lunedì 30 marzo 2020

CAPITOLO 15, CAPITOLO 16, CAPITOLO 17



15  LA PROMESSA A LUDOVICA  

Quest’anno le vacanze sembravano non voler finire mai, ma soprattutto sembravano riservarmi tante sfide, tante lezioni di vita.
Un giorno come tanti altri io, Mario, Samanta, Carmelo, Gaetano eravamo insieme. Gaetano era uno dei nostri migliori amici, che tutti vedevano  come un fratello più grande (purtroppo a soli 18 anni si ammalò di leucemia per morire l’anno dopo lasciandoci  nel cuore un vuoto incolmabile). Mentre eravamo giù in Trekka squillò il mio telefono, era un’amica di Ludovica che voleva parlare con me ma siccome io non ne avevo voglia le passai Gaetano. Dopo quella telefonata ne seguirono altre, praticamente questa amica non si sa bene come, ci aveva invitato a passare una giornata in montagna da un’altra sua amica, Eleonora. Così facendo, per tre giorni noi continuavamo a ricevere telefonate da questa ragazza, per programmare questa piccola vacanza. Ovviamente tra Gaetano, Mario e Carmelo partivano scommesse per chi avrebbe baciato questa Eleonora e le sue amiche per primo. Una volta programmata questa vacanza, io, Carmelo,  Mario e Gaetano eravamo pronti per prendere il treno e partire. Arrivati in questo paesino, mi ricordo che sbagliammo anche la fermata del pullman e  scendemmo circa mezz’ora prima. Così camminammo per raggiungere il centro della città, ci mettemmo anche a fare l’autostop.
Una volta arrivati, ricordo che faceva un caldo allucinante, eravamo stanchi dal tanto camminare e quindi ci mettemmo chi sulla panchina, chi per terra a riposare, aspettando Eleonora con le sue tre amiche. Una di queste era Ludovica ma io ero all’oscuro di ciò!
Mentre le aspettavamo facevamo battute sulle ragazze e altre scommesse: “Chi se le fa prima offre la cena agli altri!” E io ridendo dicevo: “Pensate se  sono cozze[1]!”
Mentre eravamo sulle panchine, ci addormentammo e ad un certo punto arrivarono le ragazze, io non volevo credere ai miei occhi perché tra loro c’era anche Ludovica. Il cuore tornò a battermi all’impazzata, emozioni che avevo chiuso dentro e pensavo fossero finite. Raggiungemmo le ragazze, c’era anche questa Eleonora che parlando fino a quel giorno al telefono con Gaetano, aveva preso una cotta telefonica per lui. Io scoppiai a ridere ripensando alla scommessa che avevano fatto i ragazzi,  vedendo che le ragazze (tranne Ludovica) erano  cozze allucinanti!
Passammo tutta la giornata con loro, a parlare ma ovviamente nessuno provava a vincere la scommessa, ad un certo punto Mario prese coraggio, andò via con una delle ragazze. Rimanemmo io, Ludovica, Carmelo, Gaetano, Eleonora ed un’altra ragazza; io presi la scusa buona per parlare con Ludovica, lei era venuta perché sapeva  che c’ero anche io, e voleva un confronto visto che provava ancora qualcosa di forte per me. Così ci allontanammo e lasciammo gli altri da soli.
Davanti a Ludovica io mi stavo per sciogliere, avevo abbandonato la maschera del ragazzo di strada per tornare ad essere il ragazzo di chiesa che aveva conosciuto lei. Parlammo tutto il giorno, le chiesi scusa in tutti i modi per il mio comportamento, lei non voleva perdonarmi anche se in realtà voleva tornare con me, le si leggeva in faccia e io volevo tornare ovviamente con lei.
Giunse l’ora di tornare tutti insieme quindi ci riunimmo di nuovo, tornarono anche Mauro con l’altra ragazza. Ad un certo punto, Mauro vedendo che io tenevo ancora molto a Ludovica, prese le mie difese prendendosi tutta la colpa per ciò che era successo, in modo da farmi tornare con lei. Ludovica però disse che ne avremmo parlato una volta che sarei tornato a casa. Nel frattempo Eleonora, non sapendo cosa le avevano messo in testa gli altri ragazzi, voleva fare un giro solo con me per  farmi vedere casa sua, farmi conoscere il suo paese, lei disse che gli piacevo tanto! Gli altri scoppiarono a ridere!  Perché tutte io?   Io rifiutai inventandomi tante scuse, ma lei disse che mi avrebbe anche pagato se fossi andato con lei. Meno male che la giornata era quasi finita infatti era ora di tornare a casa: salvo per un pelo! Le promisi che sarebbe stato per la prossima volta, lei ad un certo punto ci disse: “Ok perfetto allora la prossima volta verrò io a trovarvi!” Noi non prendemmo sul serio quelle parole e ripartimmo, io e Ludovica eravamo rimasti  che ne avremmo riparlato a casa!


16  FUGA E CARABINIERI

Finita l’esperienza della montagna, tornati a casa raccontammo tutto agli altri ragazzi e ragazze della compagnia, c’era anche Samanta ma io e Mauro tenemmo il segreto di Ludovica.
Passarono due giorni, qualcuno doveva pagare la scommessa vinta, infatti Mauro ammettendo che aveva baciato una delle ragazze, doveva pagarci la cena. Quella sera io, Mauro, Carmelo e Gaetano andammo a mangiare al Mc Donald’s, e poi l’appuntamento era come sempre giù in Trekka col resto del gruppo.

Ad un certo punto, finito di mangiare pronti per tornare nel quartiere suonò il telefono di Gaetano, era Eleonora, aveva mantenuto la promessa, si era messa sul primo treno ed era giunta a Milano da noi. Noi ovviamente pensavamo stesse scherzando, ma poi ci disse che era arrivata in Trekka. Gaetano chiese a Eleonora se ne aveva parlato con i genitori, visto che erano già le nove e mezza di sera e lei rispose: “Si, ma visto che loro stamattina non volevano che venissi, sono scappata di casa!” Gaetano attaccò subito il telefono  e ci disse cos’era successo,  ad un certo punto il telefono di Gaetano suonò di nuovo, erano  i genitori di Eleonora preoccupati che la cercavano, lei aveva lasciato il numero di Gaetano sul tavolo di casa. I genitori, spiegarono a Gaetano che Eleonora era in cura dagli psicologi e quindi, erano preoccupati. A sentire ciò, Gaetano spiegò tutto ai suoi genitori, e subito noi ci precipitammo in Trekka perché ci avevano chiesto di tenerla lì. Il panico iniziava a dilagare, arrivati in Trekka, andammo da Eleonora e le spiegammo che non poteva prendere e scappare in quel modo. Eleonora piangeva perché non voleva tornare assolutamente a casa, a quel punto suonò di nuovo il telefono di Gaetano: erano i carabinieri del nostro quartiere che gli chiedevano di portare la ragazza in questura altrimenti sarebbero arrivati loro a prenderla.
Quindi ci recammo tutti in questura, Gaetano ed Eleonora entrarono mentre noi rimanemmo  fuori.  Ad un tratto si aprirono i cancelli, Gaetano stava uscendo con un carabiniere, si avvicinarono a me, e mi dissero che Eleonora sarebbe tornata a casa solo se avesse aspettato i genitori in mia compagnia  visto che aveva preso una cotta per me. Erano le dieci e così, io dovetti entrare in questura al posto di Gaetano ad aspettare i suoi genitori che arrivassero… eravamo io, Eleonora, la psicologa e i carabinieri, mentre fuori c’erano tutti i miei amici e mia sorella Sofia che, preoccupata, si era precipitata lì. Alle due di notte finalmente,  arrivarono i genitori di Eleonora che ci ringraziarono di cuore per quello che avevamo fatto. Così io potei tornare a casa.
Il giorno dopo finimmo sul telegiornale: “Ragazza scappa di casa per raggiungere un amore, ora è in cura della psicologa”. Meno male non uscirono nomi e cognomi.
Un’estate piena di emozioni e non era ancora finita.


