lunedì 24 ottobre 2022

 QUATTRO CHIACCHIERE CON... SILVIA CARLINI 

In questo mese  di ottobre missionario  riproponiamo un'intervista di Valentina Bottini a Silvia Carlini che nel settembre 2019 ha  raccontato il  suo viaggio in una missione del Brasile. E' possibile  leggere l'intervista completa qui:  https://www.sguardidiconfine.com/la-missione-di-silvia-in-amazonas-un-cammino-per-affidarsi/

LA MISSIONE DI SILVIA IN AMAZONAS: UN CAMMINO PER AFFIDARSI

-          Cos’è “Giovani e Missioni”?

«“Giovani e Missioni” da più di 25 anni è un cammino del Pime rivolto a giovani da 20 a 30 anni, esso dura due anni e vuole contribuire a una crescita umana, missionaria e cristiana. Tra il primo e il secondo offre la possibilità di fare un'esperienza missionaria estiva  di un mese presso le case del Pi me nel mondo, condividendo con i missionari lo spazio, il tempo, il lavoro e la preghiera.

Ci si ritrova un weekend al mese da ottobre a maggio nelle varie case italiane del Pime: dal pomeriggio del sabato e si torna a casa nel pomeriggio della domenica, durante queste 24 ore ci sono momenti di preghiera, condivisione, testimonianze . Quest'anno eravamo una sessantina di giovani più una decina dell'equipe (tra padri, suore e ragazzi che hanno fatto già il cammino). Più che una preparazione pratica alla missione il percorso di GM dà modo di riflettere sulla propria vita, sulle proprie scelte e offre un modo di affidarsi soprattutto che è previsione della missione, è richiesto infatti di affidarsi anche per quanto riguarda la missione perché tu non decidi né dove andare né con chi andare».

 -          Cosa significa affidarsi?

«Affidarsi significa lasciarsi guidare in tutto da qualcuno. L'affidarsi inizia in Italia quando i Padri del Pime, che ti hanno seguito durante il primo anno di GM e quindi ti conoscono, decidono in quale missione mandarti e con chi, poi ti affidi alla tua compagna di missione, alle suore e ai missionari che ti ospitano. Questo affidarsi prima alle persone piano piano insegna ad affidarsi a Dio; in questo percorso di affidamento le preoccupazioni svaniscono, non si ha più il controllo di molte cose e tutto assume un altro valore».

 -          Perché partire?  Perché andare in missione ?

«Prendendo  in prestito una frase del libro di Padre Fabrizio mi viene da dire "Perché no? Perché non partire?"

Alcuni, al mio ritorno in Italia, mi hanno chiesto perché partire se si può aiutare anche qui. Penso che chi parte con consapevolezza parte perché è già sensibile a queste tematiche, parte perché ci sono altre modalità di vivere la vita perché non ci sono solo la nostra cultura e le nostre folli idee ma c'è molto altro. Questo altro aspetta e vuole farsi conoscere. Tu devi lasciare che questo altro entri dentro di te e ti scombussoli; immergendomi completamente in  una cultura tanto diversa ho potuto rivedere il mio qui e ora ».

 -          Dove sei stata destinata ?

«Mi hanno mandata a Santa Rita do Weil, un paesino raggiungibile solo in barca nello stato Amazonas al confine con Perù e Colombia . Ero ospitata con Ilenia, la mia compagna di missione, nella casa delle suore dell'ordine dell'immacolata (suore del Pime); Odete, Lizzy e Dora ci hanno accolto nella loro quotidianità così da conoscerle e vedere la realtà missionaria lì».

 -          Cosa hai fatto li ? Quali erano i tuoi compiti?

 «Quando siamo partite non sapevamo cosa ci avrebbe atteso visto che siamo state la prima coppia di GM a essere destinata lì. Con questa incertezza e con una disposizione d'animo che voleva più affidarsi che avere tutto sotto controllo (per me cosa molto comune qui, dato che amo programmare dettagliatamente la mia vita) sono partita.

