giovedì 7 maggio 2020

CAPITOLO 37, CAPITOLO 38, CAPITOLO 39



37  PERDITA DEL LAVORO

Al lavoro oltre al capo, avevo due colleghi Giuseppe, che diciamo era la pecora nera della ditta ma era un amico dello zio, e Rino. Ormai erano già quattro anni che lavoravo come fabbro, e con Rino in tutto quel tempo era nato un bellissimo rapporto.  Ci divertivamo tantissimo insieme al lavoro, parlavamo tanto, mi faceva sfogare e molte volte mi faceva crescere aiutandomi con consigli, mi trattava come un fratellino. Io e lui non avevamo un bel rapporto con Giuseppe, perché lui ne combinava sempre una quindi gli stavamo un po’ lontani… Giuseppe non aveva rispetto di nessuno pensava solo a se stesso.

Ricordo che erano le nove del mattino e una volta io e lui litigammo di brutto, arrivò a spingermi e a mettermi quasi le mani addosso, io gli dissi di colpirmi se aveva il coraggio ma lui prese, uscì e andò a chiamare il capo. Io dal nervoso presi un pezzo di ferro scagliandolo per terra, Rino mi spiegò che non era intervenuto altrimenti l’avrebbe aperto in quattro. Arrivato il capo gli spiegammo l’accaduto e mise tutto a tacere.
Tornando a casa non mangiai dal nervoso, la zia e lo zio vollero sapere cos’era successo, ma io non volevo preoccuparli. Avevamo già così tanti problemi in casa! Alla fine gli raccontai tutto e feci promettere a mio zio che non sarebbe intervenuto conoscendo Giuseppe, ma nel pomeriggio quando io andai al lavoro arrivò anche mio zio che voleva parlare con lui. Ci fu una specie di riunione tra me, il capo, Giuseppe e lo zio. Chiarito l’accaduto tornò a casa ma io ero infastidito perché lo zio aveva già i suoi problemi, mi sentivo in colpa. Da quel giorno con Giuseppe le cose degenerarono, io e Rino non uscivamo più con lui a posare i lavori, e lui ogni volta mi faceva gli scherzispostandomi i vestiti, mi spostava il motorino, mi sgonfiava le ruote, me lo ingolfava. Fin quando un giorno non ce la feci più ed esplosi, tanto da arrivare al faccia a faccia con lui. Ci stavamo per picchiare, io avevo diciotto anni lui quaranta, ma dalla rabbia che avevo sicuramente sarebbe finita male. A quel punto intervenne il capo ma io, dal nervoso, mandai tutti a quel paese e mi licenziai andandomene a casa. Rino ci rimase molto male perché invece di mandare a casa Giuseppe e fermare me, aveva fatto il contrario!
Gli zii vedendomi tornare a casa prima del dovuto, capirono subito che le cose erano degenerate e conoscendomi bene, sapevano che mi ero licenziato. Il problema era che eravamo quasi sotto le vacanze estive, avevo diciotto anni e doveva arrivarmi la cartolina del militare: trovare un nuovo lavoro in quel momento  sarebbe stata dura.
Mi sentivo in colpa così mi diedi subito da fare, ma come non detto esattamente una settimana dopo arrivò a casa la cartolina del militare. A settembre dovevo presentarmi in caserma per fare i tre giorni. Io non volevo andare assolutamente al militare, non volevo allontanarmi dagli zii. Dovevo trovare una soluzione per saltarlo, così parlai subito con qualche mio amico per cercare un rimedio, l’unica cosa che potevo fare era trovare un lavoro per dimostrare che ero l’unico a portare a casa i soldi,  quindi essendo sostegno famigliare mi avrebbero esonerato. Si rilevò difficilissimo, nessuno voleva rischiare di assumere un ragazzo che sarebbe potuto partire a novembre per il militare.
Lo zio da una parte era contento, perché almeno poteva occuparsi della sua malattia senza dover pensare a me che ero senza lavoro, la zia invece era molto triste perché non voleva lasciarmi andare, però io non potevo farle vedere che ero triste perché si sarebbe depressa, quindi gli dicevo sempre: “Massì cosa vuoi che sia, starò lontano solo undici mesi poi torno!” Ma in cuor mio invece ci stavo malissimo. Però lei si  sentiva più tranquilla  perché pensava l’avessi presa bene.