17  LA VERGINITà

Avevo ancora due settimane abbondanti di vacanza davanti, da passare con i miei fratelli, con mio padre, con i miei amici ma soprattutto con Samanta.

Un giorno, mentre eravamo giù come sempre, Samanta mi fece una proposta  imbarazzante, mi chiese di  fare l’amore con lei. Io  davanti a quella proposta  ero spaventato, perché avevo solo quattordici anni, e non ero mai andato oltre a baci con la lingua con una ragazza, così non sapevo come comportarmi. Parlando e scherzando con gli amici, uscirono discorsi legati al sesso. Alcuni ragazzi e ragazze confessarono di avere già avuto dei rapporti, nonostante avessimo dai tredici ai sedici anni. Risultò che io ero uno dei pochi del quartiere a non aver ancora avuto un rapporto completo così, per non sentirmi in imbarazzo con gli amici ed escluso dal gruppo, decisi di accettare la proposta di  Samanta. All’età di quattordici anni persi la verginità! 
Sapevo che la storia con Samanta, una volta tornato a casa, sarebbe finita e questo sta volta era quello che mi avrebbe fatto più male, essendo stata la prima ragazza con cui avevo fatto l’amore!


Ci fu un altro episodio di quell’estate che mi segnò la vita:  una sera come sempre eravamo tutti in Trekka a parlare, ad un certo punto un mio amico, Davide, mi chiese se volevo accompagnarlo a fare benzina al motorino.
Così ci recammo tutti e due in piazzo Video al benzinaio, sullo stesso motorino e senza casco. Ai tempi i benzinai non avevano le telecamere,  e tutti i ragazzi del quartiere facevano il pieno agli scooter o alle moto gratuitamente. Come funzionava?  Bastava essere in due, uno teneva la pompa nel serbatoio e l’altro saltava sulla canna in quel modo usciva la benzina, quanto bastava per avere il pieno.
Tornando in Trekka dagli altri però, ad un certo punto Davide, per ammazzare una zanzara, perse il controllo del motorino e finimmo tutti e due per terra. Stavamo andando molto veloce e strisciammo per circa  venti metri sull’asfalto, io mi grattai tutto il gomito e la mano riuscendo però a tenere la testa lontana dall’asfalto, ma stavo scivolando dentro le rotaie del tram, che casualmente stava per arrivare proprio in quel momento.  Meno male mi accorsi in tempo e riuscii ad aggrapparmi al palo del cestino, finendo solo con le gambe nelle rotaie che velocemente riuscii a tirare fuori.
Una volta arrivati in Trekka gli altri videro com’eravamo conciati e si preoccuparono, io salii  in casa andai in bagno senza farmi vedere e provai a medicarmi, solo che perdevo troppo sangue così chiamai Angela e mi feci bendare da lei. In quel momento però, arrivò anche mio padre e mi disse: “Sei caduto in motorino vero?” (perché era abituato alle cadute di mio fratello). Io gli risposi: “No, stavamo giocando a guardie e ladri e sono caduto” Lui mi guardò e mi rispose: “ Ok sei caduto in motorino, la prossima volta stai più attento!”
Una volta medicato tornai giù dagli altri e ripresi la serata come se niente fosse successo.

Le lunghe vacanze, che sembravano non voler  finire mai,  giunsero al termine inutile dire che il giorno della partenza era sempre il più traumatico, soprattutto dopo quello che era successo con Samanta. La scuola ricominciò, ero in seconda media ed ero ancora insieme a Samanta, infatti ci sentivamo tutte le sere per telefono e un fine settimana quando venne papà e i miei fratelli a trovarmi venne anche lei.
Ma sapevo che la storia non sarebbe mai potuta continuare così, lei a Milano e io a Busto;  così un giorno finì  tutto.
Da quel giorno, mi promisi che non volevo più storie serie;  ma solo avventure in modo da non dover più soffrire per amore. E la promessa che avevo fatto a Ludovica?
Ricordate, eravamo rimasti che una volta tornato dovevamo parlare, ma dopo  quello che era successo con Samanta io non me la sentivo di tornare da lei. L’avrei delusa ancora, non sarebbe stato giusto, così non mi feci più sentire. Inutile dire che lei ci rimase malissimo e non volle più saperne di me.
Ovviamente frequentando la  stessa  scuola, era normale vederci la mattina e ogni volta che la vedevo tornavano sempre i soliti sentimenti, sapevo che quello era vero amore ma non potevo  tornare dopo averla fatta soffrire così tanto.




[1] cozze parola per definire una ragazza bruttissima

giovedì 26 marzo 2020

CAPITOLO 13, CAPITOLO 14



13  SAMANTA O LUDOVICA?

Io rimasi coerente con la mia bugia e il giorno dopo  partii, ma nel cuore stavolta avevo un vuoto. Mi ero pentito di non averle detto la verità,  sentivo che lei era la ragazza giusta per me, la ragazza con cui poter creare qualcosa di grande, anche se avevo solo quattordici anni. Il peggio però non era ancora arrivato!
Vi ricordate la Trekka e gli amici del quartiere? Lì c’era un clima diverso quindi dovevo tornare ad essere il ragazzo di strada senza cuore. Anche le ragazze del quartiere, si erano sempre adeguate alla vita della Trekka infatti alla maggior parte di loro  piaceva divertirsi e avere  tante storie con tanti ragazzi. Io ogni volta che tornavo in Trekka, puntavo sempre una ragazza diversa. I Ragazzi  ogni volta mi dicevano: “Come fai? Ogni volta che vieni qui te ne limoni sempre qualcuna!” Io sinceramente non sapevo rispondere perché mi reputavo un brutto ragazzo, non mi sentivo bello, dicevo sempre che l’unica cosa bella che avevo erano gli occhi.
Ero tornato;  quindi mi dovevo adeguare.
Come sempre uscivo con la mia compagnia. Uno dei miei più grandi amici di Milano, Mario, un giorno mi presentò Samanta, mi ricordai subito di lei perché uscivamo già da tanto in compagnia insieme, da quando ero con Sabrina. Anche Samanta mi faceva il filo, infatti l’anno che mi misi con Sabrina lei mi stava sempre vicino perché era gelosa, ed ora che per lei ero libero ci poteva provare! Ma non sapeva che a Busto c’era Ludovica!
Un giorno mentre eravamo sotto i portici a parlare del  più e del meno,  Samanta si avvicinò e si mise tra le mie braccia, ma praticamente era una cosa normale che le ragazze e i ragazzi avessero questi atteggiamenti. Così l’ abbracciai tranquillamente e continuammo a parlare, arrivata l’ora di tornare a casa io, Mario (che abitava nel mio stesso palazzo) e Samanta (che abitava in quello affianco) andammo a casa insieme  parlando e ridendo. Samanta si era messa d’accordo con Mario per cercare di conquistarmi e lui doveva farci mettere insieme. Lei era molto bella: tredici anni, occhi azzurri, bionda, fisico da urlo, ma a Busto c’era sempre Ludovica. Loro due d’accordo,  iniziarono a tirarmi delle frecciatine, poi lei mi abbracciò, accarezzandomi i capelli, baciandomi sul collo, io cercavo di resistere, e a un certo punto lei mi disse: ”Perché non ci mettiamo insieme?” Io, rimasi un po’ imbarazzato, poi le spiegai che ero  già fidanzato appunto con Ludovica, ma  la sua risposta fu: “Che te frega,  non sei contento  puoi avere due ragazze, una a Milano e una a Busto!”  Ma,  per una volta non riuscivo a fare il doppio gioco con una ragazza. Ad un certo punto  Mario per smuovermi,  mi prese in giro dicendomi: ”Se non ti metti con Samanta che è una bomba sexy,  vuol dire che sei finocchio!” Avevo dimenticato che a Milano, dovevo essere come loro. Chi rinunciava alle avance di una ragazza, tra l’altro bella come Samanta, veniva  preso in giro; così ad un certo punto accadde quello che non volevo che accadesse: io e Samanta ci baciammo e da quel giorno ci mettemmo insieme!
Come spiegare tutto ciò a Ludovica?
Tutte le sere io e Ludovica ci sentivamo per telefono, le mancavo molto e ogni volta io mi sentivo sempre più in colpa perché lei mi diceva sempre: “Come va in Spagna? Stai facendo il bravo?” Come fare a spiegarle che non ero in Spagna  e di Samanta?
 Io a Ludovica tenevo veramente tanto  perché sentivo per una volta che tra noi c’era qualcosa di grande, non era una storiella estiva come le altre e come quella che sarebbe stata con Samanta, ma era una storia che sicuramente sarebbe potuta durare tantissimo.
Un giorno che ero al telefono con lei, un mio amico mi prese il telefono dalle mani, dicendole tutta la verità: “Il tuo ragazzo non è in Spagna, e di te non ne vuole più sapere perché è insieme a un’altra! Non chiamare più!” 
Lei attaccò subito, tutti si misero a ridere  dicendo: “Finalmente ti sei liberato di lei” Samanta, che era lì, era ovviamente contenta perché Ludovica non c’era più, ora ero tutto suo, ma io ci stavo malissimo.
Per tre giorni non si fece più sentire, poi una sera chiamò perché voleva delle spiegazioni ma io ero  tornando ad essere il ragazzo di strada. La trattai malissimo, facendola  stare male e portandola a non volerne sapere più nulla di me.