Anche le suore lì non hanno un compito preciso perché sono chiamate a essere presenza cattolica per i credenti di Santa Rita e dei paesini indigeni vicini. Ben presto abbiamo capito sempre più che il “fare” lasciava posto a uno “stare”: nell'incontro con l'altro era racchiusa l'essenza della missione lì.

Alla fine ci siamo ritrovate a fare attività di animazione tutti i pomeriggi coi bambini che sono passati da venti a settanta, prima davanti al piazzale della chiesa poi ci siamo spostati alla periferia del paesino dove ci sono le case più povere. Un signore ci ospitava nel suo campo; io e Ilenia preparavamo i giochi e le attività, suor Dora ci ha dato grande fiducia e libertà nel gestire il tutto. I bimbi erano entusiasti di queste attività e aspettavano con trepidazione il momento giochi perché per loro era qualcosa di inusuale e unico rispetto alla loro solita quotidianità..

Abbiamo poi fatto visita alle comunità indigene vicine, tutte della popolazione Tikuna;  andavamo in barca perché ci si può muovere solo così da un villaggio all'altro. Siamo state nelle due comunità vicino a Santa Rita in cui operano le suore e poi per qualche giorno siamo state ospiti a Belem do Solimois dai frati cappuccini minori, abbiamo vissuto con loro. I missionari che fanno visita alle comunità indigene (visite che a volte sono una in un mese) fanno in modo che loro siano in qualche modo accompagnati da persone consacrate.

E poi anche noi davamo il nostro contributo nel fare quotidiano dal raccogliere l'acqua piovana per lavare i vestiti, al cucinare, al fare i mestieri ed essere così aiuto per le suore; mentre noi pulivano casa loro riuscivano a fare altro. In quella quotidianità ci siamo conosciute e è nata con loro una bella amicizia».

 -          Raccontami  un episodio significativo della tua esperienza

 «Ti racconto della festa a sorpresa che ci ha fatto la comunità prima che andassimo via. Saremmo partite lunedì mattina presto, ad attenderci quattro giorni di viaggio (siamo arrivate in Italia giovedì)… premetto che nessuno mai è riuscito a organizzarmi qualcosa a sorpresa, scopro sempre tutto prima! Dopo una pizza preparata da Dora come merenda un po' speciale dato che il giorno dopo saremmo partite, io e Ilenia siamo andate alla chiesina per la celebrazione. Ho subito notato che la chiesa era un po' più piena rispetto alle altre volte, ma non mi sono fatta domande. Odete, che presiedeva la celebrazione, chiede come mai c'erano così tanti bambini e loro rispondono "per silvia e ilenia", ma anche questa frase non mi ha dato sospetti… pensavo fosse una cosa normale dato che il giorno dopo saremmo partite, che si trattava di una cosa casuale, non programmata, non pensata; invece al termine della Messa Odete ci ha chiamato sull'altare e come comunità ci hanno regalato una maglia con le firme di tutti i bambini, inoltre la cosa che mi ha emozionato è che c'è stata proprio una festa di tutta la comunità per noi (avevano preparato un piccolo rinfresco). Mi sono sentita preziosa e voluta bene: quanto ricevere nel dare! »

 -          Tre parole per descrivere la tua esperienza missionaria

«Presenza, incontro, autenticità»

 -          Cosa hai scoperto in missione?

 «Non posso rispondere completamente perché ora posso avere delle risposte, fra un anno delle altre, fra dieci anni delle altre ancora. L’esperienza in missione ha gettato tanti semi nella mia vita, chissà quali germoglieranno e quali no...»


-          Cosa significa tornare?

«Tornare significa aver messo stop alla vita qui in Italia e aver messo play appena scesi dall'aereo. Significa essere testimonianza di quello che si è vissuto, di quello che si è incontrato. Significa aver imparato che c’è un altro modo di vivere le giornate e di vedere l'umano. Significa essere catapultati nel tuo mondo e non capire dove si è e cosa si sta facendo. Significa cercare il mio posto. Significa che l'esperienza missionaria sembra subito un sogno, una cosa lontanissima quando invece è successa poco tempo fa».

