giovedì 19 marzo 2020

CAPITOLO 8, CAPITOLO 9


8  L’ORTO: LA SUA VITA

Come ogni  mattina papà iniziava il suo giro quotidiano:  sveglia alle cinque  del mattino, prendendo il  cane (che aveva in casa) Birillo, un Yorkshire, con  destinazione orto  per dare da mangiare agli altri cani, raccogliere le uova delle  galline, bagnare le piante, raccogliere la frutta e la verdura  già pronta. Fatto ciò si recava al mercato della carne  per prendere  da mangiare, tornava  a casa per le dieci e preparava  la colazione per noi,  una volta  fatta  colazione noi prendevamo e scendevamo nel quartiere  a  giocare, mentre Angela puliva  casa prima di andare a  lavorare e lui preparava il pranzo per tutti.
Una  volta finito  papà  e Angela  andavano al lavoro, lei la mattina lavorava  in una stireria e il pomeriggio invece  puliva  la  casa di una signora,  invece papà  lavorava in un  ristorante.  L’ora di pranzo era fissata per  l’una, l’ora che tornava a casa Angela. Ovviamente Camilla, che era la  più  grande, doveva occupasi di noi piccoli e quindi salire a casa per mezzogiorno e preparare la tavola. Finito il pranzo  un riposino per tutti  fino le tre, ora che Angela tornava al lavoro, mentre Camilla  ci faceva  fare i compiti  prima di scendere  ancora in cortile a giocare.
Alle tre invece rientrava  papà  che  si metteva nel letto  fino le sei per poi tornare al lavoro, e far rientro a casa a  notte fonda.
Questa era  la  giornata  tipo  della  famiglia  Pepe.

Quando invece papà  era di riposo, ci  portava in piscina, al cinema o al lunapark. Dopo cena  scendevamo  un po’ a giocare in Trekka,  fino alle dieci perché poi avevamo l’ordine di salire perché diventava  buio,  poi a letto per la fiaba serale e ninna.

Una volta  verso le tre di notte squillò il telefono, erano i carabinieri che ci chiamavano per comunicarci che qualcuno aveva bruciato l’orto di papà!
L’orto di mio padre purtroppo era posto vicino ad una baraccopoli, e molte volte loro ci facevano  scherzi, rubando e rompendo tutto quello che trovavano. Una  volta  addirittura  mentre  eravamo  tutti  al’interno, ruppero il vetro posteriore della  nostra  macchina, ovviamente mio padre sapeva  chi era  stato perché con gli anni, dovendo vivere con loro, li aveva  conosciuti tutti. Quel giorno andammo dai carabinieri per sapere se si poteva fare qualcosa per impedire queste cose ma loro dissero che non potevano fare nulla. Non potevano cacciarli. L’unica soluzione era che mio padre, abbandonasse il suo orto e trovasse un altro posto dove farlo. Ovviamente lui, non accettò assolutamente l’idea di rinunciare a tutto quello che aveva costruito, la sua seconda casa, piuttosto conviveva con loro.
La mattina successiva all’incendio andammo all’orto prestissimo con i carabinieri per  vedere cos’era rimasto della nostra seconda casa! Una  visione orrenda, raccapricciante, era bruciato tutto, non si poteva  salvare nulla, i cani purtroppo erano bruciati dentro, solo uno era riuscito a salvarsi scappando, il Collie, ma non riuscimmo  più a trovarlo. Mentre gli altri purtroppo erano tutti morti e non vi era rimasto più nulla, bisognava  ricominciare tutto da capo.
Mio padre era arrabbiatissimo per tutto ciò, perchè essendo  un orto  abusivo  non poteva  neanche prendere un risarcimento, nè pretendere che gli abitanti di quella baraccopoli ripagassero tutto o se ne andassero. Per lui era come se era bruciata la sua casa, la sua vita.

Un napoletano doc non si arrende davanti alle piccole difficoltà, così decise lui di cambiare zona in modo da non avere più problemi. Una volta trovata  la zona  si rimboccò le maniche; ricostruendo tutto. In pochi anni,  papà riuscì a mettere in piedi un altro orto, magari non grosso come il primo… non vi erano più: galline, box per la macchina, capanno con cucina, camera, sala…  non c’era nulla di tutto ciò però la cosa più importante era che aveva ricreato la sua seconda  casa, la sua vita  con piante, ortaggi, baracca  per  gli attrezzi, dependance  per sedersi e rilassarsi. Ero orgoglioso di lui!


9  LITE TRA FRATELLI

Qualcosa stava per cambiare nella vita della famiglia Pepe. Un giorno avvenne quello che nessuno si sarebbe mai aspettato, la grande decisione del giudice minorile! 

Vacanze finite, bisognava  fare rientro a Busto  ma il giorno prima della partenza, ero andato dagli  assistenti sociali di Milano che, come ogni volta  alla fine di ogni incontro, mi fecero la solita domanda: “Con chi vorresti passare il resto della tua vita?”  E la risposta, ovviamente essendo lì con i mie fratelli e mio padre, era scontata: ”Con mio padre e i miei fratelli!”
Io però prima di arrivare a Milano per le vacanze, come sempre il giorno prima di partire, ero andato dalla  dottoressa Toni, e anche lì, come ogni volta alla fine dell’incontro, la solita  domanda: “Con chi vorresti passare il resto della tua vita?” Ovviamente essendo a Busto con gli zii, la risposta era diversa , quella  volta infatti risposi: “A Busto con lo zio e la zia!” 
Troppa confusione nella testa del ragazzo! Io non sapevo che con questa risposta stavolta qualcosa stava cambiando, non sarebbe stato più come prima.