14  TREKKA CONTRO PONTE

I giorni di vacanza proseguivano, Ludovica era uscita dalla mia testa o almeno era quello che pensavo, ora avevo ancora due mesi da passare con Samanta e i miei amici.

Un giorno, io, Mario, Samanta e molti altri ragazzi del quartiere andammo alle piscine Forlanini.
Quel giorno in piscina c’era praticamente tutto il nostro quartiere perché, oltre alla nostra compagnia c’era anche la compagnia dei ragazzi più grandi, dove uscivano i miei fratelli Marco e Sofia, praticamente tutta la Trekka riunita.
In piscina non eravamo solo noi però, perché  c’era anche mezzo quartiere di Ponte Lambro. I due quartieri si conoscevano bene perché, molte volte i ragazzi di Ponte erano venuti in Trekka e tutte le volte finiva in rissa, perché un quartiere non può entrare nel territorio dell’altro. Mario e Samanta, conoscevano alcuni ragazzi di Ponte, io neanche uno. La giornata procedeva bene, tra risate, scherzi, tuffi.
Ad un certo punto, vidi Samanta che andava in giro con un ragazzo di Ponte mano nella mano, andai subito da lei per parlare e chiederle spiegazioni; era un suo ex ragazzo, Manuel, erano rimasti amici. Per loro andare in giro mano nella mano era normale. Per loro però, non per mè!  Così le dissi: “Per te può essere anche normale, ma visto che sei insieme a me non lo fai, altrimenti puoi stare tranquillamente insieme a lui!” Arrabbiatissimo tornai al mio asciugamano, il mio amico Mario ovviamente venne a tranquillizzarmi, ma io stavo per prendere la mia roba e per lasciare la piscina. In quel momento arrivò Samanta che mi disse: “Dai scusa non volevo, non te ne andare. Sai che io voglio solo te!” A quel punto mi tranquillizzai e ricominciammo a buttarci in acqua, ma ad un tratto,  intorno a noi arrivarono tutti i ragazzi di Ponte Lambro con il ragazzo in questione. Marco, che era poco distante da noi vide cosa  stava  accadendo così  corse con tutti  i ragazzi più grandi della Trekka.
Aia–aia… i due quartieri di nuovo a confronto pronti per far scattare una mega rissa. Il ragazzo di Ponte, Manuel, venne testa a testa a me e mi disse: “Qual è il problema?”
Mio fratello, una  testa calda, stava già partendo ma io lo fermai e dissi a Manuel che se voleva parlare dovevamo essere io e lui da soli. Così tutti gli altri tornarono a fare il bagno mentre io e Manuel ci andammo vicino alle docce, ovviamente mio fratello (che guai a chi mi toccava) mandò Giuseppe un suo amico a seguirmi per controllare la situazione. Arrivati alle docce spiegai a Manuel che Samanta era la mia ragazza e non doveva andare in giro con lui. Lui ribadì che non c’era nulla di male ma io gli dissi che doveva starle alla larga. Lui a quel punto mi chiese scusa. Ma erano scuse finte perché per tutto il giorno stette vicino a me, al mio amico Mario e a Samanta.
C’era qualcosa che non andava, ci accompagnò anche in Trekka. Che coraggio un ragazzo di Ponte che entra in Trekka da solo! Stava tramando qualcosa. Per gli altri tre giorni si fece sempre trovare sotto casa mia, controllando me e Samanta… io in quei giorni stavo impazzendo ma il mio amico Mario e Samanta mi tenevano sempre tranquillo. Intanto, mi informai con la mia compagnia sul motivo di questo atteggiamento. Cleopatra, una ragazza della mia compagnia (che tra l’altro era un’altra ragazza che mi facevano il filo) mi disse che quel comportamento l’avevano già  avuto con suo fratello Vincenzo, avevano aspettato di beccarlo da solo e poi l’avevano accoltellato. Mi disse di stare attento perché Vincenzo se l’era cavata solo con una cicatrice, e io potevo non essere così fortunato!
Tutte le sere uscivamo in compagnia, quella sera Samanta non poteva uscire, così noi ragazzi andammo al Lunapark. Ci dividemmo io rimasi con il mio amico Mario e con Loris, loro volevano fare la nave dei pirati (quella che va su e giù, velocemente fino quasi fare il giro) ma io che di quei giochi avevo paura, li avrei aspettati giù. Mentre ci avvicinavamo alla nave, vedemmo che Manuel ci stava seguendo con il famoso ragazzo che aveva accoltellato Vincenzo. Così i miei amici non volevano lasciarmi giù da solo, ma io gli dissi di salire tranquillamente sulla nave che non mi sarebbe successo nulla. Loro mentre salivano continuavano a tenermi d’occhio, ad un certo punto, davanti a me si misero Manuel e quest’altro ragazzo; dalla tasca stava per estrarre il coltello, vidi il manico, anche Loris vide che c’era qualcosa che non andava  e stava scendendo dalla nave,  Mario e il ragazzo se ne accorsero e se ne andarono chiedendomi solo che ore erano. Me la vidi proprio brutta ma dopo quel giorno, di Manuel e del suo amico non ne seppi più nulla. Io penso che, uno tra Mario e Loris l’abbia detto ai ragazzi più grandi e ci abbiano pensato loro, ma non ne sono sicuro di ciò!