 -          A chi consigli l’esperienza missionaria?

 «Vedi questa esperienza non  è esattamente un viaggio per capire cosa fa un missionario, ma è un’occasione di crescita personale volta a comprendere chi è un missionario e perché ha scelto di esserlo. La consiglio a tutti i giovani che sono in ricerca, a chi vive per inerzia e in determinati schemi senza rendersene conto, a chi non crede più nell'umano».


 E' possibile  leggere l'intervista completa qui:  https://www.sguardidiconfine.com/la-missione-di-silvia-in-amazonas-un-cammino-per-affidarsi/

lunedì 17 ottobre 2022

LE  RIVELAZIONI CHE NON TI ASPETTI

intervista a Gianluca Pepe


-          COS’È IL MATRIMONIO PER TE?

Se ti devo rispondere in modo religioso per me il matrimonio è una promessa solenne davanti a Dio al suo amore e alla sua grandezza, se invece ti dovessi rispondere come risponderebbero molti giovani oggi ti direi che è una forma di burocrazia per fare in modo che la tua futura moglie e i tuoi figli abbiano dei diritti legalizzati.

-           COME HAI VISSUTO I PREPARATIVI DEL TUO MATRIMONIO?
Descrivere il nostro matrimonio in poche righe è davvero complicato perché è stato un vero e proprio tour de force. Nel senso che dopo 4 proposte di matrimonio, 4 anni di fila di fiere matrimoniali (perché Chiara non si sentiva mai pronta, nonostante 15 anni di fidanzamento e 3 di convivenza) alla fine ce l’abbiamo fatta. Nel momento in cui abbiamo iniziato i preparativi e fissata la data del 22 giugno 2019, abbiamo saputo di aspettare una bimba; il problema è che la scadenza del parto era fissata per il 28 giugno 2019 e quindi la consapevolezza di rischiare di non arrivare all’altare ma in sala parto era molto alta. Così abbiamo dovuto cambiare tutto anticipando il matrimonio a un’unica data possibile, giovedì 7 marzo 2019 perché dopo non potevamo sposarci in quanto entravamo in quaresima e poi in Pasqua e quindi non sposavano. Abbiamo dovuto spostare il viaggio di nozze perché in essendo dolce attesa Chiara non poteva prendere l’aereo per il Madagascar, e l’unica meta possibile in quel periodo era la crociera nel Mediterraneo.

-          QUINDI MATRIMONIO E FIGLIO INSIEME? 
L’idea era quella solo che al terzo messe di gravidanza facendo tutte le visite di routine , purtroppo ci diedero una notizia che in quel momento non vorresti mai sentire, praticamente c’erano dei valori sballati e bisognava fare ulteriori esami. Solo che i tempi erano ristretti. Purtroppo il 27 dicembre ci dissero che la nostra bambina (perché era una femmina, Rebecca) aveva una malattia rarissima e al 90% non ce l’avrebbe fatta. Mia moglie si attaccava giustamente al quel 10% io più realista mi chiusi in un mondo tutto mio e non vi facevo entrare nessuno. Quindi in quel momento noi dovevamo organizzare un matrimonio in 3 mesi, e nello stesso tempo decidere il futuro di nostra figlia. Il giorno del mio compleanno, 16 gennaio, ci dissero che era confermata la malattia; e cera solo 1% di possibilità che sarebbe andata bene. Le soluzioni erano 2 o rischiare e andare al termine o interrompere la gravidanza.

-          E ALLA FINE COSA AVETE DECISO? (SE POSSO)
Alla fine abbiamo deciso di non rischiare, noi crediamo molto in Dio e abbiamo pregato tanto in quel periodo però crediamo molto anche nel destino, e abbiamo detto che se doveva andare così ci sarà stato un motivo! Così abbiamo deciso di interrompere la gravidanza, il 14 febbraio, al quinto mese, abbiamo perso la nostra bambina e Chiara, visto i tempi bruciatissimi, ha dovuto anche partorirla.

