-intervista di Valentina Bottini-
. 1. Presentati a 360°
«Sono un
dirigente in pensione ma nella vita sono stato tante cose: un BAMBINO, uno
SCOLARO, un ASPIRANTE MISSIONARIO, uno STUDENTE, un MILITARE, un IMPIEGATO, un
PROGRAMMATORE ELETTRONICO, un IMPRENDITORE, un CONSULENTE ESTERNO, un CONSULENTE
SENIOR, un METOODOLOGO, un PRODUCT MANAGER, un DOCENTE e un DIRIGENTE… ma
andiamo con ordine.
Dopo un intenso ma complicato percorso di studi (esco
dal collegio quando frequentavo il V anno di Ginnasio e gli esami erano solo
interni quindi con la licenza di quinta elementare; una corsa al recupero con esami
di licenza media, iscritto per un anno e poi sospeso, a ragioneria, ripreso poi lo studio
serale a Milano dove mi sono trasferito a 16 anni e conseguo la maturità per
iscrivermi alla facoltà di matematica
prima e di informatica dopo ma
senza conseguire una laurea) a Cinisello
Balsamo, dove abitavo presso zio Nicola, cominciò la mia vita lavorativa come operaio
in una cereria. Dopo mi spostai a
Milano da zio Agostino dove all’inizio feci il saldatore e poi trovai lavoro
come garzone di negozio in Via Settembrini e successivamente alla Standa.
Alla sera seguivo un corso per il diploma di contabile in una scuola di Cinisello e quando feci il militare (a Palermo, Caserma Scianna) questo corso di Contabile mi è tornato “utile” quando in un’adunata il Capitano chiese: “Se fra di voi c’è qualcuno che sa usare la macchina da scrivere alzi la mano”. Io alzai la mano e mi “imboscai” in fureria. Non avevo i requisiti ma stando in fureria riuscii ad intrufolarmi in un corso per telescriventisti alla scuola interforze di Chiavari-Lavagna sul fiume Entella e poi per otto mesi presso il V comiliter di Padova all’Ufficio Tributario come telescriventista. Al termine feci ritorno a Cinisello Balsamo e, dopo un breve periodo di permanenza ancora alla Standa che mi permise di seguire i primi corsi di meccanografia, cominciò la mia vita di impiegato.
Un giorno il mio maestro di corso mi disse che alla Stipel (poi SIP, oggi Telecom) a Milano, cercavano un operatore meccanografico a tempo determinato.Finiti i
sei mesi alla Stipel cominciai a lavorare alla Motta come operatore elettronico
su calcolatori Elea 9003. Un bel giorno mi chiamò il mio professore di meccanografia e mi disse
che il datore di lavoro della General
Electric apriva un corso di programmazione per 20 partecipanti per l’assunzione
di 10 persone; mi propose di parteciparvi perché anche se non avevo i requisiti, avendo solo un diploma di
terza media, avevo i talenti necessari per farcela. Quindi mi licenziai dalla
Motta per partecipare al corso e fui il primo classificato! Ma dall’America tornò
il capo del personale e bloccò le assunzioni! Però ben presto mi trovarono un’altra
sistemazione come programmatore
elettronico, analista, sistemista, responsabile EDP alla SACI Chimica Industriale e SIO (Società
Italiana Ossigeno a Milano).
Grazie di
nuovo ad una “soffiata” del mio professore
di meccanografia andai a lavorare alla Sordelli di Venegono Inferiore come programmatore e analista. In questi anni comprai la mia prima macchina, una Fiat 1500 di seconda mano con alimentazione
a gas e benzina, andai ad abitare prima a Venegono Superiore dalla zia Bruna, l’ex
giornalaia del paese che ha una bella villa in centro, poi a Vedano Olona, ancora
a Venegono Superiore e infine tornai ad abitare a Cinisello Balsamo.