martedì 24 marzo 2020


SEMPLICEMENTE GRAZIE

di Gianluca Pepe


Il tempo passa così velocemente che a volte non te ne rendi neanche conto: un momento sei bambino, un secondo dopo ti guardi e ti rendi conto che sei diventato grande e che tra qualche giorno diventerai padre.
Ma fino ad ieri non avevi tempo per soffermarti molto a pensare, a ricordare i momenti, di quando eri un bambino. Poi un giorno arriva un virus che ferma tutto il mondo!
Il Coronavirus ti costringe a chiuderti in casa, ti obbliga ad usare delle precauzioni: mascherina, guanti in lattice, non puoi avere contatti con nessuno, nè amici nè parenti, ti devi solo isolare e ti obbliga a rallentare la tua vita, a prenderti del tempo per te!
E allora li non potendo uscire di casa inizi a ripensare un pò a tutta la tua vita. Che bello quando con i tuoi fratelli ridevi e ti divertivi raccogliendo frutta e verdura nell’orto di tuo padre, o quando giocavi giù in cortile semplicemente dando calci ad un pallone o con giochi semplici di una volta: guardie e ladri, rialzo, un due tre stella ecc. Per non parlare di tutte quelle volte che, dopo cena, andavi in camera con i tuoi fratelli, e visto che loro erano i più grandi ti obbligavano a guardare film di paura come Hit, o Nightmar e ogni volta mio fratello si nascondeva sotto il letto o nell’armadio per farmi spaventare, mentre le mie sorelle ridevano e io piangevo. Per non parlare della mitica vacanza estiva trascorsa a Monterosso con Don Jeky. La vita ci ha messo alla prova fin da piccoli, non è stata molto facile per noi, ma nostro padre non ci ha mai fatto mancare l’amore di cui una famiglia ha bisogno, facendoci crescere con amore, regole e dei valori importanti.
Poi crescendo purtroppo prendi strade diverse, scelte giuste o sbagliate, alle volte ti trovi anche a discuterete o a litigare per banalità che senza farlo apposta ti allontanano; e poi magari passano mesi o anni che non ti rivolgi la parola. Nel tuo cuore ci stai male, ci soffri e capisci che alle volte devi mettere da parte l’orgoglio e ripartire. Ma il tempo perso non te lo ridarà nessuno. Quanto tempo perso, quante cose che avresti voluto dire e non lo hai mai fatto, ma non è mai troppo tardi per dire ciò che non hai mai detto.
Beh mia sorella più grande, forse è quella che ha sofferto più di tutti, anche se provava dolore nel suo cuore, non l’ha mai dato a vedere, ha sempre cercato di esserci per tutti anche se alle volte riceveva solo bastonate. Per me è la mia grande guerriera.
L’altra mia sorella gemella di mio fratello, lei ha provato e prova sempre amore per noi fratelli qualsiasi cosa succeda, lei c’è sempre. Alle volte crolla, o ha dei momenti di smarrimento o paure, come giusto che sia, e mi piacerebbe che capisse che io per lei ci sono sempre voglio essere il suo punto di forza.
E poi c’è lui, mio fratello, a Napoli si direbbe Capatosta (testone), lui si è fatto tutto da solo, ha dovuto rimboccarsi le maniche subito, perchè la vita con lui ci ha messo del suo. Da fuori sembra burbero, duro, non fa vedere mai i suoi sentimenti le sue debolezze, è tutto d’un pezzo, ha lo stesso carattere di papà! Infatti ha un cuore enorme, si prende sempre cura di noi, i nostri problemi diventano i suoi, e cerca sempre di risolverceli. Ci da sempre la  forza per farci reagire. Non si scoraggia mai, e alla fine ha ragione lui perchè arriva sempre alla meta, alle volte magari ammaccato, con qualche ferita ma ci arriva! Lui è il capofamiglia colui che prende in mano la famiglia se la carica sulle spalle e la porta avanti quando quella non trova la forza per reagire. Lui è semplicemente il mio Fratellone!
Un prete mi ha detto: “La moglie ce la scegliamo noi, ma la famiglia quella no!” Beh ad oggi posso solo dire che anche se la mia famiglia non è quella del Mulino Bianco, non la cambierei, e se alle volte può sembrare che sono distante, o sono arrabbiato (perchè anche io ho una testa molto dura) o se magari non faccio vedere quanto tengo a loro, posso dirvi che siete sempre nel mio cuore e vi voglio un bene indescrivibile perchè siete e sarete sempre.......La mia Famiglia!

lunedì 23 marzo 2020

CAPITOLO 10, CAPITOLO 11, CAPITOLO 12


SECONDA PARTE
10  L’INFANZIA FINITA

Quello che avete letto fin’ora sono ricordi confusi di un bambino che fin da piccolo, non ha  mai potuto comportarsi da  tale, crescendo e giocando come tutti i bambini della sua  età. Subito messo alla prova, bruciando praticamente tutte le tappe della giovinezza per diventare grande prima di tutti gli altri.
Sempre  all’oscuro del suo passato e della verità infatti;  fino a qui Gianluca non saprà ancora nulla della sua mamma, e di come siano andate realmente le cose.

Finito questo primo percorso, ora inizieranno gli anni  dell’adolescenza, anni che non si scordano mai. Senza dubbio i momenti più belli, emozionanti, esperienze che ti lasciano il segno nel cuore e ti insegnano a crescere.
Gianluca racconta: le scuole medie, i primi veri amici, le prime cotte, le prime delusioni, i primi guai, le prime esperienze di vita.
Non più ricordi confusi ma ricordi ben definiti e chiari nella sua testa. Come già detto all’inizio, inizierà a ricomporre il puzzle della sua vita, alcune risposte alle sue domande, alcune verità nascoste, inaspettate!
Verità o Menzogne ?
Questo non è dato sapersi, ma sicuramente è quello che Gianluca con gli anni è riuscito a rimettere insieme, se sia vero o falso non si sa, sappiamo solo che questa è la sua verità!


11  DUE MODI DI CRESCERE

In tutti questi  anni è come se avessi  avuto due vite, avendo due case, due famiglie e tantissimi amici.
 Amici appunto:  vivendo in due città, i  miei amici  erano completamente diversi.

Iniziamo  dagli amici di Busto. Molti di loro, avendo  genitori con ‘la puzza sotto il naso’ (come si usa dire) erano ragazzi bravissimi o meglio definiti  come ‘casa e chiesa’. 
Io fin da quando avevo due anni, frequentavo l’oratorio  San Luigi -che è l’oratorio principale di Busto-; crescendo con questi amici mi ero adeguato ad essere  come loro.
Il problema era quando tornavo a Milano dagli amici del mio quartiere perché la Trekka, Quartoggiaro e Ponte Lambro erano i tre quartieri più temuti di Milano, e i miei amici erano cresciuti  per strada. Quindi totalmente diversi da quelli di Busto.
Così facendo, quando mi trasferivo a  Milano mi dovevo  adeguare a loro per non essere escluso dal gruppo, preso in giro o maltrattato. Questo però, mi aiutò molto a crescere e a farmi rispettare. Così facendo avevo due caratteri, due modi differenti, due personalità: “il ragazzo casa e chiesa, e il ragazzo di strada.”
Mi ero creato una corazza che non facevo oltrepassare a nessuno, questa corazza era la mia difesa.