L’estate sempre più vicina, iniziavo a perdere le speranze di poter trovare un lavoro, così mi rassegnai e visto che era ormai giugno parlai col prete per poter fare l’oratorio feriale. Intanto lo zio voleva andare al mare al paesello perché aveva paura di non poterci più tornare, ma la zia non voleva perché non accettava l’idea che lo zio si mettesse a guidare ed affrontare un viaggio così lungo nelle sue condizioni.
Finito l’oratorio feriale la zia mi disse di andare tranquillamente in vacanza che allo zio ci avrebbe pensato lei, l’oratorio come ogni anno organizzava le vacanze estive insieme, io non c’ero mai andato. Quell'anno il Don mi convinse a fare la vacanza estiva con loro a Folgaria, io accettai subito perché ci andavano tutti i miei amici di oratorio e di compagnia.


38  VACANZE IN VISTA

Il Don chiese a me e a Vittorio, un mio amico, di partire quattro giorni prima con due genitori -che avrebbero fatto i cuochi durante il nostro soggiorno- in modo da preparare le stanze per il resto del gruppo. Io e lui  accettammo. Una volta arrivati a Folgaria, ci mettemmo subito al lavoro per preparare la casa per tutti i nostri amici, ci divertimmo un macello.
Una volta arrivato il resto del gruppo poteva iniziare la vacanza; fu uno spasso unico, ne combinavamo sempre una  facendo anche disperare qualche volta il prete. Il Don fece le stanze, io ero capitato in camera con Mattia, Gennaro, Vittorio, Andrea, una delle camere più casiniste perché facevamo a gara con la camera di fronte che era composta da Renato, Maurizio, Carlo, Giovanni e Massimiliano.
La giornata tipo era: sveglia alle sette con la musica “a palla” che metteva il nostro educatore Pietro (il primo giorno dallo spavento caddi anche dal letto a castello, meno male che sotto c’era il letto di Gennaro che ammortizzò  il colpo,  però finii addosso a lui). Una volta svegliati, lavati e pronti, alle otto lodi mattutine fino le nove, poi  tempo per fare i compiti per chi studiava  ancora, mentre gli altri giocavano nel parco della villa. A mezzogiorno il Don ci aveva diviso in tre squadre: ogni squadra aveva i suoi compiti, a rotazione si preparava la tavola, si serviva al tavolo, si  sparecchiava e si puliva. Naturalmente  vi era un punteggio, io e Vittorio chiaramente eravamo nella squadra più casinista del gruppo. Il pomeriggio c’era la  preghiera pomeridiana, il gioco insieme e alle quattro si andava tutti in centro a mangiare il  gelato, poi tempo libero fino le sei e mezza  dove, si rientrava e si facevano i vesperi. Finito ciò le squadre preparavano per la cena. Una volta finita la cena, la serata era libera; andavamo in centro dividendoci nei bar e in sala giochi per poi rientrare alle undici per  la  preghiera, poi tutti a letto.  Questa era la   giornata tipo!
Anche in vacanza naturalmente, c’erano i primi inciuci, i primi amori estivi; io corteggiavo Viviana una bellissima ragazza bionda, occhi chiari, fisico mozzafiato, niente male. Ma nello stesso tempo, mi venivano dietro altre due ragazze di nome Bruna e Stefania; erano gelosissime l’una dell’altra, gli sguardi che si lanciavano erano di fuoco e io mi divertivo a vedere tre ragazze che mi contendevano. Alla fine mi ero deciso, avevo  scelto di mettermi  insieme a  Viviana, ma lei  si era stancata di questa  situazione e aveva baciato un altro ragazzo, Alfio, così io ci rimasi male e alla fine non mi misi insieme a nessuna delle tre.
Un episodio che ricordo bene, e che fece arrabbiare tantissimo il Don fu che come ogni volta ci eravamo divisi in gruppo, uno di questi andò in un bar e alle undici tornò a casa;  l’altro gruppo andò  in una piccola discoteca, ovviamente io e i più casinisti facevamo parte di questo gruppo. Ci dimenticammo di guardare l’orologio, tornando  a casa a mezzanotte. Il Don, con il resto del gruppo era nel salone che ci aspettava per la preghiera, noi cercammo subito una scusa da raccontagli  ma appena entrammo lui ci fulminò con lo sguardo e ci disse: “Adesso sedetevi in silenzio e il primo che fiata stasera dorme con me, finita la preghiera a letto e non voglio sentire fiatare nessuno!” Si, perché noi la sera facevamo sempre macello e non dormivamo prima dell’una.
