giovedì 13 agosto 2020

CAPITOLO 81, CAPITOLO 82



81  GMG 2011

Il tempo era passato così velocemente che non mi accorsi che in un lampo eravamo arrivati alle vacanze estive, si doveva partire per la Giornata mondiale della Gioventù, destinazione Madrid.
La settimana prima ci trovammo in oratorio per fare degli striscioni. Già nel 2005 avevamo fatto uno striscione che aveva lasciato il segno; eravamo anche finiti sui giornali, sullo striscione c’era scritto ”NON CHIAMATECI PAPABOYS!”.

Il dolore che avevo dentro era troppo grande, non sarebbe mai passato, così decisi di far fare delle magliette personalizzate per quei giorni. Mi feci stampare due maglie con due foto diverse di me e mio padre, in una scrissi: “Te vogghio bene nunt’o scurdà!”[1] e sull’altra feci scrivere: “Usque ad finem”.[2]
In più dovevo lasciare il segno come sempre, avevo deciso di farmi i capelli rossi. 
Era tutto pronto per la partenza, la mattina zaino in spalla tutti in aeroporto per prendere il volo direzione Segovia. Ora poteva iniziare il nostro pellegrinaggio. Furono giorni pesantissimi e stancanti, tutti i giorni  camminavamo per circa  30 chilometri, si partiva la mattina alle cinque  -tra l’altro faceva un freddo pauroso, quindi tutti con le felpe, due ore dopo iniziava il caldo straziante. Ovviamente non riuscivamo mai a stare tutti in gruppo perché ognuno aveva il suo passo quindi c’era chi arrivava prima a destinazione e chi arrivava dopo,  comunque  ci mettevamo sempre intorno alle dieci/ undici ore di cammino. Quando arrivavamo nei luoghi dove dovevamo passare la notte eravamo tutti stremati. Alcuni, anzi molti, avevano anche le fiacche sotto i piedi. E pensare che prima di partire, mi avevano convinto a comprare gli scarponcini da montagna dicendomi che se usavo quelli non avrei avuto il problema di fiacche. Meno male che alla fine feci di testa mia e partii con le Nike. Loro con gli scarponcini e le fiacche, io con le Nike e senza fiacche!
I primi sette giorni passarono così tra cammino, palestre, scuole, risate, pranzi cucinati dalla PT, ovviamente c’era gente che in quei  giorni si era arresa perché non ce la faceva più a camminare avendo dolori alle gambe, ai piedi, alle ginocchia quindi per quelle persone c’era  appunto la PT, che li portava da un campo all’altro. Io fortunatamente fino l’ultimo giorni non ebbi problemi, riuscendo  a farmela quasi tutta. Quasi perché saltai proprio l’ultima tappa, forse la più bella: l’arrivo a Madrid, purtroppo il mio ginocchio aveva ceduto.
Una volta arrivati a Madrid andammo nella palestra che avremmo diviso con gli altri ragazzi delle diverse parrocchie, ogni gruppo aveva la sua zona per dormire ma era un degenero assurdo;  circa 300 persone dentro una palestra. La sera, prima di dormire ogni gruppo si ritrovava per pregare, finita la preghiera tempo libero per un’oretta dove riuscivo a rilassarmi un po’ con Rebecca e poi si andava a letto. Io dormivo  vicino a Gennaro e con gli altri compagni  prima di dormire lo obbligavamo a raccontare una barzelletta, iniziando a gridare: “Gennaro la Barzaaaaa!” Tutti scoppiavano a ridere e lui doveva raccontarla per  forza altrimenti noi lo torturavamo e non lo facevamo dormire. Per chi conosce Gennaro, sa che le sue barzellette non hanno nessun senso e sono veramente brutte. Noi proprio per quello ce le facevamo raccontare perché ridevamo sulle stupidate che ci diceva, così alla fine si rassegnava, e ogni sera ce ne raccontava una. Finita la barzelletta potevamo dormire.
La mattina dopo si andava a fare la catechesi nelle chiese assegnate, per la preparazione all’incontro col Papa, noi tutti eravamo stravolti dal pellegrinaggio e la usavamo per dormire. Arrivò il giorno dell’incontro col Papa, avremmo passato due giorni in un ex aeroporto militare per aspettare la Messa domenicale. Anche lì ogni gruppo era diviso a settori, una volta raggiunto il nostro posto, e preparato l’accampamento, come successo nel 2005 ognuno poteva fare quello che voleva l’importante era essere lì per la cena e insieme per la preghiera.