-          DOVE AVETE TROVATO LA FORZA PER CONTINUARE E NON MANDARE TUTTO ALL’ARIA?
Sarò sdolcinato ma l’abbiamo trovata nel nostro amore perché quel fatto ci aveva unito ancora di più, è vero è stato difficilissimo preparare il matrimonio con il pensiero di aver perso una bambina che volevamo tantissimo, infatti non volevamo o meglio io non volevo sentire nulla, ad ogni accenno di quello, scattavo e mi chiudevo sempre di più a riccio, forse solo oggi che ne sto parlando ho accettato l’accaduto. E poi c’era il nostro matrimonio sognato da anni, ormai mancava poco a realizzarsi non potevamo mollare proprio in quel momento.

-          QUESTO FATTO HA CONDIZIONATO?
Sì, diciamo che ha condizionato tutto, la data, il viaggio di nozze, la lista degli invitati da tagliare per risparmiare più soldi possibili per la bimba, erano cambiati tutti i piani, e rimetterli come l’inizio non c’era né la voglia né il tempo.

-          IL TUO ADDIO AL CELIBATO?
Possiamo non parlarne? Ahaha scherzo, diciamo che sono uno molto tranquillo e quindi non mi aspettavo le donne nude, infatti per paura di ciò feci l’errore più grosso che ancora oggi me ne pento, cioè non diedi al mio testimone i numeri di telefono dei miei cognati e di mio fratello in modo che non fossero invitati, per paura che mi portassero in un night club o facessero venire delle spogliarelliste. Diciamo che in quel momento mi avrebbe fatto molto piacere vedere uno spettacolo di Andrea Pucci (che è il mio comico preferito), farmi una gran bella risata e scacciare i brutti pensieri. Purtroppo mi sono ritrovato io con il mio testimone e 4 amici di numero a mangiare una pizza e bere per non pensare. Mi sarei aspettato qualcosa in più dal mio testimone.


-
          CAMBIERESTI QUALCOSA DI QUEL GIORNO?
Ahahah tutto.

-          COME TUTTO?
Sicuramente la data perchè essendo un giorno lavorativo ho dovuto rinunciare alla presenza di una delle mie sorelle. Ricordo ancora fu la prima telefonata che ricevetti alle 7:00 della mattina, era lei in lacrime che piangeva perchè non poteva essere lì al mio fianco, in quel momento ho capito quanto mi voleva bene anche se è l’unica della famiglia che non lo motra; ma soprattutto ho capito quanto io ne voglio io a lei. Poi sicuramente cambierei sia chi mi ha accompagnato all’altare sia il mio testimone. Il motivo è semplice, io penso che il matrimonio sia uno dei giorni più belli della tua vita, e durante i preparativi con la scelta del vestito, la prova, i consigli, ma soprattutto il giorno delle foto col fotografo, (anche se mi ero raccomandato), loro non c’erano. Se andiamo a guardare l’album di nozze vedrete che mia moglie ha 6 pagine di foto con la sua famiglia in casa, io ne ho solo una e sono in casa da solo sia nella vestizione che nel resto. Il testimone e l’accompagnatrice del matrimonio per me sono figure molto importanti come la Madrina e il Padrino per un bambino nel giorno della comunione o della cresima, ti devono accompagnare sempre e rimanere al tuo fianco per il resto della vita, cosa che purtroppo non è accaduta. E poi cambierei un pò tutto il mese, il viaggio di nozze, gli invitati.

-          AL LORO POSTO CHI METTERESTI?
Al loro posto metterei l’altra mia sorella come accompagnatrice all’altare perché per mè c’è sempre, ci 
sentiamo tutti i giorni e le voglio un bene immenso e come testimone mio fratello perché anche se non glielo dico mai o qualche volta litighiamo lui è il mio punto di forza, gli voglio un bene inestimabile.

