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NON LASCIARMI ANCHE TE
Il girono del funerale era finito tornarono tutti a casa, mio padre non
voleva lasciarmi solo, ma bisognava tornare alla vita quotidiana. Io dovevo
tornare al lavoro e ora dovevo pensare alla zia. Prima di far rientro a Milano
mi disse che per qualsiasi cosa dovevo chiamarlo che lui sarebbe corso subito,
io gli dissi di stare tranquillo perché me la sarei cavata e poi c’erano Rebecca
e i suoi genitori che non mi lasciarono neanche un secondo da solo. Mi fecero
trasferire a casa loro finchè le cose non sarebbero migliorate.
La zia rimaneva grave in rianimazione, tornato al lavoro spiegai la
situazione al capo; il mio contratto scadeva a metà febbraio, gli dissi che se
per caso mi arrivava una telefonata io dovevo scappare in ospedale, lui mi capì
e mi disse di non preoccuparmi.
La mia giornata era cambiata: alla sette e mezza andavo in ditta fino
mezzogiorno, poi correvo in ospedale, per andare a trovare la zia (mi mettevo
il camice, il copri scarpe e la cuffietta altrimenti non potevo entrare in
rianimazione, ed entravo nella sua stanza; lei era sempre in coma
farmacologico, stavo lì dalle 12:10 alle 13.10, la guardavo, le tenevo la mano,
le parlavo dicendole: “Ti devi fare forza per me, senza di te la casa è vuota,
ho bisogno di te per andare avanti!”, tutte queste cose, cercavo di farla reagire. I medici
dicevano che anche se era sedata lei mi sentiva e mi capiva), poi all’una e un
quarto tornavo al lavoro fino le cinque e mezza, e alla fine della giornata
passavo a prendere Rebecca e andavamo di nuovo a trovare la zia fino alle
sette. Rebecca non mi ha mai abbandonato neanche un secondo diventando così la
mia vera forza, la mia colonna portante.
Il fine settimana invece mio padre, i miei fratelli, zio Fausto e zia
Paola mi venivano a trovare, venivano a trovare la zia e a sapere come stava, e
quando non potevano venire, mi telefonavano. Comunque anche il fine settimana non
cambiava, ero sempre lì con lei senza abbandonarla nemmeno un secondo. A metà
febbraio il mio capo mi rinnovò il contratto ancora per un anno, quel giorno
ero molto contento dovevo subito dirlo alla zia, lei era preoccupata perché
pensava che sarei rimasto senza lavoro, e invece la sera le diedi la bella
notizia. Anche se non mi guardava, non reagiva, sapevo che mi ascoltava, e poi
lassù c’era sempre mio zio che mi stava vicino.
Il tempo passava velocemente arrivando così fino metà marzo, fino ad
allora non cambiò nulla, nè miglioramenti nè peggioramenti.
Intanto io decisi ancora una volta di farmi un tatuaggio, volevo avere il
ricordo di mio zio stampato sul corpo, ci pensai tanto, pensai al disegno,
doveva avere significato. Pensa e ripensa disegno trovato e prenotato, feci un
Joker con le sue iniziali. Come mai il Joker? Lui oltre ad avere la passione
per la pesca, il biliardo e il lavoro,
giocava spesso a carte con la zia a casa, e ogni volta si arrabbiava
quando la zia vinceva usando i Jolly! Quindi era il tatuaggio perfetto!
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BENTORNATA!
Inaspettatamente arrivò una bellissima notizia, andai come sempre a
trovare la zia in ospedale ma quando entrai, lei era sveglia, non era più
sedata. Si stava riprendendo, ancora una volta aveva dimostrato la sua forza.
Non dissi nulla a Rebecca, volevo farle una sorpresa, così la sera come
sempre andammo a trovarla con noi era venuta anche Loredana, nessuno sapeva che
si era ripresa. Entrai l’abbracciai e la baciai tutta, ci parlai e come sempre
le dissi che doveva sbrigarsi a tornare
perché avevo bisogno di lei a casa, poi ad un certo punto mi disse: “Sei qui da solo?” Gli risposi: “No, ci sono
anche Rebecca e Loredana!” Ad un certo punto lei mi disse: “Ok allora fai
entrare prima la Dragona e poi la Draghetta che le saluto!”In pratica non so
per quale motivo, forse per la loro stazza le
aveva soprannominato Loredana “Dragona” e Rebecca “Draghetta”. Le feci
entrare, inutile dire la gioia e la felicità che avevano nel vederla sveglia.
