni uno per uno senza sprecarne nessuno.  Abbiamo riso, pianto, ci siamo sfogati e coccolati, andavamo fuori a cena, a fare le grigliate al Ticino, e da zia Paola. Stavamo organizzando la grande festa per i tuoi 80 anni, ma soprattutto avevamo già prenotato le vacanze per quest’anno a Cervia; per passare una magnifica estate insieme. Io pregavo tutti i giorni il signore per fare in modo che ci regalasse questa ultima vacanza insieme, perché sapevo già che sarebbe stata l’ultima. Ma questo regalo non me l’ha fatto! Questa vacanza senza di te non la farò perché non avrà senso, mi chiedo solo quanto dovrò ancora soffrire prima di trovare un po’ di felicità. Ma la cosa che mi fa stare più male, e che dopo lo zio ho perso la persona più importante che avevo; la mia forza per andare avanti eri tu! Ora sarà quasi impossibile rialzarmi e andare avanti senza di te perché sinceramente non ce la faccio e non ne ho più voglia. E’ arrivato il momento di salutarci, mi auguro che siate fieri di me e che non vi ho deluso; spero di riabbracciarvi e passare altro tempo con voi perché vi voglio un mondo di bene e ve ne vorrò sempre.
Siete stati e sarete sempre la mia famiglia; salutami lo zio,
 un bacio enorme
tuo figlio Gianluca”                



giovedì 2 luglio 2020

CAPITOLO 63, CAPITOLO 64, CAPITOLO 65



63  NON LASCIARMI ANCHE TE

Il girono del funerale era finito tornarono tutti a casa, mio padre non voleva lasciarmi solo, ma bisognava tornare alla vita quotidiana. Io dovevo tornare al lavoro e ora dovevo pensare alla zia. Prima di far rientro a Milano mi disse che per qualsiasi cosa dovevo chiamarlo che lui sarebbe corso subito, io gli dissi di stare tranquillo perché me la sarei cavata e poi c’erano Rebecca e i suoi genitori che non mi lasciarono neanche un secondo da solo. Mi fecero trasferire a casa loro finchè le cose non sarebbero migliorate.
La zia rimaneva grave in rianimazione, tornato al lavoro spiegai la situazione al capo; il mio contratto scadeva a metà febbraio, gli dissi che se per caso mi arrivava una telefonata io dovevo scappare in ospedale, lui mi capì e mi disse di non preoccuparmi.
La mia giornata era cambiata: alla sette e mezza andavo in ditta fino mezzogiorno, poi correvo in ospedale, per andare a trovare la zia (mi mettevo il camice, il copri scarpe e la cuffietta altrimenti non potevo entrare in rianimazione, ed entravo nella sua stanza; lei era sempre in coma farmacologico, stavo lì dalle 12:10 alle 13.10, la guardavo, le tenevo la mano, le parlavo dicendole: “Ti devi fare forza per me, senza di te la casa è vuota, ho bisogno di te per andare avanti!”, tutte queste  cose, cercavo di farla reagire. I medici dicevano che anche se era sedata lei mi sentiva e mi capiva), poi all’una e un quarto tornavo al lavoro fino le cinque e mezza, e alla fine della giornata passavo a prendere Rebecca e andavamo di nuovo a trovare la zia fino alle sette. Rebecca non mi ha mai abbandonato neanche un secondo diventando così la mia vera forza, la mia colonna portante.                                                              
Il fine settimana invece mio padre, i miei fratelli, zio Fausto e zia Paola mi venivano a trovare, venivano a trovare la zia e a sapere come stava, e quando non potevano venire, mi telefonavano. Comunque anche il fine settimana non cambiava, ero sempre lì con lei senza abbandonarla nemmeno un secondo. A metà febbraio il mio capo mi rinnovò il contratto ancora per un anno, quel giorno ero molto contento dovevo subito dirlo alla zia, lei era preoccupata perché pensava che sarei rimasto senza lavoro, e invece la sera le diedi la bella notizia. Anche se non mi guardava, non reagiva, sapevo che mi ascoltava, e poi lassù c’era sempre mio zio che mi stava vicino.
Il tempo passava velocemente arrivando così fino metà marzo, fino ad allora non cambiò nulla, nè miglioramenti nè peggioramenti.

Intanto io decisi ancora una volta di farmi un tatuaggio, volevo avere il ricordo di mio zio stampato sul corpo, ci pensai tanto, pensai al disegno, doveva avere significato. Pensa e ripensa disegno trovato e prenotato, feci un Joker con le sue iniziali. Come mai il Joker? Lui oltre ad avere la passione per la pesca, il biliardo e il lavoro,  giocava spesso a carte con la zia a casa, e ogni volta si arrabbiava quando la zia vinceva usando i Jolly! Quindi era il tatuaggio perfetto!