La vacanza purtroppo giungeva alla fine, gli ultimi due giorni ricordo che furono i più spettacolari. Dopo la sveglia e la preghiera, un giocone insieme tipo guardie e ladri ma nei boschi come Rambo, poi finito quello un altro gioco, era il gioco dei numeri (praticamente tu avevi una targhetta in testa con scritto dei numeri, e dovevi coprirli  usando qualsiasi cosa asfalto, alberi, panchine, cestino, compagni, tutto ma non le mani. Se l’avversario riusciva a leggerti i  numeri, vinceva la  tua targhetta  e tu dovevi andare a prenderne  un'altra. Vinceva la squadra che conquistava più targhette. Finito di giocare ci  aspettava un pranzo speciale preparato dalle cuoche, preghiera e un altro giocone sempre a punti. Gli educatori, usando una collinetta e un telo di plastica,  avevano costruito una parete scivolosa dove buttavano acqua con sapone. Una squadra doveva cercare di salire fino in cima, mentre le altre due squadre le lanciavano gavettoni pieni di acqua e farina addosso; vinceva la squadra che riusciva a far salire più persone in cima. Una volta finito di giocare doccia per tutti perché eravamo conciati da buttare, mentre le cuoche ci preparavano la cena speciale. Finito ciò preghiera, e la sera alle nove caccia al tesoro per tutta la città. Ogni caposquadra,  aveva una radiolina con cui si metteva in contatto con il Don alla centrale, la centrale era la villa.  Dovevamo risolvere gli indovinelli e i giochi preparati dagli educatori, per recuperare gli indizi che servivano a trovare il tesoro. Ricordo che un indizio si trovava dentro un cimitero, la mia squadra era composta da me, Vittorio, Kelly, Fabiana, Stefania e Andrea. Dovevamo entrare nel cimitero, ma avevamo una paura tremenda, era notte, con solo i lumini accesi, terrore sui nostri volti. Io e Vittorio eravamo abbracciati mentre parlavamo con la radiolina al Don dicendo che ce la stavamo facendo addosso, ad un certo punto da dietro un muretto sbucò fuori un educatore vestito di bianco col cappuccio tipo rito satanico, in quel momento ci stringemmo tutti forte e ci mettemmo a gridare mentre il Don dall’ altra parte della radiolina scoppiò a ridere. Dopo aver sorpassato l’ultimo ostacolo del cimitero, tutte le squadre si trovarono nel bosco della villa a cercare il tesoro, purtroppo noi perdemmo.  Finita la serata tutti a letto, inutile dire il macello.
Il giorno dopo invece, sempre dopo  la  solita routine,  alle dieci una messa speciale dove al posto della predica ognuno poteva lasciare un commento, dire due parole sulla vacanza trascorsa.  Al momento dello scambio della pace, invece di stringere la mano come si fa di solito ci scambiammo abbracci. Tutti scoppiammo in lacrime. Una messa spettacolare. Il pomeriggio,  divisi sempre per squadre con ognuno un educatore diverso, noi eravamo finiti con Pietro che ci fece fare un lavoro speciale,  su un cartellone ognuno di noi doveva scrivere i sentimenti provati durante quella vacanza  con sottofondo musicaòe e poi leggerli agli altri… inutile dire che anche ci furono commozione e lacrime per una vacanza spettacolare giunta al termine. La sera  dopo la cena, preparata dai cuochi, il Don aveva preparato una corrida, in pratica ogni persona  doveva creare un gruppo, decidevamo noi se singolarmente o con più persone, e doveva inventarsi qualcosa: giochi, balli, canti, scenette, che poi doveva interpretare davanti al resto del gruppo proprio come una corrida. Io avevo scelto di stare con Massimiliano e Giovanni. Io e Massimiliano cantavamo: “Hanno ucciso l’uomo ragno” degli 883 mentre Giovanni con una cuffia in testa faceva Spiderman, entrando e lanciando la carta igienica come fosse una ragnatela. Finite tutte le esibizioni, tutti davanti al falò a cantare e bere vin brulè… il giorno dopo il rientro a casa  tra lacrime e tristezza per una vacanza finita.


