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LE STRADE SI DIVIDONO
Quell’estate tornai a Milano da mio padre, dai miei fratelli e dai mie
amici. Mio padre venne a sapere, non so da chi, che avevo visto Jessica. Mi
chiese se mi aveva detto qualcosa in particolare, ma io gli risposi che non mi
aveva detto nulla, anzi ero rimasto molto deluso da lei. Gli chiesi se era
arrabbiato per questo, lui rispose di no, che era giusto che io volessi saperne
di più, e che il comportamento di Jessica era normale, non potevo aspettarmi
nulla da una persona che aveva abbandonato i figli ed era finita in
galera, poi cambiò discorso.
Quell’anno non successe nulla di eclatante, io andavo in giro con i miei
amici, e quando non uscivo con loro, uscivo
con i miei fratelli; ovviamente ero legatissimo a mia sorella Sofia
visto che fin da piccolo avevo un debole per lei, mi coccolava e mi baciava
sempre, eravamo inseparabili, era la mia sorella preferita.
Naturalmente avevo un bellissimo rapporto anche col suo fidanzato, Ciro,
quando non stavo con gli amici praticamente stavo sempre con loro due.
Finite le vacanze, tornai a casa nel mio oratorio dai miei amici, ma non
era più come prima, senza Alessandro ormai le strade si stavano iniziando a
dividere. Io mi arrabbiai con i ragazzi mi ricordo che una volta gli dissi:
“State rovinando quello che ha costruito Ale!” ma loro mi risposero che ormai
era tempo di dividersi e purtroppo accadde così. Tutti loro col tempo
lasciarono l’oratorio, anche Paola con le altre ragazze si allontanò ma il
nostro rapporto continuava perché io
insieme a Valerio (che era l’unico della compagnia che rimase con me) andavamo
spesso a trovarla a casa.
Io e Valerio invece, finimmo in una compagnia che usciva in centro; non
era proprio una bella compagnia. Sembrava di stare a Milano, vi erano sempre
risse, ragazzi che rubavano insomma una compagnia di mezzi delinquenti.
Frequentando anche l’oratorio molti miei amici, soprattutto Floriano,
iniziavano a vedere il mio cambiamento così cercarono in tutti i modi di
riportarmi a frequentare il catechismo che avevo lasciato in terza media, in
modo da cercare di tirarmi fuori da quella compagnia prima che fosse troppo
tardi. Passarono parecchi mesi ma alla fine ce la fecero, io e Valerio
continuammo a frequentare l’oratorio e costruimmo una nuova compagnia
all’interno. Fu l’inizio di una grande amicizia.
Intanto arrivò il mio diciottesimo compleanno, il primo traguardo
importante della vita, era un sabato, mi arrivò la chiamata di Piera per farmi
gli auguri di compleanno e dirmi che l’aveva chiamata Jessica dicendo che
avrebbe voluto che lo festeggiassimo insieme. Così organizzammo per pranzare
insieme io, Piera, Paola, Jessica e la zia Pina, che è la sorella di Jessica.
Fu un bel pranzo anche se per tutto il giorno non parlammo molto io e lei
come al solito. Lei mi regalò una collana d’oro con un crocifisso strano, come
quello che aveva mio padre al collo; fu il primo e l’unico regalo che ricevetti
da lei. Dopo quel giorno però sparì ancora.
Dopo pranzo tornai a casa dalla zia, noi l’avremmo passato insieme la
domenica, perché la sera avevo organizzato di andare a festeggiarlo con gli
amici. Però avevo un peso nel cuore, lei non sapeva che avevo pranzato con Jessica,
sapeva solo che sarei andato da Piera a mangiare, così gli dissi la verità. Lei
rimase un po’ sbalordita perché non se lo sarebbe mai aspettato, ad un certo
punto mi disse: “Non è che adesso decidi di andare a vivere con tua madre?” I
suoi occhi erano pieni di tristezza perché aveva paura di perdermi, allora io
l’abbracciai e le risposi: “Tranquilla
che nessuno mi porterà via da te, la mamma non è chi mette al mondo un figlio e
poi scappa, ma è chi si prende cura di lui e lo fa crescere!” Ritrovò subito il sorriso e mi baciò tutto.
Detto questo uscii a festeggiare con i miei amici, fu una grande festa. Diciotto anni iniziavo a
diventare grande, potevo anche iscrivermi per la patente, solo che non avevo
abbastanza soldi per farlo perché col
mio stipendio avevo comprato il motorino
nuovo l’anno prima e poi dovevo aiutare in casa. La zia mi disse che me l’avrebbe pagata lei,
anche se mio zio era contrario. Ma io rifiutai e dissi che quando avrei avuto i
soldi mi sarei iscritto, tanto per il momento avevo il mio motorino che amavo.
