giovedì 5 marzo 2020

CAPITOLO 1, CAPITOLO 2, CAPITOLO 3


1  PRENDI E VAI

“C'era una volta…” tutte le fiabe che si rispettano iniziano così.
Questa  non è una fiaba, è la storia di un napoletano, Armando, che all’età di 16 anni  decise di lasciare la sua città natale, Pagani[1], e di trasferirsi al nord in cerca di fortuna. Salutò la sua famiglia (suo padre, sua madre e i sui sei fratelli e le sue due sorelle) e con la valigia in spalla partì verso il capoluogo lombardo.
Approdato a Milano si diede subito da fare per trovarsi un lavoro e un appartamento dove stare. Iniziò a lavorare come lavapiatti per un ristorante, e col passare degli anni, arrivò il meritato successo; infatti Armando diventò un ottimo cuoco nonostante non avesse frequentato le scuole medie (ma si sa che a quei tempi la pratica era meglio della teoria). Gli anni passavano e, come tutti i ragazzi nell'età dell'adolescenza, lavorava e si divertiva, avendo un certo debole per le ragazze. Ebbe tante avventure, ma alla fine trovò una donna con cui fece i suoi primi tre figli: Siria, Esposito e Carmela.

Le cose però tra i due non andarono a buon fine e le loro vite si divisero: la moglie ed Esposito si trasferirono a San Marzano sul Sarno[2] mentre Carmela e Siria stettero per qualche anno a Milano col padre. Nel frattempo Armando conobbe un'altra donna, Jessica. Sembrava quella giusta stavolta, tanto che Armando e Jessica si sposarono ed ebbero tre figli: Camilla e i gemelli Marco e Sofia.
Le cose sembravano procedere abbastanza bene, Armando ormai era diventato un ottimo chef  ricercato dai migliori ristoranti di Milano. Partecipò a tanti concorsi e vinse numerosi premi.
Ad un certo punto lui e sua moglie decisero di dare luce ad un altro bambino: il 16  Gennaio 1985 nacque Gianluca.
Da qui iniziò la grande storia!


2  LA FAMIGLIA SI ALLARGA

Siamo nel lontano 1985 quando Jessica e  Armando decisero di allargare la famiglia dando alla luce un altro bambino. Finalmente il 16 gennaio nacqui io, un bellissimo frugoletto di nome Gianluca  Carlo… Appena nato e subito messo alla prova: mia madre venne  arrestata per problemi con la giustizia.

Un giorno papà mi portò  in carcere a trovare la mamma,  io ero piccolissimo avevo circa sei mesi. Mamma mi prese in braccio per salutarmi, ma ad un tratto disse: “Gianluca ora rimane qui con me!” Mio padre cercò di tirarmi via dalle sue mani ma lei lo respinse, tanto che dovette intervenire il secondino  dicendo: “Signora il bambino non può stare qui!” Mi  tolse dalle sue mani e riconsegnandomi  a  papà  disse: “Se vuole tornare a trovare sua moglie lo faccia pure, ma non porti più suo figlio qui!”
Prima di uscire, mamma disse a mio padre che avrebbe firmato delle carte in modo da portarmi via da lui,  se lei non poteva avermi non poteva neanche lui. Ma lui le rispose che nessuno mi avrebbe portato via. Da quel giorno papà non andò più a trovarla, e  le loro strade si divisero.

Mio padre doveva occuparsi da solo di Camilla, Marco, Sofia e di me che ero il più piccolo (avevo solo sei mesi mentre gli altri erano già più grandi).  Papà  dovette assumere una  baby sitter che si occupasse  di noi mentre lui lavorava, essendo un cuoco ricercatissimo nei migliori ristoranti di Milano e per questo il suo turno finiva a notte tarda.

Una sera a casa mia da Busto Arsizio vennero a trovarci il fratello di papà, Alfonso, con la sua compagna Maria; praticamente i miei zii. Quella sera papà era di riposo e quindi eravamo  tutti insieme in casa, e mentre parlavano del più e del meno, la zia si rese conto che io avevo qualcosa che non andava scottando tantissimo e tossendo continuamente.  Così disse a mio padre  che era meglio portarmi al pronto soccorso per accertamenti, ma lui rispose che era solo tosse dovuta  al troppo caldo che faceva nella casa, bastava solo un po’ di Vicks  VapoRub sul petto e sarebbe andato tutto apposto. Cosi fece, prese la pomata e me la spalmò sul petto, però qualcosa non funzionò perché  diventai tutto rosso e non riuscivo più a respirare!
La zia, arrabbiandosi con papà, lo convinse a portarmi all’ospedale dove i medici si resero subito conto della gravità del fatto. Mi dovettero mettere dentro un’incubatrice per un po’ di giorni. Il primario dell’ospedale convocò subito papà e gli zii in ufficio chiedendo spiegazioni per  l’accaduto. Una volta esposti i fatti, il primario si rivolse a papà dicendogli che in seguito a quello che era successo,  visto che viveva da solo senza una moglie, e dovendo occuparsi già di tre  figli, doveva trovare una destinazione per me che ero il più piccolo; qualcuno che potesse  prendersi cura e dare tutte le attenzioni che un bambino di soli sei mesi ha bisogno. Ma lui non voleva accettare l’idea di dover rinunciare a me, a quel punto  il primario dell’ospedale, perdendo la pazienza, lo mise alle strette e rivolgendosi  a tutta la famiglia disse che se io fossi arrivato solo 5 minuti più tardi in ospedale sarei morto avendo preso una brutta broncopolmonite. Lui  doveva rispettare la prassi, denunciando l’accaduto alle forze dell’ordine e chiamando gli assistenti sociali.  A quel punto la  zia, cercò la soluzione per salvare tutti e tutto ma soprattutto cercò di salvaguardare il mio bene, spiegando al primario e a  papà  che si sarebbe presa cura lei di me con l’aiuto  dello zio,  facendo tutte le pratiche per avere l’affidamento. Alla fine mio papà  capì che quella era  l’unica soluzione possibile, o la zia Maria e il fratello Alfonso, o la polizia e gli assistenti sociali.
Nei giorni che trascorsi all’ospedale all’interno dell’incubatrice, papà  non mi abbandonò  mai infilando le sue mani dentro l’apposito spazio,  tenendo le mie manine, dandomi lui stesso da mangiare; e quando arrivava l’ora in cui doveva andare al lavoro, toglieva le mani ma io iniziavo subito a piangere così lui le rinfilava e stava li finchè non mi riaddormentavo.
Una volta uscito dall’ospedale fui affidato agli zii.