Una nuova telefonata del mio professore di
meccanografia che mi propose di diventare un socio-tecnico in un Centro Servizi
a Milano per la gestione di sistemi EDP generalizzati: i sistemi contabili, la gestione
del magazzino, il sistema paghe, stipendi e contributi, la gestione condomini e
affitti; la bollettazione del gas per il Comune di Parabiago. Nel 1973
assunsi come programmatrice una ragazza di Busto Arsizio, appena diplomata in ragioneria
ed aveva frequentato un corso COBOL… me ne innamorai e ci sposammo nel 1979. Mi
trasferii ad abitare a Busto Arsizio e diventiamo entrambi pendolari delle
Ferrovie Nord. Nel 1982 nacque Francesca, ci daranno una mano a crescerla la
zia Mariuccia e lo zio Alfonso, e nel 1987 nasce Carlo, ci daranno una mano a
crescerlo la nonna Clementina e il nonno Eugenio; alla morte di quest’ultimo mia
moglie abbandonò il lavoro a Milano trovando un impiego alla Crespi di Legnano
per l’amministrazione del personale.
Da quegli anni in poi io ho continuato a sperimentarmi in sempre nuove e allettanti esperienze lavorative come consulente esterno per la realizzazione della gestione del magazzino e del façonnage per la Marlboro Leisure Wear; consulente senior per FINSIEL (realizzazione sistema stipendi e contributi per impiegati e dirigenti, realizzazione di sistemi informatici in grandi aziende…); metodologo nel Consorzio Bin-Siel; product manager per la realizzazione e la diffusione di prodotti assicurativi; docente (per l’addestramento di sistemi operativi, di linguaggi di programmazione, metodi della programmazione e dell’analisi strutturata); dirigente responsabile di un laboratorio di Ricerca e Sviluppo SW per MET Sistemi Finanziari (per la realizzazione di Progetti per il Gruppo Zurigo Assicurazioni e per Padana Assicurazioni, EURECA (EURopean Environment for Computers Application) un prototipo realizzato da me da cui derivano i principi del sito Webcultura) ».
2. Da dove nasce il tuo sito Webcultura e quali argomenti si prefiggeva di trattare?
«Webcultura
nasce con l’Associazione 55 Onlus, fondata da me stesso e da altri sei soci nel
luglio 2003. Volevamo creare un sito internet per l’Associazione 55 Onlus,
sfruttando le potenzialità grafiche di EURECA il cui menù generale è un modello
iperspaziale multidimensionale (un vortice con al centro la scritta Webcultura e
4 punti VERO, BELLO, SAPIENZA (la sintesi per la Cultura di Raffaello nella
Stanza della Segnatura dei Musei Vaticani), TEMPO da cui si dipartono 4 linee
(i sentieri) che vanno a formare il vortice e lungo i quali si dispiegano 8
dimensioni (due per ogni sentiero) con la possibilità di aprire altre finite
dimensioni all’interno dei 4 quadranti. È il modello del sistema totale
(EURECA) per l’attivazione di sistemi e sottosistemi Informatici (industriali,
bancari, assicurativi o di enti locali) frutto dei relativi sistemi e sottosistemi
generalizzati usufruibili in rete. Dal mio punto di vista: recuperare la summa
di esperienze informatiche e non recidere il cordone ombelicale con le
tecnologie.
È un
modello della cultura che tratta argomenti del TRASCENDENTE (nel Vero),
dell’ARTE e dei MESTIERI (nel Bello con pagine dedicate alle 9 muse), delle SCIENZE
(nella Sapienza) coniugate con argomenti dell’IMMANENTE (sui sentieri del
Tempo). Il modello può essere replicato all’interno per i singoli argomenti. In
pratica un universo informatico estensibile quanto si vuole».
«Nella pagina iniziale ci sono i link a pagine che spiegano i FINI (che cosa si vuole rendere possibile, i sogni che si intendono realizzare), gli SCOPI (perché vogliamo realizzare i fini dichiarati), gli OBIETTIVI (le cose concrete da fare) e i MEZZI (quali mezzi utilizzare per realizzare i nostri fini e perseguire i nostri scopi). Si è sempre cercato di raggiungere il maggior numero di persone possibili interessate alla cultura e non solo».