39  COLPO DI FORTUNA

Vacanze finite, rientrato a Busto e subito dovetti partire per i tre giorni di leva.
Sveglia presto, direzione caserma Militare di Milano, io non volevo assolutamente fare il militare… dovevo trovare una soluzione per saltarlo. Qualche giorno prima il papà di Vittorio mi disse che per farmi saltare il militare mi avrebbe assunto a lavorare con lui, aveva un’impresa edile, così io sarei stato l’unico a portare a casa soldi, e quindi sarei stato esonerato come sostegno familiare… ero più tranquillo.

Il primo giorno di visita bisognava fare tutti gli esami di salute necessari, il secondo giorno di visita era previsto il colloquio con il maresciallo e un test di trecento domande, a cui bisognava rispondere con delle crocette. Mi ricordo che le domande erano demenziali tipo:  “Se vedi uno che si taglia le vene cosa fai? Chiami aiuto, lo aiuti tamponandogli la ferita, o lo guardi ridendo?” A leggere quelle domande tutti sorridevamo e ci domandavamo se erano normali, il maresciallo disse che servivano per capire cosa passava nella nostra testa! Fin lì, risultò tutto apposto quindi 80% arruolabile. Il terzo giorno era quello più importante, ti prendevano peso, altezza e impronte digitali, arrivavano gli esiti che confermavano se era tutto apposto e sostenevi il colloquio col medico durante il quale d:ovevi dire se avevi avuto operazioni, allergie, traumi o qualche problema di salute; se il medico ti riteneva idoneo, passavi direttamente dallo psicologo ed eri matematicamente arruolato.
Toccava a me: peso, altezza, esiti degli esami perfetti, impronte digitali… eccomi arrivato dal medico! Mi chiese se avevo allergie, problemi di salute o avevo avuto traumi, io gli risposi che ero allergico al polline e all’erba, fin li tutto apposto quindi arruolabile. Ad un certo punto gli dissi che giocando a calcio all’età di sedici anni avevo fatto una commozione celebrale, lui mi chiese se era solo una scusa per essere scartato, ma io l’avevo fatta veramente, mi chiese se avevo con me gli esami solo che io non li avevo dietro, anche perché risalivano a quando avevo sedici anni, ne erano passati due. Quindi una botta di fortuna incredibile, il medico mi scrisse sul referto: rivedibile. Dovevo tornare l’anno successivo con gli esami fatti, solo che l’anno successivo sarebbe finito l’obbligo del militare e sarebbe diventato facoltativo. Non potete neanche immaginare la gioia, ero riuscito a saltare il militare.
Tornai a casa e raccontando tutto alla zia, anche lei era stra-felice perché non l’avrei abbandonata, andava tutto a meraviglia: militare saltato e potevo iniziare a lavorare con Costanzo!

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