Oramai ero alle scuole medie, iniziava ad avvicinarsi l’età dell’adolescenza, iniziavo a prendere decisioni e a fare scelte, iniziavo a ricostruire il puzzle della mia infanzia  cercando di scoprire più che potevo del mio passato, ma sempre  senza fare domande per paura di reazioni.
Nella mia  testa c’era solo il calcio, la scuola non mi piaceva infatti appena finivo le lezioni tornavo a casa, mangiavo un boccone, e alle due correvo in oratorio dai miei amici per giocare a pallone e vi rimanevo fino le sette di sera. Poi, rientravo a casa, cenavo, guardavo la televisione e per le dieci a letto.
 Gli zii ogni volta, cercavano  di farmi fare i  compiti o di farmi studiare, ma per il primo anno di medie fu una battaglia persa: alla fine dell’anno venni bocciato. La rabbia dello zio era tanta, invece la zia mi difendeva come aveva sempre fatto, perché era come se fossi un figlio, e si sa che le mamme difendono sempre i figli. Lo zio invece voleva mandarmi in collegio, io avendo il terrore che potesse veramente farlo, promisi che dopo le vacanze mi sarei messo d’impegno e non sarei più stato bocciato. Le vacanze arrivarono come ogni anno, ormai crescendo iniziavo a prendere le mie decisioni, infatti non partivo più a luglio come facevo da piccolo, ma bensì partivo ad agosto facendo solo agosto e metà settembre con papà e con i miei fratelli perché volevo  fare l’oratorio feriale con tutti i miei amici, visto che non ne avevo mai fatto uno in vita mia. Così  feci, quell’anno non andai più neanche al Ticino con lo zio dove ero cresciuto, ma bensì mi iscrissi al mio primo oratorio feriale. Non potete nemmeno capire la felicità che passò nel mio cuore!
Finito l’oratorio feriale, però dovevo far rientro a  Milano tornando alla vita di sempre, e quindi dovevo tornare ad essere il ragazzo di strada!
Incominciai con le prime cottarelle estive, la mia prima ragazzina fu Sabrina, una ragazza del mio quartiere… per conquistarla avevo usato il  nuovo cagnolino che Marco aveva regalato a papà, era un Pitbull.
Vacanze splendide come sempre con papà, i miei fratelli, e la mia prima ragazza!
Il problema era quando dovevo tornare a Busto; quel giorno piansi tanto perché oltre a non voler lasciare i miei  fratelli e mio padre, non volevo lasciare neanche lei  anche perché sapevo che una storia a distanza non sarebbe mai potuta funzionare.
Passata l’estate era ora di rimettersi a studiare ovviamente con  Sabrina  finì tutto,  ma questo lo sapevo già ma come si dice ‘il primo amore non si scorda mai’. Ora era il tempo di tornare a scuola bisognava rifare la prima media visto che ero stato bocciato, nella sfortuna di ciò, fui fortunato perché finii in classe praticamente con molti amici che frequentavano l’oratorio con me. Bisognava studiare per non rischiare il collegio,  ma di studiare non ne avevo molta voglia, non mi piaceva proprio. Studiavo solo il minimo indispensabile per arrivare alla sufficienza, infatti le mie pagelle…. meglio non commentarle!   


12  PRIMO ANNO DI MEDIE

Gli anni dell’adolescenza sono quelli che passano più in fretta di tutti, e  sono quelli che non si scordano mai.
Il primo anno di medie, o meglio il secondo anno ma ripetendo sempre la prima media, giunse al termine; durante l’anno le cose non erano  cambiate, voglia di studiare zero, ragazze a valanga, in testa sempre il calcio.
Quell’anno, ci fu una svolta calcistica nella mia vita. Fino quell’età non giocai mai in una società seria di calcio perché i miei zii non avevano i soldi per iscrivermi. Così giocavo nella squadra di calcio dell’oratorio S. Luigi, l’ A.S.O. (Associazione Sportiva Oratori), era un torneo domenicale tra tutti gli oratori della città e io vi giocavo da terzino sinistro.
Nel frattempo mio zio lavorava anche lui nel mondo dei ristoranti, facendo il cameriere, lavorava da Maicol. Lui e mio zio, erano cresciuti praticamente insieme, erano tutti e due napoletani e lui aveva col fratello Mimmo, un ristorante a due passi da casa nostra. Lo zio, lavorava solo il venerdì, il sabato e la domenica sera  dalle cinque in poi, gli altri giorni li passava spesso al Ticino a pescare.
Maicol aveva due figli, Marina che era la più grande e Franco, lui era un anno più grande di me. Io e lui eravamo cresciuti praticamente insieme, mi ricordo che lo zio tutti i sabati, quando lui tornava dal Ticino e io dall’oratorio dove c’era anche Franco, mi portava con lui al lavoro e mentre lui lavorava io giocavo tutta la sera con Franco. Una volta che finivano di lavorare, circa verso le due di notte, ci mettevamo tutti insieme a mangiare e finito andavamo tutti e quattro al Bowling. Ovviamente lo zio e Micol erano molto amici del proprietario che ci regalava i gettoni per farci giocare, giocavamo fino le alle tre di notte poi andavamo a casa a dormire.
Mentre ero in oratorio con Franco, un giorno Maicol vedendomi giocare e reputandomi molto bravo, mi chiese se volevo giocare nella stessa squadra di calcio del figlio. Franco giocava nella Dairaghese a Dairago, un paesino a venti minuti di macchina da Busto. Io ero elettrizzato perché finalmente avrei potuto giocare in una società seria, però i miei zii non avevano i soldi per l’iscrizione, ma lui mi disse di non preoccuparmi perchè ci avrebbe pensato lui.  Così finalmente anche io avevo una squadra di calcio tutta mia.
Intanto eravamo arrivati all’ultimo giorni di scuola,  quel giorno mi successe una cosa bellissima! Il mio primo colpo di fulmine a ciel sereno!  Si proprio così ebbi un colpo di fulmine,  ad un certo punto, mentre stavo facendo la strada per tornare a casa, davanti a me apparve una visione spettacolare, bellissima, semplicemente stupenda. Si chiamava Ludovica mora, capelli lunghi, occhi scuri, fisico perfetto, era  un incanto, dentro di me suonò qualcosa. Lei era diversi mesi che mi faceva la corte ma io, fino ad allora troppo occupato con diverse ragazze, non me ne ero mai accorto. Ludovica, non era una ragazza come le altre che avevo avuto per divertimento fino ad allora (per capirci “Una limonata e via”) ma era una ragazza che già all’apparenza si presentava  dolce, sensibile, allegra, con un sorriso magnifico, seria. Le vacanze stavano iniziando, sapevo che col fattore che ad agosto sarei dovuto partire per Milano, non l’avrei più rivista fino a settembre. Eravamo a metà giugno, l’oratorio feriale stava per iniziare dovevo fare qualcosa per vederla, ma ero troppo timido per fare il primo passo. Quell’anno non mi iscrissi neanche all’oratorio feriale perché mio papà aveva chiamato dicendomi che voleva venirmi a prendere prima, io lo convinsi a venire a inizio luglio, in modo da avere circa venti giorni da passare con i miei amici a giocare a calcio.
Un giorno, successe una cosa magnifica. Ludovica, grazie ad una sua amica, decise di fare lei il primo passo e riuscì a contattarmi. Ci  demmo appuntamento in centro per vederci e conoscerci meglio, in modo da passare un po’ di tempo insieme. Ore tre del pomeriggio, io ero in centro seduto su una panchina ad aspettarla, tesissimo, ad un tratto eccola, arrivò con la sua  amica; mi ricordo ancora che indossava pantaloni neri e un maglioncino rosa, con strisce orizzontali marroni, nere e bianche, e capelli raccolti. Panico, imbarazzo, sudore, cuore a mille, ero agitatissimo; l’amica ovviamente ci presentò  e  se né andò lasciandoci soli.  All’inizio tutti e due timidi e imbarazzati, ricordo che la tensione si tagliava con un grissino… ad un certo punto, feci io sta volta il primo passo e le dissi: “Posso prenderti la mano?”
Me lo ricordo come fosse ieri. Da quel momento fu tutto in discesa, parlammo tanto, ridemmo, poi un giro per il centro, praticamente quasi tutto il pomeriggio insieme, mi ero anche dimenticato di andare in oratorio a giocare con i miei amici. Il momento dei saluti  fu il più bello, vennero i suoi genitori a prenderla e prima di andare via ci demmo il primo bacio! Qualcosa mai accaduto, neanche con Sabrina era accaduto ciò, cuore a mille, battito impazzito, calore assoluto, e tutto rosso in faccia, spettacolare capii che quello era il mio primo vero grande amore!
Passammo tutti i venti giorni assieme, era veramente fantastico eravamo diventati inseparabili. Purtroppo passarono troppo in fretta era arrivato già l’ultimo giorno. Il giorno dopo, dovevo partire per Milano, come spiegare a Ludovica quella situazione, lei non sapeva nulla della mia storia, perché io non la raccontavo a nessuno perché mi vergognavo moltissimo, tutti in vacanza al mare e io invece no.
Dovevo trovare una scusa, così a casa avevo una rivista di vacanze staccai la foto di un  albergo della spagna, e il giorno prima di partire, mi inventai che stavo per partire per quel posto. Ci saremmo rivisti a inizio scuola, ma le si leggeva in faccia che non ci credeva , Ludovica non era stupida aveva capito che c’era sotto qualcosa.

