lunedì 16 marzo 2020


CAPITOLO 6, CAPITOLO 7


6  L’ORTO

I giorni che passavo all’orto con tutta la famiglia erano i più belli. La giornata iniziava raccogliendo i pomodori e il basilico, si lavavano con la canna dell’acqua, si tagliavano e si imbottigliavano nelle bottiglie che papà aveva preparato. Ognuno aveva il suo compito, ricordo che:  papà e Marco raccoglievano i pomodori e il basilico, Sofia e io li lavavamo, Angela e Camilla (che era la più grande) li tagliavano mettendoli  in un grosso catino. Finito il primo passaggio, ci si metteva tutti in fila e ciascuno di noi riempiva le bottiglie con i pomodori e il basilico passandoli poi ad Angela  che metteva l’olio e a sua volta li passava a papà, il quale metteva il tappo e li deponeva in un grosso barile di ferro adibito a pentolone dove all’interno c’era dell’acqua. Riempito tutto il barile con le bottiglie, accendeva il fuoco sottostante per farle cuocere. 
Mentre si aspettava che le bottiglie fossero pronte si preparava il pranzo,  quindi ci si metteva vicino al forno a legna si tirava fuori la pasta della pizza e con pomodori,  basilico, aglio… e  tutto quello che passava l’orto si faceva la pizza tra scherzi e risate. Pronto il tutto  ci si sedeva su una lunga tavolata sempre costruita da papà  e si iniziava a mangiare.
Mi ricordo che una volta mentre ero seduto, sul tavolo c’era una bottiglia di Coca Cola (io ero molto piccolo, avrò avuto all’incirca 7 anni) la presi e tolsi l’etichetta rossa facendo attenzione a non romperla, la allargai al punto che ci passò la mia fronte perché volevo indossarla come fascia per imitare il mio idolo del wrestling Hulk Hogan, solo che non funzionò troppo bene infatti  appena la lasciai essa si strinse intorno alla testa non facendomi più passare il sangue, mi si gonfiarono tutte le vene e iniziai a diventare tutto rosso senza riuscire più a parlare e respirare, cercai subito  di chiamare  mia sorella Sofia con la mano che era seduta accanto a me, ma lei, pensando che stessi scherzando mi disse: ”Ma muori!” Io iniziai anche a piangere in silenzio scendevano solo le lacrime, in quel momento si girò mio padre e vedendo che ero diventato tutto viola in faccia, prese un coltello, lo infilò tra la mia fronte e l’etichetta e la taglio. Non potete capire il sollievo di togliere quella trappola mortale dalla fronte. Mia sorella, rendendosi  conto della cosa mi chiese scusa, mi riempi di baci e mi coccolò per  tutto il resto della giornata.
La giornata ormai stava per  finire, tornammo a casa mentre le bottiglie di pomodoro restavano a cuocere tutta la notte fino l’indomani quando papà sarebbe tornato all’orto per recuperarle…  a casa praticamente avevamo la passata di pomodoro per un intero anno.


7  GLI INVASORI

Nel quartiere c’è un cortile dove si  parcheggiano le macchine di tutti gli abitanti, accanto vi è un grandissimo parco giochi per i bambini con altalene,  dondoli, scivoli, casette e un campo di calcio bellissimo in erba con attorno ad esso la pista di atletica dei 400 metri.