Io, Carlo, Vittorio e altri ragazzi andammo in giro a fare conoscenze con persone di altri popoli, scambiandoci qualsiasi cosa per avere un ricordo. In quell’aeroporto  faceva un caldo allucinante, tanto che in mezzo ai settori passavano i pompieri con le camionette e con l’idrante e cominciavano ad innaffiare tutti, ovviamente tutta la gente, correvano sotto il getto dell’acqua cercando di rinfrescarsi e cantando a squarcia gola: ”Il pompiere paura non ne ha!”.
 Un altro ricordo che non dimenticherò mai, è che ad un certo punto Rebecca doveva andare in bagno solo che i bagni erano dalla parte opposta rispetto a dove eravamo noi, quindi l’accompagnai. Al ritorno ci fermammo nell’aria attrezzata per prendere due casse d’acqua per tutto il gruppo e ci dirigemmo verso il nostro settore. In quel momento stava per arrivare il Papa quindi tutti i volontari non potevano far passare nessuno, noi eravamo rimasti chiusi proprio di fronte al nostro settore tra un macello di gente. Col fattore che faceva caldo e la troppa gente che c’era intorno a noi, Rebecca iniziò a sentirsi male. Così mi rivolsi a un volontario dicendogli  gentilmente: “Ascolta siccome ho due casse d’acqua, e la mia ragazza non sta bene mi faresti per favore passare, devo andare lì di fronte nel mio settore!” Gli feci vedere anche il pass ma lui mi rispose:  “Mi spiace ma abbiamo l’ordine di non  far   passare nessuno!” Il fatto era che gli avevo chiesto di andare di fronte e non chissà dove, in più il Papa era da tutt’altra parte, Rebecca  stava  sempre peggio, le mancava l’aria, così mi si chiuse la vena. La presi, presi le due casse d’acqua e cercai di passare, solo che lui mi respinse dentro. A quel punto gli tirai uno spintone facendolo cadere, arrivò subito un altro ragazzo della sicurezza a vedere cosa stava succedendo, spiegai a lui cos’era successo, gli feci vedere che Rebecca stava male e ci accompagnò lui nel nostro settore facendoci le scuse.
Una volta che il Papa arrivò sull’altare che avevano allestito, iniziammo a fare una preghiera e prima di andarsene diede l’appuntamento  al giorno dopo per la Santa Messa. In quel momento iniziò a piovigginare. Essendo in un ex aeroporto militare, quindi tutto aperto,  non  vi erano ripari. In pochi minuti eravamo tutti fradici, anche i sacchi a pelo che avevamo per dormire. Il panico iniziò a dilagare c’era chi diceva di lasciare il campo ed andarcene al coperto, chi invece come me diceva di rimanere perché  dopo tanta fatica era inutile andare via per quattro gocce. Alla fine  vinse la maggioranza che diceva di rimanere, dormimmo tutta notte al freddo e bagnati, il giorno dopo ci stavamo ammalando tutti. Una volta finita la Messa era finita anche la Giornata Mondiale della Gioventù, si poteva lasciare l’aeroporto  per poi tornare a prendere l’aereo che la mattina successiva alle otto ci avrebbe riportati a casa.
O meglio il resto del gruppo avrebbe preso l’aereo per tornare a casa, perché io e Rebecca dopo dieci giorni di fatica ci aspettava  finalmente una settimana ad Ibiza con i suoi genitori. Dal pellegrinaggio religioso al divertimento assoluto o almeno pensavamo fosse così. Passammo tutta la notte in aeroporto cercando di  ammazzare il tempo con risate, riassunti della vacanza  finchè alle due ci mettemmo a dormire. Alle cinque io e Rebecca salutammo quelli svegli e andammo a prendere l’aereo direzione Ibiza. Una volta arrivati ad Ibiza la prima cosa fu una bellissima doccia, e poi il primo giorno direzione letto, finalmente un materasso, delle lenzuola e il cuscino. Dormimmo tutto il girono. Gli altri giorni ci eravamo ripromessi di ammazzarci di divertimento, discoteche, bar, mare, vita notturna, infondo eravamo ad Ibiza, l’isola della trasgressione. Ma ogni sera dopo aver cenato con i genitori, gli zii e Angelica, facevamo solo un giro  nei baretti, bevevamo qualcosa e poi dritti a casa. Il motivo era semplice, primo le discoteche costavano 80 euro senza consumazione, e secondo perché avevamo sonno arretrato arrivando la sera stanchissimi. Alla fine fu una vacanza solo rilassante, quella settimana passò così velocemente che non facemmo neanche in tempo a gustarcela; l’unica cosa bellissima che ricordo fu la gita sul catamarano (una barca) che ci portò in giro a vedere le spiagge più belle del posto, le grotte i pesci. Avremmo dovuto aspettare l’anno prossimo per gustarci un’altra vera vacanza!