«Webcultura
nel tempo è diventato un oggetto con un solo gestore, il sottoscritto, e questo
ne impoverisce la portata.
È stato arricchito con pagine di un certo interesse come: la pagina SPIEGAZIONI per le chiavi di lettura del sito, la pagina OSPITI (un surrogato dei gestori a mia cura), una pagina raccoglie le Catechesi di Mons. Livetti, una pagina raccoglie i post, le poesie, gli articoli sull’Informazione di G. Marcora, una pagina raccoglie i link ai reportage di viaggi fatti con “Noi del Tosi”, una pagina raccoglie i link ai reportage di viaggi fatti con l’Associazione “Ul cuarantacenchi”, una pagina raccoglie i link a 7 corsi di cucina tenuti con M. Mauri con un ricettario e 182 ricette, una pagina è dedicata alla cucina Bustocca, una pagina dedicata a BAFF, ci sono pagine a cura di personaggi defunti o altre ancora dedicate ad associazioni chiuse… pagine evaporate nel tempo! »
5. Di cosa hanno bisogno i tuoi concittadini in questo periodo storico?
«Busto
Arsizio, checché ne dicano i detrattori, è una città meravigliosa per i suoi
abitanti: generalmente grandi lavoratori e tutt’altro che col braccino corto
come alcuni dicono. Conoscendo le varie associazioni benefiche (e a Busto ce ne
sono tante) ti rendi conto della loro generosità (spesso si confonde la
“parsimonia” con la “tirchieria”). Per tentare una risposta alla tua domanda ti
racconterò un aneddoto (un nanetto come diceva Frassica!): da un po’ di tempo
ospito su Webcultura una pagina che gestisco io dedicata a Gianluigi Marcora e alla
raccolta dei suoi post in una tabella Excel pubblicata nella mia nuvola “One
Drive”; ho partecipato recentemente alla presentazione del suo libro “Ul
Giusepèn” che ho letto e su sua richiesta ho fatto un intervento, anzi ho
suggerito una soluzione a un problema riscontrato nel suo libro: “I bustocchi a
Busto Arsizio sono diventati una minoranza (su più di 80.000 abitanti poco più
di 3.000 possono vantare il privilegio di chiamarsi bustocchi). Minoranza che
si assottiglia sempre di più col rischio di estinzione, come molte specie rare.
Cosa fare? Rifacendomi alla storia dei Romani che dicevano al barbaro appena
conquistato: “Tu es civis romanus” (Tu sei un cittadino Romano) creando così il
più grande Impero della storia. Perché per invertire la tendenza non imitate i
romani e dire a tutti i “pervenuti”: “Tu sei un cittadino bustocco”? Poi ho
chiuso il mio intervento ricordato la visita di J.F. Kennedy a Berlino del 1962
con la famosa frase “Ich bin ein Berliner” (Io sono un berlinese) dicendo ai
presenti: “Io Antonio Paparo, terone di Crotone, vi dico Io sono un bustocco”.
Ma la cosa non è stata apprezzata. Ecco di cosa penso abbiano bisogno i miei
concittadini: “Abbandonare la logica dell’alternativa esclusiva e abbracciare
la logica dell’alternativa inclusiva” al fine di adire a un nuovo umanesimo
meno divisivo. E… non perché mi sento discriminato, ho sposato una Bustocca
(una Chierichetti) e i miei due figli sono Calabro-Bustocchi, mio figlio Carlo,
cresciuto dai nonni, parla il Bustocco, che non parla sua mamma perché
bisognava “non parlare in dialetto ma in italiano”. I non-bustocchi si sentono
spesso esclusi, un po’ emarginati, ed assumono a loro volta un atteggiamento
mentale negativo verso questa meravigliosa popolazione».