giovedì 19 marzo 2020

CAPITOLO 8, CAPITOLO 9


8  L’ORTO: LA SUA VITA

Come ogni  mattina papà iniziava il suo giro quotidiano:  sveglia alle cinque  del mattino, prendendo il  cane (che aveva in casa) Birillo, un Yorkshire, con  destinazione orto  per dare da mangiare agli altri cani, raccogliere le uova delle  galline, bagnare le piante, raccogliere la frutta e la verdura  già pronta. Fatto ciò si recava al mercato della carne  per prendere  da mangiare, tornava  a casa per le dieci e preparava  la colazione per noi,  una volta  fatta  colazione noi prendevamo e scendevamo nel quartiere  a  giocare, mentre Angela puliva  casa prima di andare a  lavorare e lui preparava il pranzo per tutti.
Una  volta finito  papà  e Angela  andavano al lavoro, lei la mattina lavorava  in una stireria e il pomeriggio invece  puliva  la  casa di una signora,  invece papà  lavorava in un  ristorante.  L’ora di pranzo era fissata per  l’una, l’ora che tornava a casa Angela. Ovviamente Camilla, che era la  più  grande, doveva occupasi di noi piccoli e quindi salire a casa per mezzogiorno e preparare la tavola. Finito il pranzo  un riposino per tutti  fino le tre, ora che Angela tornava al lavoro, mentre Camilla  ci faceva  fare i compiti  prima di scendere  ancora in cortile a giocare.
Alle tre invece rientrava  papà  che  si metteva nel letto  fino le sei per poi tornare al lavoro, e far rientro a casa a  notte fonda.
Questa era  la  giornata  tipo  della  famiglia  Pepe.

Quando invece papà  era di riposo, ci  portava in piscina, al cinema o al lunapark. Dopo cena  scendevamo  un po’ a giocare in Trekka,  fino alle dieci perché poi avevamo l’ordine di salire perché diventava  buio,  poi a letto per la fiaba serale e ninna.

Una volta  verso le tre di notte squillò il telefono, erano i carabinieri che ci chiamavano per comunicarci che qualcuno aveva bruciato l’orto di papà!
L’orto di mio padre purtroppo era posto vicino ad una baraccopoli, e molte volte loro ci facevano  scherzi, rubando e rompendo tutto quello che trovavano. Una  volta  addirittura  mentre  eravamo  tutti  al’interno, ruppero il vetro posteriore della  nostra  macchina, ovviamente mio padre sapeva  chi era  stato perché con gli anni, dovendo vivere con loro, li aveva  conosciuti tutti. Quel giorno andammo dai carabinieri per sapere se si poteva fare qualcosa per impedire queste cose ma loro dissero che non potevano fare nulla. Non potevano cacciarli. L’unica soluzione era che mio padre, abbandonasse il suo orto e trovasse un altro posto dove farlo. Ovviamente lui, non accettò assolutamente l’idea di rinunciare a tutto quello che aveva costruito, la sua seconda casa, piuttosto conviveva con loro.
La mattina successiva all’incendio andammo all’orto prestissimo con i carabinieri per  vedere cos’era rimasto della nostra seconda casa! Una  visione orrenda, raccapricciante, era bruciato tutto, non si poteva  salvare nulla, i cani purtroppo erano bruciati dentro, solo uno era riuscito a salvarsi scappando, il Collie, ma non riuscimmo  più a trovarlo. Mentre gli altri purtroppo erano tutti morti e non vi era rimasto più nulla, bisognava  ricominciare tutto da capo.
Mio padre era arrabbiatissimo per tutto ciò, perchè essendo  un orto  abusivo  non poteva  neanche prendere un risarcimento, nè pretendere che gli abitanti di quella baraccopoli ripagassero tutto o se ne andassero. Per lui era come se era bruciata la sua casa, la sua vita.

Un napoletano doc non si arrende davanti alle piccole difficoltà, così decise lui di cambiare zona in modo da non avere più problemi. Una volta trovata  la zona  si rimboccò le maniche; ricostruendo tutto. In pochi anni,  papà riuscì a mettere in piedi un altro orto, magari non grosso come il primo… non vi erano più: galline, box per la macchina, capanno con cucina, camera, sala…  non c’era nulla di tutto ciò però la cosa più importante era che aveva ricreato la sua seconda  casa, la sua vita  con piante, ortaggi, baracca  per  gli attrezzi, dependance  per sedersi e rilassarsi. Ero orgoglioso di lui!


9  LITE TRA FRATELLI

Qualcosa stava per cambiare nella vita della famiglia Pepe. Un giorno avvenne quello che nessuno si sarebbe mai aspettato, la grande decisione del giudice minorile! 

Vacanze finite, bisognava  fare rientro a Busto  ma il giorno prima della partenza, ero andato dagli  assistenti sociali di Milano che, come ogni volta  alla fine di ogni incontro, mi fecero la solita domanda: “Con chi vorresti passare il resto della tua vita?”  E la risposta, ovviamente essendo lì con i mie fratelli e mio padre, era scontata: ”Con mio padre e i miei fratelli!”
Io però prima di arrivare a Milano per le vacanze, come sempre il giorno prima di partire, ero andato dalla  dottoressa Toni, e anche lì, come ogni volta alla fine dell’incontro, la solita  domanda: “Con chi vorresti passare il resto della tua vita?” Ovviamente essendo a Busto con gli zii, la risposta era diversa , quella  volta infatti risposi: “A Busto con lo zio e la zia!” 
Troppa confusione nella testa del ragazzo! Io non sapevo che con questa risposta stavolta qualcosa stava cambiando, non sarebbe stato più come prima.