-          IL TUO RIMPIANTO PIÙ GRANDE
Di rimpianti ne ho un po’, ma forse quello più grande in assoluto, è essere stato l’unico figlio a sposarsi senza le figure importanti che mi hanno fatto crescere: mio padre è i miei zii, quel giorno quando aspettavo mia moglie e guardavo gli invitati continuavo a guardare la prima fila e mancavano loro, bhe è un dolore che solo chi prova può sapere, infatti prima che entrasse mia moglie guardai il cielo e mandai un bacio sapevo che anche se non erano lì fisicamente lo erano spiritualmente.

-          COSA CONSIGLIERESTI A CHI DECIDE DI SPOSARSI?
Il consiglio più grande e prezioso che posso dare forse è di vivere il matrimonio, i preparativi e tutto quello che ci gira attorno non solo come festa di quel giorno, ma di viverselo a pieno scegliere con attenzione ogni piccolo particolare, dalle bomboniere, ai testimoni, agli invitati. Guardare con scrupolo e attenzione chi ci sarà anche dopo che finirà quel giorno, chi non ti abbandonerà e cercherà sempre di non deluderti, di non deludere la tua fiducia o amicizia. Chi ti rimarrà accanto nel percorso della vita qualsiasi cosa accada.

-          VOI AVETE TROVATO PERSONE COSì?
Se togliamo i famigliari che amiamo più della nostra vita, mio suocero e mia suocera persone che non cambierei mai al mondo con nessuno, la mia testimone che considero come la sorella più piccola che non ho mai avuto e la testimone di mia moglie che per noi c’è sempre e non ci abbandona mai, io beh gli altri si possono contare sulle dita di una mano.

Come diceva una famosa canzone di Max Pezzali: “Io non ti prometto qualcosa che non ho quello che non sono non posso esserlo...Se tu ci sarai io ci sarò!”


 

lunedì 10 ottobre 2022

QUATTRO CHIACCHIERE CON... ELISA BRICCOLA (Ass. Ali d'Aquila) 

-intervista di Valentina Bottini-

1.      Parlami di Ali d’Aquila a 360°

«Ali d’Aquila è un’associazione di volontariato che esiste dal 2009. In quell’anno alcuni giovani dell’oratorio San Filippo Neri di Busto Arsizio hanno avuto la possibilità di vivere un’esperienza di volontariato a Milano che li ha cambiati; una volta tornati a casa sentivano il desiderio di fare qualcosa per la propria città… si sono resi conto che mancava un servizio docce per i senzatetto della loro città e così è cominciata l’avventura.

Ad oggi continuiamo ad offrire ai senzatetto la possibilità di fare la doccia e ricevere un cambio d’abito. Sono gli strumenti che ci permettono di entrare in relazione con moltissime persone, conoscere più storie e più culture e ridare dignità a chi spesso non viene visto».

2.      Come è cambiato il servizio dopo la pandemia? Quali difficoltà incontrate?

«Purtroppo dopo la pandemia abbiamo dovuto interrompere la distribuzione del pasto caldo (ma speriamo di riprenderla al più presto).

Durante il Covid-19 abbiamo sentito proprio la mancanza della relazione: ci sono tante persone che vengono da noi principalmente perché si è instaurato un rapporto e durante i lockdown abbiamo vissuto tutti un grande senso di solitudine, la differenza è che io ero a casa con la mia famiglia, molto di loro erano soli».

3.      Di cosa necessita maggiormente chi si rivolge a voi?

«Da una parte c’è sicuramente necessità di ricevere un cambio d’abito o di fare una doccia ma c’è anche tanta necessità di intessere relazioni autentiche, prive di giudizio, di incontrare qualcuno che li riconosce come persone. Sembra scontato ma la prima cosa che chiediamo è il nome, chiamare per nome identifica, rende unici e permette di esistere».