3  GLI ANNI VOLANO

Gli anni passarono e io, essendomi trasferito  a Busto Arsizio con gli zii, iniziai a crescere: asilo, scuole elementari…  Nonostante abitassimo in città diverse, papà  con i miei fratelli  non mi abbandonano mai infatti, tutti i fine settimana, venivano a trovarmi a Busto.
Di mia madre io non sapevo ancora nulla  essendo troppo piccolo.
Fin da piccolino sono stato sotto osservazione degli assistenti sociali: una volta alla settimana  dovevo fare visita nell’ufficio della dottoressa Toni.
Non era solo papà a venire a Busto a trovarmi, ma anche andavo a Milano per passare del tempo con la famiglia.  Ad ogni festività (Natale, Pasqua, estate…) ero io a trasferirmi a Milano per passare le vacanze con loro, facendo sempre tappa  però,  dagli assistenti sociali… il mio viaggio era così: assistente sociale (di Busto), Milano, prima del rientro passare dagli assistenti sociali (di Milano), ritorno a casa degli zii. Dopo una settimana dal mio rientro continuare la  solita routine con gli assistenti sociali per capire cosa passava dentro la mia testa con disegni, piccoli discorsi, piccoli dialoghi. Troppo piccolo per capire cosa sta accadendo nella mia vita!

Il tempo passava, io  e i miei fratelli cominciavamo a diventare grandi e io iniziavo a  sentire la mancanza  di una famiglia  solida, nonostante fossi ancora piccolo… quando alla scuola  elementare tutti  gli altri bambini facevano disegni, poesie, regalini per la festa  del papà  o della mamma,  il mio volto era molto triste; quando si avvicinano le vacanze estive, tutti gli altri bambini erano  felicissimi perché sapevano che dopo poco sarebbe arrivato il mare… per tutti loro, ma non per me!
Io non facevo nulla di tutto ciò perché sarebbe iniziato il solito giro: assistenti sociali, Milano, assistenti sociali, Busto… niente mare per me!
Solo una volta lo  zio mi portò al mare: all’età di tre anni partimmo in direzione di Pagani, paese d’origine della mia famiglia, per un saluto al nonno, a mia sorella Carmela e a mio fratello Esposito che vidi per la prima volta nella mia vita ma poi non rividi più perché mio nonno morì in quell’anno e io non feci più ritorno al paesello fino all’ età di 16 anni.
Finita la sosta dalla famiglia, finalmente ci dirigemmo verso il mare di Maiori[3] passando con la nave prima per i magnifici faraglioni di Capri. Per me quella è stata la vacanza estiva più  bella della  mia vita, anche perché  fu una delle poche che feci da bambino.
Con i miei fratelli ricordo che trascorsi solo una vacanza  fuori da  Milano, all’età  di otto anni andammo a Monterosso con l’oratorio milanese  e anche quella fu una vacanza spettacolare perché fu la prima volta che ci allontanammo da Milano tutti e quattro.                                  
Anche l’estate finì, era ora  del rientro a casa. Per me i giorni dei saluti erano sempre i più tragici, infatti quando ero  a  Busto Arsizio e papà mi veniva  a prendere piangevo  come un matto perché non volevo lasciare gli zii, ma quando finivano le vacanze e papà doveva riportarmi dagli zii succedeva lo stesso, sembravo  un matto piangendo e scappando in giro per la casa per non farmi prendere perché mi ero legato ai miei  fratelli, a papà e a Angela (la sua nuova compagna) e non volevo lasciarli.
Spiegare tutto questo agli assistenti sociali non era facile, nella mia testa c’era  tanta confusione e nel mio  cuore la voglia di non abbandonare nessuno. Ad ogni colloquio con gli assistenti sociali di Milano, che mi chiedevano dove volevo  vivere per cercare di prendere una  decisione finale,  io rispondevo  che volevo  stare a Milano con i miei fratelli e mio  padre;  ma quando passavo  dagli assistenti sociali di Busto e mi facevano la stessa domanda, io rispondevo  con gli zii, provocando confusione e non arrivando mai ad una decisione definitiva.


[1] Provincia di Salerno
[2] Provincia di Salerno
[3] Costiera Amalfitana

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