82  CANTONOVO

Una volta finite le vacanze estive e tornati a casa, scrissi come sempre l’articolo su CantoNovo riguardante la magnifica esperienza fatta a Madrid e come titolo misi proprio  “Usque ad finem”… la scritta con cui avevo fatto la maglietta di mio padre.

“Partiti con molta paura per un lungo pellegrinaggio che ci aspettava (da Segovia a Madrid a piedi per circa 28 chilometri al giorno), i posti dove dormire (in 500 in palestre) e con solo uno zaino in spalla, dove doveva esserci dentro solo il necessario per cambiarsi… siamo partiti per la Giornata Mondiale della Gioventù. Durante i giorni trascorsi lungo il pellegrinaggio, trascorrendo 24 ore su 24 insieme, si è formato un legame unico, forte, immenso… Tra fatica, fiacche, dolori muscolari, dove ci aiutavamo tutti siamo così giunti alla meta (4 Vientos)  per l’incontro col Papa, ma soprattutto col Signore.
Preparato il posto dove avremmo passato la notte, ci si è messo anche il maltempo! Tra disagio, nervosismo e tensione non ci siamo arresi e siamo andati avanti FINO LA FINE. Da questa vacanza mi porto a casa dieci giorni fantastici, meravigliosi con persone che non conoscevo ma con le quali ho legato moltissimo; altre che ho imparato a conoscere persone a cui mi sono affezionato molto e  che porto nel cuore.
Un ringraziamento speciale va alla PT (pattuglia tecnica) che ha pensato a tutto il nostro pellegrinaggio, dalle mete da raggiungere alla nostra sopravvivenza con cibo e luoghi dove passare la notte; grazie ovviamente alle nostre tre colonne portanti che ci hanno aiutato nella preghiera e nei momenti di sconforto: Don Alberto, Don Gabriele e Fra Raffaele. 
Un ringraziamento col cuore a tutto il gruppo di San Filippo, persone veramente speciali. Siete nel mio cuore. Alla prossima avventura!”

Dopo questo articolo decisi che anche mio padre doveva trovare spazio sul mio corpo, volevo assolutamente scrivere quella frase che mi aveva accompagnato per tutta questa avventura, ma dovevo trovare un disegno significativo da aggiungere. Un giorno in cui mi trovavo a Santa Maria Maggiore con Rebecca sotto un cielo stellato, vidi una stella che brillava più delle altre, mi ricordo che guardai Rebecca e le dissi: “Vedi quella stella che brilla più delle altre, quello è sicuramente mio padre!” 
Disegno trovato, decisi di disegnarmi su tutto il braccio un celo stellato e tra queste vi era una stella più grande dove al suo interno ci scrissi questa frase: “Usque ad finem in corde meo!”[3]
 


[1] napoletano, tradotto “ti voglio bene non te lo scordare”
[2]latino, tradotto “fino la fine”
[3] Latino, tradotto “Fino la fine nel mio cuore”

Nessun commento:

Posta un commento

 ARIA DI PRIMAVERA di Valentina Bottini Una nuova forza vitale ritorna in me. Una frizzante arietta soffia tutt’intorno. Voglia di f...