«Ho
trovato recentemente in un cassetto una maglietta degli amici dell’Asilo
Sant’Anna con su una
scritta anzi un codice fiscale l’ho indossata e mio figlio
mi ha chiesto: “Cosa vuol dire DFCTFRV?” Ma dai non ricordi quando facevamo le
recite all’asilo? “Deficienti for Ever” … era il nostro motto... Eravamo “GIOVINI
e goliardici” Io ne ho fatto pienamente parte al tempo dell’asilo del mio
secondo figlio, mentre nel periodo di Francesca ero più assente. Quando
facevamo le nostre recite mia figlia mi rinfacciava sempre: “Ecco per lui tu
hai fatto di tutto all’asilo… per me mai niente!”
All’asilo ho recitato
nei panni della “Monica di Monza”, della regina in “Biancaneve e i sette nonni”
e ancora nel ruolo di regina in “I tre moschettieri e le 4 tartaruga ninja”… mio
figlio Carlo una volta mi ha detto: “ Ma te … ti vestono sempre da donna?”
È stato
un momento magico caratterizzato da vera e sana amicizia anche se la mia
presenza a Busto e quindi la loro frequentazione era molto sporadica (lavoravo
a Milano e spesso ero in giro per lavoro).
Ti devo
confessare che è un po' di tempo che non li frequento, i miei, con alcuni di
loro, sono solo incontri casuali per le vie cittadine.
Loro
sono stati per me il Battesimo nel mondo Bustocco».
«Questa
è una domanda a cui non so risponderti, da molto tempo mi sono rintanato nel
mio guscio e non frequento quasi nessuno, se non, mio cognato e la sua famiglia
ma anche loro sempre più di rado. Non vorrei però sia un effetto collaterale
del COVID 19 che ci ha segregati in casa con divieti di riunioni e
assembramenti.
Fino al
manifestarsi del virus almeno tenevo qualche lezione per l’apprendimento
dell’uso del PC a persone cui la tecnologia era passata letteralmente “sopra la
testa” (alcuni preti, qualche missionario del PIME, alcune suore e qualche
conoscente). Poi con alcuni sono passato all’assistenza remota prendendo il
controllo del loro PC da casa con Team Viewer. Per altri sono ancora in attesa
che cessino le restrizioni COVID per riprendere le lezioni. Ma non so se
definirla Amicizia con la A maiuscola, sono più che altro rapporti in cui si
instaura la condivisione docente-discente che non sfocia mai in un vero
rapporto d’AMICIZIA».
8. C’è un episodio simpatico/divertente/curioso/significativo della tua vita che vuoi raccontarmi?
«Ce ne sarebbero tantissimi te ne cito solo uno veloce. Nella mia vita sono stato chiamato “dottore”, “ingegnere”, “avvocato”, “professore”… sebbene non mi “pertoccasse” nessuno di questi titoli. Ho solo una maturità conseguita facendo le scuole serali e non ti dico in che cosa sennò ti scompisci dalle risate! Anzi te lo dico: “Maturità odontotecnica” conseguita a Vercelli da privatista presentato dal chiacchierato Istituto Casati di Milano. Mi serviva per potermi iscrivere all’Università. Ma il titolo che più mi sorprendeva era quello che mi dava Suor Rosa, quando le obnubilavo il cervello con le mie lezioni sul PC, si rivolgeva a me chiamandomi “REVERENDO” ».
9. La frase che ti dicono più spesso?
«Ma tu scusami: “Quanti anni hai?” »
10. Se fossi un personaggio storico chi saresti? Perché?
«Napoleone … perché a letto mi basta poco spazio come a lui».
11. Tre aggettivi con cui gli altri ti definiscono?
«Te ne posso dare anche cinque: “piscinin, brùt, cativ, terun e cunt la panscia”. Ma dai!!! »
12. Tre aggettivi con cui tu ti autodefinisci? Perché?
«Bello, alto, biondo con gli occhi azzurri! Perché è quello che avrei voluto essere! »
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