L’indomani partirono tutti: papà, Angela, Camilla, Marco, Sofia e io in direzione di Busto Arsizio perché il  giorno precedente la dottoressa Toni aveva contattato papà e gli zii dandogli appuntamento in sede, dicendo loro che ci dovevano essere tutti.
Così fu! Noi  ragazzi, rimanemmo a giocare nel parchetto sotto osservazione di un assistente sociale, mentre papà  e gli zii erano dentro a colloquio con la dottoressa. Il tempo passava e nessuno usciva dalla sede, ad un certo puto il telefono del collaboratore squillò: era la dottoressa Toni che lo chiamava, dicendo di portarci dentro.
Tutti seduti  a rapporto, la dottoressa  iniziò a parlare, ed ecco, quello che nessuno si sarebbe  mai aspetto: “Essendo ormai passati tanti anni da tutta questa situazione e, non essendo mai riusciti a trovare una decisione definitiva di affido del bambino, vedendo che Gianluca appare sempre confuso nella sua decisione con chi passare il resto della sua vita, non riuscendo a capire a chi vuole essere affidato; noi assistenti sociali di Busto Arsizio, confrontandoci con gli assistenti sociali di Milano, e sottoponendo il dossier  al giudice minorile;  noi ma soprattutto lui ha  deciso per il bene  del  piccolo, in modo che non debba più essere  costretto, a  continui  controlli ed incontri, con noi. Perciò, il giudice minorile ha così deciso: ‘Gianluca sarà  ufficialmente  affidato alla custodia dello zio, Alfonso, e della zia, Maria, fino al diciottesimo anno di vita. Una volta che sarà diventato maggiorenne, e in grado di prendere una decisione definitiva  per il suo futuro, la scelta spetterà a lui”.
Alla lettura di quella sentenza, un momento di silenzio in aula… lacrime da parte dei fratelli e tristezza  nel mio cuore per ciò che aveva sentito. Nella mia testa iniziarono a passare milioni di pensieri, pensando che era colpa mia se erano giunti a quella decisione. Tutti quegli anni di tentennamenti e incertezze,  non ero  mai riuscito a decidere con chi stare! Ovviamente gli zii erano contenti per quella decisione, perché ormai visto come un figlio per loro, mentre mio  padre cercava inutilmente di opporsi alla  sentenza; quello che era deciso non si poteva più cambiare.
Da quel momento sarebbe cambiato tutto! Papà aveva avuto la possibilità di continuare a vedermi  nei weekend  e nelle festività,  invece per quanto riguardava la scuola e i giorni di crescita, dovevo passarli con gli zii.

Le vacanze natalizie arrivarono e finirono in fretta  era  già ora di tornare a Busto. Mio padre quel giorno decise di portarci col camion che usava per andare nell’orto. Una volta arrivato sotto casa lo fermò un vigile che stava per fargli un verbale con una multa  salatissima, spiegandogli  che non poteva  portare in giro persone nel cassone del furgone, non essendo  omologato. In quel momento passò  lo zio che, parlando col vigile visto che lo conosceva riuscì  a  fargli  chiudere  un occhio,  quindi niente multa.
Arrivati sù in casa partì una discussione tra mio zio e mio padre essendo due napoletani orgogliosi, lo zio diceva che doveva ringraziarlo per ciò che aveva fatto, mentre  papà  ribatteva che se la sarebbe cavata anche senza il suo aiuto. La  discussione sembrava non aver tregua tirando fuori così anche il rancore per il fatto che io fossi stato  affidato a loro e non a lui.
Ad un certo punto la  lite  degenerò, così che papà  prese i miei fratelli e se ne tornò a Milano. Da quel giorno le cose cambiarono. Zio e papà non si parlavano più! Nonostante questo le visite di papà  erano frequenti,  ma  lui non saliva più in casa a prendermi ma, mandava i mie  fratelli a recuperarmi o mi facevano scendere e loro mi aspettavano giù.
Questa litigata  durò  per moltissimi anni causando anche l’esclusione di mio padre e dei miei  fratelli, a ricorrenze che per un bambino devono essere i giorni più belli della sua vita. Gli zii non volevano assolutamente che papà  fosse presente alla mia comunione; tanto che vennero solo invitati in chiesa ad assistere alla celebrazione, ma non  al ristorante per passare la giornata tutti insieme. A comunicare questa decisione alla famiglia  dovevo ovviamente  essere io come ogni volta, provocando così in loro molta rabbia, dando tutta  la colpa a me.
Tutto ciò provocò a sua volta reazioni a  catena cioè mio padre,  nelle vacanze veniva  si a prendermi a Busto Arsizio per portarmi a casa, ma al momento del rientro non mi riportava più lui indietro, ma bensì erano gli zii che dovevano venire  a Milano a riprendermi, arrivando così a minacce e interpellando di novo assistenti  sociali per il comportamento di  papà. Come al solito a rimetterci ero sempre io, che da quel giorno mi sentii trattato come un pacco postale.



FINE PRIMA PARTE

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