Uscite loro tornai dentro io, la risalutai baciandola ancora tutta e le dissi
che ci saremmo visti il giorno dopo e tornai a casa ad avvisare tutta la
famiglia. Il fine settimana successivo, vennero ovviamente tutti a trovarla e
la zia sembrava fare passi da gigante, ogni giorno si riprendeva sempre di più
tanto che l’ultima settimana di marzo, dopo aver fatto 3 mesi di rianimazione,
fu trasferita in reparto e la prima settimana di aprile fu mandata alla clinica
Santa Maria a fare la riabilitazione. Una volta finita la riabilitazione poteva
tornare a casa!
Il tempo correva velocemente stavamo arrivando a metà aprile, la zia
migliorava sempre di più tanto che i dottori avevano deciso di dimetterla, in
modo da poterle far fare il 1 maggio a casa. In pratica la zia venne dimessa l’ultima
settimana di aprile, non potete capire la mia gioia, ero felicissimo. Una volta
tornata a casa, poteva tornare tutto
alla normalità, io tornai a casa mia, a
stare con la zia ogni volta che uscivo dal lavoro e tornavo diretto a
casa; ad aspettarmi avevo le due donne più importanti della mia vita, la zia e Rebecca
che erano sedute sempre in cucina a parlare e guardare le telenovelas, fino le
sette poi portavo Rebecca a casa e ritornavo dalla zia.
Io non volevo che facesse sforzi ma lei ogni volta si metteva ai fornelli
così io mi mettevo dopo a pulire tutti i piatti. Poi guardavamo la televisione
fino le nove e mezza insieme e dopo, lei andava a letto. In camera le avevo riportato il letto
matrimoniale, in modo che poteva essere più comoda, ma lei voleva continuare a
dormire in sala perché era fissata che in camera ci dovevo dormire io che ero
diventato l’uomo di casa. Alla fine trovammo un accordo siccome non volevo
lasciarla neanche un secondo da sola, dormivamo insieme in camera.
Tutto sembrava procedere a meraviglia, finalmente la zia aveva ripreso la
sua vita e stava iniziando a pensare di più a lei visto che negli ultimi anni
pensava solo a me e allo zio. Tutti i sabati mattina andavamo giù al bar a fare
colazione insieme, andavamo a fare la spesa, e l’accompagnavo dal parrucchiere.
Poi lei voleva che pensassi un po’ anche a me così il pomeriggio e la domenica
mi diceva di andare dai miei amici o con Rebecca a fare un giro e se aveva
bisogno mi avrebbe chiamato.
Nei giorni successivi intanto, venivano sempre a trovarla zia Paola e zio
Fausto perché morendo mio zio, e non avendo fatto testamento, metà parte di casa era dei suoi fratelli; la
zia con zia Paola stavano trovando un modo per far sì che la casa rimanesse
totalmente a me.
La zia era migliorata alla grande tanto che avevamo progettato con i miei
amici di festeggiare il primo maggio al Ticino facendo la grigliata e
ovviamente io e Rebecca portammo anche lei, anche perché con i miei amici
stavamo organizzando di fare le vacanze tutti insieme a Cervia portando anche
la zia. Lei erano anni che ormai non andava più al mare ed mi sembrava giusto
regalarle questa nuova avventura, così prenotammo.
Convincerla non fu facile perché lei disse: “Secondo te in una compagnia
di ragazzi deve venire una vecchietta? è giusto che ti vai a divertire con i
tuoi amici!” Lei voleva stare a casa ma
alla fine la convinsi, se stava a casa lei ci stavo anche io non l’avrei lasciata sola. Alla fine
prenotammo!
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IL SOGNO DIVENTA INCUBO
Riavere la zia a casa, e riprendere la vita pensando alle vacanze con lei
per me era un gran sogno, in vacanza al mare io, i miei amici e la zia: troppo
belle per essere vero, in più mia sorella Sofia ci aveva comunicato di
aspettare una bambina, eravamo felicissimo soprattutto la zia non stava nella
pelle!
Dopo tante nuvole finalmente
arrivava un po’ di sereno.