64  BENTORNATA!

Inaspettatamente arrivò una bellissima notizia, andai come sempre a trovare la zia in ospedale ma quando entrai, lei era sveglia, non era più sedata. Si stava riprendendo, ancora una volta aveva dimostrato la sua forza.
Non dissi nulla a Rebecca, volevo farle una sorpresa, così la sera come sempre andammo a trovarla con noi era venuta anche Loredana, nessuno sapeva che si era ripresa. Entrai l’abbracciai e la baciai tutta, ci parlai e come sempre le dissi che doveva sbrigarsi a tornare  perché avevo bisogno di lei a casa, poi ad un certo punto mi disse:  “Sei qui da solo?” Gli risposi: “No, ci sono anche Rebecca e Loredana!” Ad un certo punto lei mi disse: “Ok allora fai entrare prima la Dragona e poi la Draghetta che le saluto!”In pratica non so per quale motivo, forse per la loro stazza le  aveva soprannominato Loredana “Dragona” e Rebecca “Draghetta”. Le feci entrare, inutile dire la gioia e la felicità che avevano nel vederla sveglia. Uscite loro tornai dentro io, la risalutai baciandola ancora tutta e le dissi che ci saremmo visti il giorno dopo e tornai a casa ad avvisare tutta la famiglia. Il fine settimana successivo, vennero ovviamente tutti a trovarla e la zia sembrava fare passi da gigante, ogni giorno si riprendeva sempre di più tanto che l’ultima settimana di marzo, dopo aver fatto 3 mesi di rianimazione, fu trasferita in reparto e la prima settimana di aprile fu mandata alla clinica Santa Maria a fare la riabilitazione. Una volta finita la riabilitazione poteva tornare a casa!
Il tempo correva velocemente stavamo arrivando a metà aprile, la zia migliorava sempre di più tanto che i dottori avevano deciso di dimetterla, in modo da poterle far fare il 1 maggio a casa. In pratica la zia venne dimessa l’ultima settimana di aprile, non potete capire la mia gioia, ero felicissimo. Una volta tornata a   casa, poteva tornare tutto alla normalità, io tornai a casa mia, a   stare con la zia ogni volta che uscivo dal lavoro e tornavo diretto a casa; ad aspettarmi avevo le due donne più importanti della mia vita, la zia e Rebecca che erano sedute sempre in cucina a parlare e guardare le telenovelas, fino le sette poi portavo Rebecca a casa e ritornavo dalla zia.
Io non volevo che facesse sforzi ma lei ogni volta si metteva ai fornelli così io mi mettevo dopo a pulire tutti i piatti. Poi guardavamo la televisione fino le nove e mezza insieme e dopo, lei andava a letto.  In camera le avevo riportato il letto matrimoniale, in modo che poteva essere più comoda, ma lei voleva continuare a dormire in sala perché era fissata che in camera ci dovevo dormire io che ero diventato l’uomo di casa. Alla fine trovammo un accordo siccome non volevo lasciarla neanche un secondo da sola, dormivamo insieme in camera.

Tutto sembrava procedere a meraviglia, finalmente la zia aveva ripreso la sua vita e stava iniziando a pensare di più a lei visto che negli ultimi anni pensava solo a me e allo zio. Tutti i sabati mattina andavamo giù al bar a fare colazione insieme, andavamo a fare la spesa, e l’accompagnavo dal parrucchiere. Poi lei voleva che pensassi un po’ anche a me così il pomeriggio e la domenica mi diceva di andare dai miei amici o con Rebecca a fare un giro e se aveva bisogno mi avrebbe chiamato.
Nei giorni successivi intanto, venivano sempre a trovarla zia Paola e zio Fausto perché morendo mio zio, e non avendo fatto testamento,  metà parte di casa era dei suoi fratelli; la zia con zia Paola stavano trovando un modo per far sì che la casa rimanesse totalmente a me.
La zia era migliorata alla grande tanto che avevamo progettato con i miei amici di festeggiare il primo maggio al Ticino facendo la grigliata e ovviamente io e Rebecca portammo anche lei, anche perché con i miei amici stavamo organizzando di fare le vacanze tutti insieme a Cervia portando anche la zia. Lei erano anni che ormai non andava più al mare ed mi sembrava giusto regalarle questa nuova avventura, così prenotammo.
Convincerla non fu facile perché lei disse: “Secondo te in una compagnia di ragazzi deve venire una vecchietta? è giusto che ti vai a divertire con i tuoi amici!”  Lei voleva stare a casa ma alla fine la convinsi, se stava a casa lei ci stavo anche io  non l’avrei lasciata sola. Alla fine prenotammo!