Tutti i sabati e domeniche in Trekka venivano gruppi peruviani e rumeni  portando cibo e bevande in quantità… si accampavano nel parcheggio per due giorni con roulotte e macchine. In quei due giorni, facevano tornei di calcio tutto il giorno, facendo caciara e un sacco di macello, litigando tra di loro, ubriacandosi e lasciando tutto il parco sporco con pattumiera, sporcizia e bottiglie di birra rotte in ogni angolo. Con tutti quei vetri e la sporcizia che vi era, per noi bambini era praticamente impossibile andare a giocare nel parco, perché c’era il rischio di farsi male.
Ovviamente i nostri genitori erano furiosi di questa situazione, non potevano portarci giù a giocare, e non potevano portare giù i cani perché alcuni di essi  si erano tagliati sotto le zampe, il parco era praticamente impraticabile  per quei due giorni.
Così,  tutto il quartiere si recò in caserma dai carabinieri spiegando la situazione,  erano stanchi di tutto ciò. Le forze dell’ordine sentendo i fatti esposti  andarono a  parlare con quei gruppi di peruviani e di rumeni, dicendo  che non potevano fare tutto quel casino, non potevano  lasciare  pattumiera  e bottiglie  di vetro rotte all’interno del parco,  visto che era un parco giochi per bambini e animali, dicendo loro che se continuavano avrebbero dovuto prendere provvedimenti seri  facendo verbali  e multe.
La situazione col passare dei giorni e dei mesi non cambiava, ogni sabato e domenica era sempre la stessa cosa. Così tutto il quartiere, stanco di quella situazione tornò a lamentarsi in caserma dicendo che se la situazione non sarebbe cambiata ci  avrebbero pensato loro.
Una sera,  tutti gli abitanti della Trekka  si diedero appuntamento alle rotondine[1]  giù in cortile. C’eravamo praticamente  tutti, piccoli, grandi, femmine, maschi: tutta quanta la Trekka era  riunita. Un’ intero quartiere che univa le sue forze per farsi rispettare: un vero spettacolo! Quasi  400 famiglie,  ci recammo tutti quanti in Piazzo Video,  due minuti  a  piedi dai nostri palazzi. L’orologio segnava  le otto di sera, i  genitori  con le macchine, i ragazzi più grandi con moto e motorini,  gli altri con biciclette e noi bambini  a piedi.  Bloccammo tutte le strade di via Mecenate con macchine, moto, bici e noi piccolini tutti seduti sulle  strisce pedonali, in modo da non fare passare neanche una bicicletta. Quei gruppi dI peruviani e i rumeni erano all’interno del parco  a  giocare e a fare  baldoria. Praticamente ci eravamo impadroniti della zona, formammo una coda di macchine atroce. Tutti suonavano, minacciavano  di venirci addosso  fermandosi  con le loro macchine a due dita da noi;  ma nessuno di noi aveva paura, nessuno di noi si alzava dalla strada, e quando scendevano dalle macchine e minacciavano di picchiarci e spostarci a forza, intervenivano i ragazzi più grandi rifacendoli  salire in macchina.
Dopo circa un’ora e mezza  fermi immobili a far valere i nostri diritti con striscioni, canzoni e urla,   la voce del casino che stavamo  combinando arrivò in caserma,  subito  tutti i carabinieri si precipitarono  li, per  cercare di capire e tranquillizzarci. Ma nessuno di noi aveva intenzione di farla  finita, visto che i carabinieri fino a  quel giorno non avevano fatto nulla per cambiare la  situazione. Alle  dieci trovammo un accordo  con le forze dell’ordine,  dovevamo riportare la normalità  perché rischiavamo sanzioni, in cambio loro si sarebbero occupati di far sparire  “gli invasori” per sempre dal nostro quartiere. Promesse fatte, accordo  raggiunto, tutti uniti tornammo  a  casa  per  vedere se sarebbe cambiato qualcosa. Il fine settimana era così finito; “gli invasori” se ne andarono e il parchetto era di nuovo nostro  anche se era  tutto  sporco, pieno di bottiglie di birra  e di  vetri,  ma  loro non c’erano più! 
Le vacanze  estive per noi  bambini potevano continuare.

Purtroppo la pace  durò troppo poco… arrivò un nuovo fine settimana e con lui tornarono “gli invasori” per un altro weekend di caciara!
A  quella visione, scoppiò  ancora  il  finimondo. I carabinieri  non avevano risolto nulla, bisognava intervenire! Erano le quattro di pomeriggio, quando  tutta  la Trekka  si riunì di nuovo giù alle rotondine. Bisognava prendere una decisione, fare qualcosa per  far  finire tutto ciò e salvare il nostro quartiere.
Parla, discuti, confrontati, soluzione trovata... stava per scoppiare la guerra!
Tutti i maschi del quartiere, genitori e ragazzi, si erano  dati appuntamento alle dieci; quando scendeva il buio più profondo.  Mamme, ragazze e bambini, chiusi in casa. Detto fatto tutti a casa per cena  mentre “gli  invasori” facevano baldoria giù nel nostro  parco, alle nove e mezza  tutti radunati intorno alle rotondine!
Alle dieci esatte cominciò il putiferio: sembrava di essere  nel  Bronx, i maschi della Trekka  scesero tutti  muniti di bastoni, mazze  di ferro  trovate  per terra, qualsiasi cosa che potesse fare male. Pronti e via tutti al parchetto contro “gli invasori”!
Partì la grande guerra, botte da orbi, gente che scappava e correva,  gente  per  terra  piena di sangue mentre,  tutte le  donne affacciate  alla finestra erano  preoccupate per ciò che stava succedendo. Ad un certo punto, anche i carabinieri capirono ma soprattutto sentirono,  quello che  stava accadendo. Uscirono tutti per intervenire  e ci fu il fuggi-fuggi  generale;  in meno di dieci minuti  in  tutto il parco non vi era rimasto nessuno! Solo un gran caos per terra: mazze, spranghe, pattumiera, bottiglie rotte, scarpe, pezzi di vestiti. Di persone non ve ne era più traccia né di “invasori”, né di gente della Trekka: si erano spostati tutti in altre zone.
Il tempo passava, tutti a casa mia  eravamo preoccupati perché  mio fratello non rientrava. Mio padre era  al lavoro, non sapendo nulla di ciò che era accaduto. Angela ci mise a letto tranquillizzandoci, e poi si mise a letto anche lei. A mezzanotte, sentimmo  dalla cameretta, gente che stava tornando... noi ci svegliammo subito  affacciandoci, e girandoci a guardare il letto di Marco. Non  era ancora tornato!
Corremmo  a  svegliare Angela, ci preparammo velocemente  e scendemmo per cercarlo preoccupati. Finalmente  lo vedemmo tornare. Erano scappati tutti sotto il ponte dove passava il treno, ad inseguire un gruppo di “invasori” che si erano chiusi in una macchina, i ragazzi della Trekka avevano completamente distrutto la macchina.
Nei giorni successivi in Trekka  si respirava tensione e paura per quello  che era accaduto,  per i provvedimenti  che i carabinieri avrebbero preso. Ma poi fu messo tutto a tacere e di quella storia non si seppe più nulla.   


[1] si chiamano così perché sono due rotonde piccole unite tra  loro  a  forma di otto dove all’interno vi sono situati due alberi

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