4.      Quali sono le difficoltà maggiori nel relazionarvi con i senzatetto e viceversa?

«La difficoltà maggiore credo sia la lingua, quando non si conosce l’italiano o l’inglese la comunicazione diventa complicata ma altri senzatetto ci aiutano e diventano traduttori per noi. Un’altra cosa che risulta difficile è il non riuscire a soddisfare i bisogni di tutti; a volte, per esempio, non abbiamo abbastanza scarpe: il momento dello “scusa, sono finite” è sempre molto delicato, trattandosi di una necessità (e sofferenza) per loro molto concreta… per noi inesistente».

5.      Cosa impari da loro?

«L’umiltà di chiedere aiuto. La nostra società è prestazionale, dobbiamo essere tutti perfetti, invincibili, la verità è che ci vuole molto più coraggio ad ammettere che non lo siamo e che a volte possiamo affidarci agli altri».

6.     
Chi sono i volontari?

«Al momento siamo una quindicina di volontari, di età e provenienze diverse. Alcuni ci sono dall’inizio, altri ci hanno conosciuto e hanno deciso di spendersi per gli altri. Chiunque può diventare volontario, è richiesta solo la voglia di mettersi in gioco».

7.      Come siete organizzati?

«Siamo super organizzati: prima del lockdown avevamo una squadra sù in cucina che si occupava di preparare e distribuire un pasto caldo e una squadra che invece si occupa della distribuzione dei vestiti e delle docce. Ogni persona si occupa della distribuzione di un tipo di indumento, chi l’intimo, chi i pantaloni, chi le magliette, questo rende il servizio più agile e permette ad ogni volontario di entrare in relazione diretta con i nostri ospiti».

8.      Ci sono legami di  amicizia tra senzatetto?

«Amicizia è un termine molto importante però alcuni ospiti li conosciamo da quando abbiamo aperto, con il tempo ci siamo scambiati parte delle nostre storie di vita quindi sicuramente dei legami forti ci sono. Lo dimostra anche che, a volte, quando qualcuno riesce a rimettersi in pista torna a trovarci per portare dei vestiti da donare per fare la sua parte. Oppure altri durante la festa dell’oratorio ci aiutano a pulire i tavoli, ad apparecchiare, ci tengono a dare il loro contributo».

9.     Raccontami qualche episodio particolare/curioso/divertente/strano/significativo… che ricordi con piacere

«Uno dei miei momenti preferiti è la cena della vigilia di Natale, l’aria che si respira è meravigliosa. Ricordo sempre con piacere le chiacchierate con S., appassionato di psicologia, ci confrontavamo sui vari approcci e gli autori. L’episodio che, però, vivo con più malinconia riguarda L., un senzatetto che ora non c’è più ma che tutti ricordiamo con affetto: era il periodo della festa dell’oratorio e io facevo parte della band, il sabato prima del concerto durante il servizio raccontavo di quanto fossi agitata. La sera del concerto L., insieme a un’altra nostra vecchia conoscenza R., sono venuti a fare il tifo per me, da quella sera per lui sono sempre stata la “spaccapiatti” (suonavo la batteria)». 

10.  Cosa ti spinge a proseguire l’impegno in Ali d’Aquila?

«La profonda convinzione che ogni persona meriti rispetto e riconoscimento. Io non vivo la loro situazione sono, in un certo senso, privilegiata e sento che sia molto importante mettere a disposizione degli altri il privilegio che ho perché siamo tutti uguali».

11. Come  possono essere utili i cittadini di Busto?

«Il modo migliore per aiutarci è diventare volontario oppure donandoci vestiti di seconda mano
in buone condizioni. Altrimenti basta anche solo parlare di noi, farci conoscere. Busto è piena di realtà che fanno cose meravigliose, ce n’è davvero per tutti i gusti. L’invito che faccio a tutti quelli che stanno leggendo le mie parole è di trovare una realtà che li convince e provare a buttarsi, vi assicuro che ogni volta che si dona l’amore si moltiplica e ne torna indietro almeno il doppio»

12.  Contatti 

«Ci trovate sia su Facebook (As Ali d’Aquila) sia su Instagram (associazione_ali_d_aquila). La nostra mail è: alidaquila@hotmail.it »

 

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...