L’indomani partirono tutti: papà, Angela, Camilla, Marco, Sofia e io in direzione di Busto Arsizio perché il  giorno precedente la dottoressa Toni aveva contattato papà e gli zii dandogli appuntamento in sede, dicendo loro che ci dovevano essere tutti.
Così fu! Noi  ragazzi, rimanemmo a giocare nel parchetto sotto osservazione di un assistente sociale, mentre papà  e gli zii erano dentro a colloquio con la dottoressa. Il tempo passava e nessuno usciva dalla sede, ad un certo puto il telefono del collaboratore squillò: era la dottoressa Toni che lo chiamava, dicendo di portarci dentro.
Tutti seduti  a rapporto, la dottoressa  iniziò a parlare, ed ecco, quello che nessuno si sarebbe  mai aspetto: “Essendo ormai passati tanti anni da tutta questa situazione e, non essendo mai riusciti a trovare una decisione definitiva di affido del bambino, vedendo che Gianluca appare sempre confuso nella sua decisione con chi passare il resto della sua vita, non riuscendo a capire a chi vuole essere affidato; noi assistenti sociali di Busto Arsizio, confrontandoci con gli assistenti sociali di Milano, e sottoponendo il dossier  al giudice minorile;  noi ma soprattutto lui ha  deciso per il bene  del  piccolo, in modo che non debba più essere  costretto, a  continui  controlli ed incontri, con noi. Perciò, il giudice minorile ha così deciso: ‘Gianluca sarà  ufficialmente  affidato alla custodia dello zio, Alfonso, e della zia, Maria, fino al diciottesimo anno di vita. Una volta che sarà diventato maggiorenne, e in grado di prendere una decisione definitiva  per il suo futuro, la scelta spetterà a lui”.
Alla lettura di quella sentenza, un momento di silenzio in aula… lacrime da parte dei fratelli e tristezza  nel mio cuore per ciò che aveva sentito. Nella mia testa iniziarono a passare milioni di pensieri, pensando che era colpa mia se erano giunti a quella decisione. Tutti quegli anni di tentennamenti e incertezze,  non ero  mai riuscito a decidere con chi stare! Ovviamente gli zii erano contenti per quella decisione, perché ormai visto come un figlio per loro, mentre mio  padre cercava inutilmente di opporsi alla  sentenza; quello che era deciso non si poteva più cambiare.
Da quel momento sarebbe cambiato tutto! Papà aveva avuto la possibilità di continuare a vedermi  nei weekend  e nelle festività,  invece per quanto riguardava la scuola e i giorni di crescita, dovevo passarli con gli zii.

Le vacanze natalizie arrivarono e finirono in fretta  era  già ora di tornare a Busto. Mio padre quel giorno decise di portarci col camion che usava per andare nell’orto. Una volta arrivato sotto casa lo fermò un vigile che stava per fargli un verbale con una multa  salatissima, spiegandogli  che non poteva  portare in giro persone nel cassone del furgone, non essendo  omologato. In quel momento passò  lo zio che, parlando col vigile visto che lo conosceva riuscì  a  fargli  chiudere  un occhio,  quindi niente multa.
Arrivati sù in casa partì una discussione tra mio zio e mio padre essendo due napoletani orgogliosi, lo zio diceva che doveva ringraziarlo per ciò che aveva fatto, mentre  papà  ribatteva che se la sarebbe cavata anche senza il suo aiuto. La  discussione sembrava non aver tregua tirando fuori così anche il rancore per il fatto che io fossi stato  affidato a loro e non a lui.
Ad un certo punto la  lite  degenerò, così che papà  prese i miei fratelli e se ne tornò a Milano. Da quel giorno le cose cambiarono. Zio e papà non si parlavano più! Nonostante questo le visite di papà  erano frequenti,  ma  lui non saliva più in casa a prendermi ma, mandava i mie  fratelli a recuperarmi o mi facevano scendere e loro mi aspettavano giù.
Questa litigata  durò  per moltissimi anni causando anche l’esclusione di mio padre e dei miei  fratelli, a ricorrenze che per un bambino devono essere i giorni più belli della sua vita. Gli zii non volevano assolutamente che papà  fosse presente alla mia comunione; tanto che vennero solo invitati in chiesa ad assistere alla celebrazione, ma non  al ristorante per passare la giornata tutti insieme. A comunicare questa decisione alla famiglia  dovevo ovviamente  essere io come ogni volta, provocando così in loro molta rabbia, dando tutta  la colpa a me.
Tutto ciò provocò a sua volta reazioni a  catena cioè mio padre,  nelle vacanze veniva  si a prendermi a Busto Arsizio per portarmi a casa, ma al momento del rientro non mi riportava più lui indietro, ma bensì erano gli zii che dovevano venire  a Milano a riprendermi, arrivando così a minacce e interpellando di novo assistenti  sociali per il comportamento di  papà. Come al solito a rimetterci ero sempre io, che da quel giorno mi sentii trattato come un pacco postale.



FINE PRIMA PARTE

lunedì 16 marzo 2020


CAPITOLO 6, CAPITOLO 7


6  L’ORTO

I giorni che passavo all’orto con tutta la famiglia erano i più belli. La giornata iniziava raccogliendo i pomodori e il basilico, si lavavano con la canna dell’acqua, si tagliavano e si imbottigliavano nelle bottiglie che papà aveva preparato. Ognuno aveva il suo compito, ricordo che:  papà e Marco raccoglievano i pomodori e il basilico, Sofia e io li lavavamo, Angela e Camilla (che era la più grande) li tagliavano mettendoli  in un grosso catino. Finito il primo passaggio, ci si metteva tutti in fila e ciascuno di noi riempiva le bottiglie con i pomodori e il basilico passandoli poi ad Angela  che metteva l’olio e a sua volta li passava a papà, il quale metteva il tappo e li deponeva in un grosso barile di ferro adibito a pentolone dove all’interno c’era dell’acqua. Riempito tutto il barile con le bottiglie, accendeva il fuoco sottostante per farle cuocere. 
Mentre si aspettava che le bottiglie fossero pronte si preparava il pranzo,  quindi ci si metteva vicino al forno a legna si tirava fuori la pasta della pizza e con pomodori,  basilico, aglio… e  tutto quello che passava l’orto si faceva la pizza tra scherzi e risate. Pronto il tutto  ci si sedeva su una lunga tavolata sempre costruita da papà  e si iniziava a mangiare.
Mi ricordo che una volta mentre ero seduto, sul tavolo c’era una bottiglia di Coca Cola (io ero molto piccolo, avrò avuto all’incirca 7 anni) la presi e tolsi l’etichetta rossa facendo attenzione a non romperla, la allargai al punto che ci passò la mia fronte perché volevo indossarla come fascia per imitare il mio idolo del wrestling Hulk Hogan, solo che non funzionò troppo bene infatti  appena la lasciai essa si strinse intorno alla testa non facendomi più passare il sangue, mi si gonfiarono tutte le vene e iniziai a diventare tutto rosso senza riuscire più a parlare e respirare, cercai subito  di chiamare  mia sorella Sofia con la mano che era seduta accanto a me, ma lei, pensando che stessi scherzando mi disse: ”Ma muori!” Io iniziai anche a piangere in silenzio scendevano solo le lacrime, in quel momento si girò mio padre e vedendo che ero diventato tutto viola in faccia, prese un coltello, lo infilò tra la mia fronte e l’etichetta e la taglio. Non potete capire il sollievo di togliere quella trappola mortale dalla fronte. Mia sorella, rendendosi  conto della cosa mi chiese scusa, mi riempi di baci e mi coccolò per  tutto il resto della giornata.
La giornata ormai stava per  finire, tornammo a casa mentre le bottiglie di pomodoro restavano a cuocere tutta la notte fino l’indomani quando papà sarebbe tornato all’orto per recuperarle…  a casa praticamente avevamo la passata di pomodoro per un intero anno.


