QUATTRO CHIACCHIERE CON... SILVIA CARLINI
In questo mese di ottobre missionario riproponiamo un'intervista di Valentina Bottini a Silvia Carlini che nel settembre 2019 ha raccontato il suo viaggio in una missione del Brasile. E' possibile leggere l'intervista completa qui: https://www.sguardidiconfine.com/la-missione-di-silvia-in-amazonas-un-cammino-per-affidarsi/
LA MISSIONE DI SILVIA IN AMAZONAS: UN CAMMINO PER AFFIDARSI
- Cos’è “Giovani e Missioni”?
«“Giovani e Missioni” da più di 25 anni è un cammino del Pime
rivolto a giovani da 20 a 30 anni, esso dura due anni e vuole contribuire a una crescita umana, missionaria e
cristiana. Tra il primo e
il secondo offre la possibilità di fare un'esperienza missionaria estiva
di un mese presso le case del Pi me nel mondo, condividendo con i
missionari lo spazio, il tempo, il lavoro e la preghiera.
Ci si ritrova un weekend al mese da ottobre a maggio nelle varie
case italiane del Pime: dal pomeriggio del sabato e si torna a casa nel
pomeriggio della domenica, durante queste 24 ore ci sono momenti di preghiera,
condivisione, testimonianze . Quest'anno eravamo una sessantina di giovani più
una decina dell'equipe (tra padri, suore e ragazzi che hanno fatto già il
cammino). Più che una preparazione pratica alla missione il percorso di GM dà
modo di riflettere sulla propria vita, sulle proprie scelte e offre un modo di affidarsi
soprattutto che è previsione della missione, è richiesto infatti di affidarsi
anche per quanto riguarda la missione perché tu non decidi né dove andare né
con chi andare».
«Affidarsi
significa lasciarsi guidare in tutto da qualcuno. L'affidarsi inizia in Italia
quando i Padri del Pime, che ti hanno seguito durante il primo anno di GM e
quindi ti conoscono, decidono in quale missione mandarti e con chi, poi ti
affidi alla tua compagna di missione, alle suore e ai missionari che ti
ospitano. Questo affidarsi prima alle persone piano piano insegna ad affidarsi
a Dio; in questo percorso di affidamento le preoccupazioni svaniscono, non si
ha più il controllo di molte cose e tutto assume un altro valore».
«Prendendo in prestito
una frase del libro di Padre Fabrizio mi viene da dire "Perché no? Perché non
partire?"
Alcuni, al mio ritorno in Italia, mi hanno chiesto perché
partire se si può aiutare anche qui. Penso che chi parte con consapevolezza
parte perché è già sensibile a queste tematiche, parte perché ci sono altre
modalità di vivere la vita perché non ci sono solo la nostra cultura e le
nostre folli idee ma c'è molto altro. Questo altro aspetta e vuole farsi
conoscere. Tu devi lasciare che questo altro entri dentro di te e ti
scombussoli; immergendomi completamente in
una cultura tanto diversa ho potuto rivedere il mio qui e ora ».
- Dove sei stata destinata ?
«Mi hanno mandata a Santa Rita do Weil, un paesino raggiungibile solo
in barca nello stato Amazonas al confine con Perù e Colombia . Ero ospitata con
Ilenia, la mia compagna di missione, nella casa delle suore dell'ordine dell'immacolata
(suore del Pime); Odete, Lizzy e Dora ci hanno accolto nella loro quotidianità
così da conoscerle e vedere la realtà missionaria lì».
«Quando siamo partite non
sapevamo cosa ci avrebbe atteso visto che siamo state la prima coppia di GM a
essere destinata lì. Con questa incertezza e con una disposizione d'animo che
voleva più affidarsi che avere tutto sotto controllo (per me cosa molto comune
qui, dato che amo programmare dettagliatamente la mia vita) sono partita.
Anche le suore lì non hanno un compito preciso perché sono
chiamate a essere presenza cattolica per i credenti di Santa Rita e dei paesini
indigeni vicini. Ben presto abbiamo capito sempre più che il “fare” lasciava
posto a uno “stare”: nell'incontro con l'altro era racchiusa l'essenza della
missione lì.