65  IL SOGNO DIVENTA INCUBO

Riavere la zia a casa, e riprendere la vita pensando alle vacanze con lei per me era un gran sogno, in vacanza al mare io, i miei amici e la zia: troppo belle per essere vero, in più mia sorella Sofia ci aveva comunicato di aspettare una bambina, eravamo felicissimo soprattutto la zia non stava nella pelle!
 Dopo tante nuvole finalmente arrivava un po’ di sereno.

Un giorno la zia volle andare al cimitero per vedere dove avevo fatto seppellire lo zio, io non volevo perché non volevo tornasse a stare male e poi perché doveva fare un piano di scale a piedi e per lei era faticoso, però lei insistette. Così con Rebecca la portammo, una volta arrivati  mi ricordo che mi disse: “L’hai sistemato proprio bene, bello, sono orgogliosa di te, ma per i soldi?” Io ero felice che le piacesse e le dissi di non preoccuparsi perché avrei fatto tutto io, poi mi disse che nei prossimi giorni voleva  andare alle pompe funebri per fare in modo di mettere il suo primo marito, sua mamma e suo papà tutti nello stesso loculo, voleva sistemare bene anche loro. Io le dissi che poi con calma l’avrei portata.  Non sapevo che era la prima e l’ultima volta che avrebbe visto il cimitero.
La zia era riuscita a prendere l’appuntamento con un avvocato per la questione della casa, così l’accompagnai a parlare. Lui disse che l’unico modo per sistemare tutte le pratiche era liquidare tutti gli eredi con una parte di soldi, solo che la zia era preoccupata perché questi soldi non li avevamo; e poi  non le sembrava giusto pagare delle persone per avere una cosa che era sua. Iniziava ad essere molto preoccupata e agitarsi per questa faccenda, io la tranquillizzai dicendole  che ci avremmo pensato con calma, me ne sarei occupato io. Già che eravamo lì, la zia volle fare il testamento dove diceva che lasciava ogni suo bene a me.
Finito con l’avvocato tornammo a casa, ma la zia era molto stanca per la giornata e preoccupata, si vedeva. Io stetti tutta la sera con lei e cercai di rassicurarla  e tranquillizzarla le dissi che si sarebbe risolto anche questo piano-piano.
Il giorno dopo andai come sempre al lavoro, ma quel giorno mi arrivò una chiamata da  Loredana dicendo che la zia non stava per nulla bene e bisognava portarla con urgenza in ospedale. Le dissi di portarla e che le avrei raggiunte là. Una volta arrivato in ospedale il medico mi disse che la situazione era grave, la zia aveva avuto di nuovo un attacco respiratorio, dovevano tenerla sotto osservazione e bisognava pensare ad una possibile operazione per fare in modo che il suo cuore pompasse al 100% e non al 40% come pompava. L’incubo stava per ricominciare!
Avvisai subito tutti i parenti, zio Frusto il giorno dopo si precipitò in ospedale per saperne di più ma questa volta era grave. Io avevo riperso il sorriso e la gioia ritrovata. Rebecca e i suoi genitori volevano che tornassi a casa con loro ma sta volta rimasi a casa mia, i giorni successivi erano quelli più pesanti. La mia giornata era tornata ad essere: lavoro ospedale, ospedale lavoro, lavoro ospedale, poi andavo a casa di Rebecca a mangiare e stare un po’ con lei e poi tornavo nella mia casa, ma era vuota, silenzio di tomba, non avevo nessuno con cui parlare, con cui sfogarmi, nessuno che mi capisse o mi coccolava, così scoppiavo sempre in lacrime e mi tenevo tutto dentro creando  un mondo tutto mio e una corazza per non far passare nessuno.
I giorni passavano sempre in fretta, i miei fratelli e mio padre mi chiamavano sempre per sapere se c’erano novità, ma novità non arrivavano mai, la zia era sempre più triste perché voleva tornare a casa, io ogni volta che andavo a trovarla le dicevo: “Stai tranquilla passerà anche questa, sei forte se sei uscita dalla rianimazione in quel modo puoi uscire anche da qui!”  Lei fece un piccolo sorriso, poi le chiesi di farmi una promessa: “Promettimi che ti farai  forza e vai avanti per me, tu sei la mia forza, la mia vita,  senza di te non ce la posso fare!” Lei me lo promise, ma le si leggeva nei suoi occhioni azzurri che stava soffrendo tantissimo. Quella sera quando tornai a casa da Rebecca non ce la feci più e scoppiai in lacrime, lei mi disse: “Amore cos’hai?” Io le risposi: “Sta volta non uscirà più dall’ospedale!” Sapevo già che sta volta non ce l’avrebbe fatta!


 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...