7  GLI INVASORI

Nel quartiere c’è un cortile dove si  parcheggiano le macchine di tutti gli abitanti, accanto vi è un grandissimo parco giochi per i bambini con altalene,  dondoli, scivoli, casette e un campo di calcio bellissimo in erba con attorno ad esso la pista di atletica dei 400 metri.

Tutti i sabati e domeniche in Trekka venivano gruppi peruviani e rumeni  portando cibo e bevande in quantità… si accampavano nel parcheggio per due giorni con roulotte e macchine. In quei due giorni, facevano tornei di calcio tutto il giorno, facendo caciara e un sacco di macello, litigando tra di loro, ubriacandosi e lasciando tutto il parco sporco con pattumiera, sporcizia e bottiglie di birra rotte in ogni angolo. Con tutti quei vetri e la sporcizia che vi era, per noi bambini era praticamente impossibile andare a giocare nel parco, perché c’era il rischio di farsi male.
Ovviamente i nostri genitori erano furiosi di questa situazione, non potevano portarci giù a giocare, e non potevano portare giù i cani perché alcuni di essi  si erano tagliati sotto le zampe, il parco era praticamente impraticabile  per quei due giorni.
Così,  tutto il quartiere si recò in caserma dai carabinieri spiegando la situazione,  erano stanchi di tutto ciò. Le forze dell’ordine sentendo i fatti esposti  andarono a  parlare con quei gruppi di peruviani e di rumeni, dicendo  che non potevano fare tutto quel casino, non potevano  lasciare  pattumiera  e bottiglie  di vetro rotte all’interno del parco,  visto che era un parco giochi per bambini e animali, dicendo loro che se continuavano avrebbero dovuto prendere provvedimenti seri  facendo verbali  e multe.
La situazione col passare dei giorni e dei mesi non cambiava, ogni sabato e domenica era sempre la stessa cosa. Così tutto il quartiere, stanco di quella situazione tornò a lamentarsi in caserma dicendo che se la situazione non sarebbe cambiata ci  avrebbero pensato loro.
Una sera,  tutti gli abitanti della Trekka  si diedero appuntamento alle rotondine[1]  giù in cortile. C’eravamo praticamente  tutti, piccoli, grandi, femmine, maschi: tutta quanta la Trekka era  riunita. Un’ intero quartiere che univa le sue forze per farsi rispettare: un vero spettacolo! Quasi  400 famiglie,  ci recammo tutti quanti in Piazzo Video,  due minuti  a  piedi dai nostri palazzi. L’orologio segnava  le otto di sera, i  genitori  con le macchine, i ragazzi più grandi con moto e motorini,  gli altri con biciclette e noi bambini  a piedi.  Bloccammo tutte le strade di via Mecenate con macchine, moto, bici e noi piccolini tutti seduti sulle  strisce pedonali, in modo da non fare passare neanche una bicicletta. Quei gruppi dI peruviani e i rumeni erano all’interno del parco  a  giocare e a fare  baldoria. Praticamente ci eravamo impadroniti della zona, formammo una coda di macchine atroce. Tutti suonavano, minacciavano  di venirci addosso  fermandosi  con le loro macchine a due dita da noi;  ma nessuno di noi aveva paura, nessuno di noi si alzava dalla strada, e quando scendevano dalle macchine e minacciavano di picchiarci e spostarci a forza, intervenivano i ragazzi più grandi rifacendoli  salire in macchina.
Dopo circa un’ora e mezza  fermi immobili a far valere i nostri diritti con striscioni, canzoni e urla,   la voce del casino che stavamo  combinando arrivò in caserma,  subito  tutti i carabinieri si precipitarono  li, per  cercare di capire e tranquillizzarci. Ma nessuno di noi aveva intenzione di farla  finita, visto che i carabinieri fino a  quel giorno non avevano fatto nulla per cambiare la  situazione. Alle  dieci trovammo un accordo  con le forze dell’ordine,  dovevamo riportare la normalità  perché rischiavamo sanzioni, in cambio loro si sarebbero occupati di far sparire  “gli invasori” per sempre dal nostro quartiere. Promesse fatte, accordo  raggiunto, tutti uniti tornammo  a  casa  per  vedere se sarebbe cambiato qualcosa. Il fine settimana era così finito; “gli invasori” se ne andarono e il parchetto era di nuovo nostro  anche se era  tutto  sporco, pieno di bottiglie di birra  e di  vetri,  ma  loro non c’erano più! 
Le vacanze  estive per noi  bambini potevano continuare.

Purtroppo la pace  durò troppo poco… arrivò un nuovo fine settimana e con lui tornarono “gli invasori” per un altro weekend di caciara!
A  quella visione, scoppiò  ancora  il  finimondo. I carabinieri  non avevano risolto nulla, bisognava intervenire! Erano le quattro di pomeriggio, quando  tutta  la Trekka  si riunì di nuovo giù alle rotondine. Bisognava prendere una decisione, fare qualcosa per  far  finire tutto ciò e salvare il nostro quartiere.
Parla, discuti, confrontati, soluzione trovata... stava per scoppiare la guerra!
Tutti i maschi del quartiere, genitori e ragazzi, si erano  dati appuntamento alle dieci; quando scendeva il buio più profondo.  Mamme, ragazze e bambini, chiusi in casa. Detto fatto tutti a casa per cena  mentre “gli  invasori” facevano baldoria giù nel nostro  parco, alle nove e mezza  tutti radunati intorno alle rotondine!
Alle dieci esatte cominciò il putiferio: sembrava di essere  nel  Bronx, i maschi della Trekka  scesero tutti  muniti di bastoni, mazze  di ferro  trovate  per terra, qualsiasi cosa che potesse fare male. Pronti e via tutti al parchetto contro “gli invasori”!
Partì la grande guerra, botte da orbi, gente che scappava e correva,  gente  per  terra  piena di sangue mentre,  tutte le  donne affacciate  alla finestra erano  preoccupate per ciò che stava succedendo. Ad un certo punto, anche i carabinieri capirono ma soprattutto sentirono,  quello che  stava accadendo. Uscirono tutti per intervenire  e ci fu il fuggi-fuggi  generale;  in meno di dieci minuti  in  tutto il parco non vi era rimasto nessuno! Solo un gran caos per terra: mazze, spranghe, pattumiera, bottiglie rotte, scarpe, pezzi di vestiti. Di persone non ve ne era più traccia né di “invasori”, né di gente della Trekka: si erano spostati tutti in altre zone.
Il tempo passava, tutti a casa mia  eravamo preoccupati perché  mio fratello non rientrava. Mio padre era  al lavoro, non sapendo nulla di ciò che era accaduto. Angela ci mise a letto tranquillizzandoci, e poi si mise a letto anche lei. A mezzanotte, sentimmo  dalla cameretta, gente che stava tornando... noi ci svegliammo subito  affacciandoci, e girandoci a guardare il letto di Marco. Non  era ancora tornato!
Corremmo  a  svegliare Angela, ci preparammo velocemente  e scendemmo per cercarlo preoccupati. Finalmente  lo vedemmo tornare. Erano scappati tutti sotto il ponte dove passava il treno, ad inseguire un gruppo di “invasori” che si erano chiusi in una macchina, i ragazzi della Trekka avevano completamente distrutto la macchina.
Nei giorni successivi in Trekka  si respirava tensione e paura per quello  che era accaduto,  per i provvedimenti  che i carabinieri avrebbero preso. Ma poi fu messo tutto a tacere e di quella storia non si seppe più nulla.   


[1] si chiamano così perché sono due rotonde piccole unite tra  loro  a  forma di otto dove all’interno vi sono situati due alberi

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...