Alla fine ci siamo ritrovate a fare attività di animazione tutti
i pomeriggi coi bambini che sono passati da venti a settanta, prima davanti al
piazzale della chiesa poi ci siamo spostati alla periferia del paesino dove ci
sono le case più povere. Un signore ci ospitava nel suo campo; io e Ilenia
preparavamo i giochi e le attività, suor Dora ci ha dato grande fiducia e
libertà nel gestire il tutto. I bimbi erano entusiasti di queste attività e
aspettavano con trepidazione il momento giochi perché per loro era qualcosa di
inusuale e unico rispetto alla loro solita quotidianità..
Abbiamo poi fatto visita alle comunità indigene vicine, tutte
della popolazione Tikuna; andavamo in
barca perché ci si può muovere solo così da un villaggio all'altro. Siamo state
nelle due comunità vicino a Santa Rita in cui operano le suore e poi per
qualche giorno siamo state ospiti a Belem do Solimois dai frati cappuccini
minori, abbiamo vissuto con loro. I missionari che fanno visita alle comunità
indigene (visite che a volte sono una in un mese) fanno in modo che loro siano
in qualche modo accompagnati da persone consacrate.
E poi anche noi davamo il nostro contributo nel fare quotidiano
dal raccogliere l'acqua piovana per lavare i vestiti, al cucinare, al fare i
mestieri ed essere così aiuto per le suore; mentre noi pulivano casa loro
riuscivano a fare altro. In quella quotidianità ci siamo conosciute e è nata
con loro una bella amicizia».
«Ti racconto della festa a sorpresa
che ci ha fatto la comunità prima che andassimo via. Saremmo partite lunedì
mattina presto, ad attenderci quattro giorni di viaggio (siamo arrivate in Italia
giovedì)… premetto che nessuno mai è riuscito a organizzarmi qualcosa a
sorpresa, scopro sempre tutto prima! Dopo una pizza preparata da Dora come
merenda un po' speciale dato che il giorno dopo saremmo partite, io e Ilenia
siamo andate alla chiesina per la celebrazione. Ho subito notato che la chiesa
era un po' più piena rispetto alle altre volte, ma non mi sono fatta domande.
Odete, che presiedeva la celebrazione, chiede come mai c'erano così tanti
bambini e loro rispondono "per silvia e ilenia", ma anche questa
frase non mi ha dato sospetti… pensavo fosse una cosa normale dato che il
giorno dopo saremmo partite, che si trattava di una cosa casuale, non
programmata, non pensata; invece al termine della Messa Odete ci ha chiamato
sull'altare e come comunità ci hanno regalato una maglia con le firme di tutti
i bambini, inoltre la cosa che mi ha emozionato è che c'è stata proprio una
festa di tutta la comunità per noi (avevano preparato un piccolo rinfresco). Mi
sono sentita preziosa e voluta bene: quanto ricevere nel dare! »
«Presenza, incontro,
autenticità»
«Non posso rispondere completamente perché ora posso avere delle risposte, fra un anno delle altre, fra dieci anni delle altre ancora. L’esperienza in missione ha gettato tanti semi nella mia vita, chissà quali germoglieranno e quali no...»
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Cosa significa tornare?
«Tornare significa aver messo stop alla vita qui in Italia e aver messo play appena scesi dall'aereo. Significa essere testimonianza di quello che si è vissuto, di quello che si è incontrato. Significa aver imparato che c’è un altro modo di vivere le giornate e di vedere l'umano. Significa essere catapultati nel tuo mondo e non capire dove si è e cosa si sta facendo. Significa cercare il mio posto. Significa che l'esperienza missionaria sembra subito un sogno, una cosa lontanissima quando invece è successa poco tempo fa».
«Vedi questa esperienza non è esattamente un viaggio per capire cosa fa un missionario, ma è un’occasione di crescita personale volta a comprendere chi è un missionario e perché ha scelto di esserlo. La consiglio a tutti i giovani che sono in ricerca, a chi vive per inerzia e in determinati schemi senza rendersene conto, a chi non crede più nell'umano».
E' possibile leggere l'intervista completa qui: https://www.sguardidiconfine.com/la-missione-di-silvia-in-amazonas-un-cammino-per-affidarsi/