Un giorno la zia volle andare al cimitero per vedere dove avevo fatto
seppellire lo zio, io non volevo perché non volevo tornasse a stare male e poi
perché doveva fare un piano di scale a piedi e per lei era faticoso, però lei
insistette. Così con Rebecca la portammo, una volta arrivati mi ricordo che mi disse: “L’hai sistemato
proprio bene, bello, sono orgogliosa di te, ma per i soldi?” Io ero felice che
le piacesse e le dissi di non preoccuparsi perché avrei fatto tutto io, poi mi
disse che nei prossimi giorni voleva
andare alle pompe funebri per fare in modo di mettere il suo primo
marito, sua mamma e suo papà tutti nello stesso loculo, voleva sistemare bene anche
loro. Io le dissi che poi con calma l’avrei portata. Non sapevo che era la prima e l’ultima volta
che avrebbe visto il cimitero.
La zia era riuscita a prendere l’appuntamento con un avvocato per la
questione della casa, così l’accompagnai a parlare. Lui disse che l’unico modo
per sistemare tutte le pratiche era liquidare tutti gli eredi con una parte di
soldi, solo che la zia era preoccupata perché questi soldi non li avevamo; e
poi non le sembrava giusto pagare delle
persone per avere una cosa che era sua. Iniziava ad essere molto preoccupata e
agitarsi per questa faccenda, io la tranquillizzai dicendole che ci avremmo pensato con calma, me ne sarei
occupato io. Già che eravamo lì, la zia volle fare il testamento dove diceva
che lasciava ogni suo bene a me.
Finito con l’avvocato tornammo a casa, ma la zia era molto stanca per la
giornata e preoccupata, si vedeva. Io stetti tutta la sera con lei e cercai di
rassicurarla e tranquillizzarla le dissi
che si sarebbe risolto anche questo piano-piano.
Il giorno dopo andai come sempre al lavoro, ma quel giorno mi arrivò una
chiamata da Loredana dicendo che la zia
non stava per nulla bene e bisognava portarla con urgenza in ospedale. Le dissi
di portarla e che le avrei raggiunte là. Una volta arrivato in ospedale il
medico mi disse che la situazione era grave, la zia aveva avuto di nuovo un
attacco respiratorio, dovevano tenerla sotto osservazione e bisognava pensare
ad una possibile operazione per fare in modo che il suo cuore pompasse al 100%
e non al 40% come pompava. L’incubo stava per ricominciare!
Avvisai subito tutti i parenti, zio Frusto il giorno dopo si precipitò in
ospedale per saperne di più ma questa volta era grave. Io avevo riperso il
sorriso e la gioia ritrovata. Rebecca e i suoi genitori volevano che tornassi a
casa con loro ma sta volta rimasi a casa mia, i giorni successivi erano quelli
più pesanti. La mia giornata era tornata ad essere: lavoro ospedale, ospedale
lavoro, lavoro ospedale, poi andavo a casa di Rebecca a mangiare e stare un po’
con lei e poi tornavo nella mia casa, ma era vuota, silenzio di tomba, non
avevo nessuno con cui parlare, con cui sfogarmi, nessuno che mi capisse o mi
coccolava, così scoppiavo sempre in lacrime e mi tenevo tutto dentro
creando un mondo tutto mio e una corazza
per non far passare nessuno.
I giorni passavano sempre in fretta, i miei fratelli e mio padre mi
chiamavano sempre per sapere se c’erano novità, ma novità non arrivavano mai,
la zia era sempre più triste perché voleva tornare a casa, io ogni volta che
andavo a trovarla le dicevo: “Stai tranquilla passerà anche questa, sei forte
se sei uscita dalla rianimazione in quel modo puoi uscire anche da qui!” Lei fece un piccolo sorriso, poi le chiesi di
farmi una promessa: “Promettimi che ti farai
forza e vai avanti per me, tu sei la mia forza, la mia vita, senza di te non ce la posso fare!” Lei me lo
promise, ma le si leggeva nei suoi occhioni azzurri che stava soffrendo
tantissimo. Quella sera quando tornai a casa da Rebecca non ce la feci più e
scoppiai in lacrime, lei mi disse: “Amore cos’hai?” Io le risposi: “Sta volta
non uscirà più dall’ospedale!” Sapevo già che sta volta non ce l’avrebbe fatta!
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