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LA MALATTIA
Col passare del tempo purtroppo anche le strade tra me, Piera e Paola si
divisero, tanto che non ci vedevamo più.
Nella mia visuale stava cambiando qualcosa, o meglio nella vita di mio
zio soprattutto, perché ogni volta che ci mettevamo a tavola a mangiare lui
vomitava tutto quello che mangiava e io e la zia non capivamo il motivo di ciò,
preoccupandoci e chiedendogli se stava male. Il problema era che lui fino prima
di mangiare stava bene, era quando metteva in bocca qualcosa che il suo corpo
lo rifiutava. Così lo portammo a fare una visita in ospedale, lì ci dissero
quello che non i vorrebbe mai sentirsi dire!
I medici gli trovarono un tumore alla prostata più cinque cisti tumorali
all’interno del petto. Per lui e per noi era una notizia devastante, doveva
subito sottoporsi alla chemioterapia per
cercare di ridurre i tumori e poi affrontare un’operazione: fu l’inizio di un
incubo.
Lo zio era una persona
meravigliosa, piena di vita e di energia, non stava mai fermo un secondo,
passava dal Ticino al lavoro, nel tempo libero faceva lavoretti con il legno,
giocava a biliardo, insomma aveva sempre qualcosa da fare. Purtroppo da quando
gli costatarono questa malattia iniziò a perdere l’entusiasmo e a buttarsi giù,
tirarlo su di morale non era semplice. Aveva tantissima paura di quello che gli
poteva accadere. Io e la zia ogni volta cercavamo di sdrammatizzare e di
tranquillizzarlo dicendogli che sarebbe andato tutto bene, fino a che non iniziò
le cure. Io dovevo continuare a lavorare
per portare i soldi a casa perché, vivevamo solo con i soldi della pensione di
mia zia, le centomila lire che mio zio
guadagnava col suo lavoro e il mio stipendio, anche se mia zia voleva che in
casa mettessi solo i soldi per la spesa e basta.
Le chemio che faceva lo zio erano pesantissime, in casa solo lui aveva la
patente così mia zia doveva accompagnarlo in ospedale, fargli fare la chemio,
aspettare che si riprendesse e poi tornare a casa, perché mio zio non voleva
stare assolutamente in ospedale. Quando tornava si metteva a letto stanco
morto, poi il venerdì, il sabato e la domenica
anche se magari era stanco andava lo stesso a lavorare, io e la zia gli
dicevamo che non sarebbe stato più come prima, ma lui rispondeva che non
potevamo rinunciare a quelle centomila lire. Io vedevo la sofferenza negli
occhi dello zio e della zia e mi tenevo tutto dentro.
L’unica persona con cui mi sfogavo era Veronica, era l’unica che riusciva
a farmi aprire. Intanto mio zio col fatto che aveva tanta paura, scrisse una
lettera ad un suo fratello che faceva il medico (io non l’avevo mai visto) per
saperne di più, per vedere se c’era una cura. La risposta del fratello fu
scioccante: “Sei grande e vaccinato i problemi risolviteli da soli”. Mio zio
aveva otto fratelli ma con gli anni avevano litigato tutti tra di loro. Aveva
mantenuto un buon rapporto solo con sua sorella Giada, e con mio padre. Si
perché lo zio ne parlò anche con papà e una volta saputa la malattia, tutto il
rancore e la rabbia che c’erano stati fino ad allora tra loro, sparì tornando così ad essere grandi fratelli.
Mio padre tornò a farmi visita i fine settimana per cercare di stare
vicino allo zio e saperne sempre di più delle sue condizioni.
Nel frattempo, io ero stato operato per l’ottava volta al pollice per
un’unghia incarnita. Anche io non ero stato molto fortunato con gli ospedali
fino quel tempo, da piccolino all’età di
quattro anni mentre ero in piscina con l’asilo, caddi dentro la piscina
sbattendo il fianco, mi dovettero operare; a sette anni su tutte le dita delle mani mi si erano formate le verruche,
che io quotidianamente strappavo con i denti facendomi uscire sempre il sangue,
perché gli amici mi prendevano in giro per le mie mani e io mi vergognavo, quindi
lo zio mi portò all’ospedale e il medico vedendo che erano troppo grosse, mi
mise l’acido bruciandomele, non potete neanche immaginare il dolore… per una
settimana a casa con le mani viola; e poi appunto operato otto volte ad
entrambi i piedi per unghia incarnita, praticamente ero rimasto a casa dal
lavoro per un mese abbondante, era maggio così potevo stare vicino allo zio e
dare una mano alla zia.