CAPITOLO 6, CAPITOLO 7
6
L’ORTO
I giorni che passavo all’orto con tutta la famiglia erano i più belli. La
giornata iniziava raccogliendo i pomodori e il basilico, si lavavano con la
canna dell’acqua, si tagliavano e si imbottigliavano nelle bottiglie che papà
aveva preparato. Ognuno aveva il suo compito, ricordo che: papà e Marco raccoglievano i pomodori e il
basilico, Sofia e io li lavavamo, Angela e Camilla (che era la più grande) li
tagliavano mettendoli in un grosso
catino. Finito il primo passaggio, ci si metteva tutti in fila e ciascuno di
noi riempiva le bottiglie con i pomodori e il basilico passandoli poi ad Angela che metteva l’olio e a sua volta li passava a
papà, il quale metteva il tappo e li deponeva in un grosso barile di ferro
adibito a pentolone dove all’interno c’era dell’acqua. Riempito tutto il barile
con le bottiglie, accendeva il fuoco sottostante per farle cuocere.
Mentre si aspettava che le bottiglie fossero pronte si preparava il
pranzo, quindi ci si metteva vicino al
forno a legna si tirava fuori la pasta della pizza e con pomodori, basilico, aglio… e tutto quello che passava l’orto si faceva la
pizza tra scherzi e risate. Pronto il tutto
ci si sedeva su una lunga tavolata sempre costruita da papà e si iniziava a mangiare.
Mi ricordo che una volta mentre ero seduto, sul tavolo c’era una
bottiglia di Coca Cola (io ero molto piccolo, avrò avuto all’incirca 7 anni) la
presi e tolsi l’etichetta rossa facendo attenzione a non romperla, la allargai
al punto che ci passò la mia fronte perché volevo indossarla come fascia per
imitare il mio idolo del wrestling Hulk Hogan, solo che non funzionò troppo
bene infatti appena la lasciai essa si
strinse intorno alla testa non facendomi più passare il sangue, mi si gonfiarono
tutte le vene e iniziai a diventare tutto rosso senza riuscire più a parlare e
respirare, cercai subito di
chiamare mia sorella Sofia con la mano
che era seduta accanto a me, ma lei, pensando che stessi scherzando mi disse:
”Ma muori!” Io iniziai anche a piangere in silenzio scendevano solo le lacrime,
in quel momento si girò mio padre e vedendo che ero diventato tutto viola in
faccia, prese un coltello, lo infilò tra la mia fronte e l’etichetta e la
taglio. Non potete capire il sollievo di togliere quella trappola mortale dalla
fronte. Mia sorella, rendendosi conto
della cosa mi chiese scusa, mi riempi di baci e mi coccolò per tutto il resto della giornata.
La giornata ormai stava per
finire, tornammo a casa mentre le bottiglie di pomodoro restavano a
cuocere tutta la notte fino l’indomani quando papà sarebbe tornato all’orto per
recuperarle… a casa praticamente avevamo
la passata di pomodoro per un intero anno.
7
GLI INVASORI
Nel quartiere c’è un cortile dove si
parcheggiano le macchine di tutti gli abitanti, accanto vi è un
grandissimo parco giochi per i bambini con altalene, dondoli, scivoli, casette e un campo di
calcio bellissimo in erba con attorno ad esso la pista di atletica dei 400
metri.
Tutti i sabati e domeniche in Trekka venivano gruppi peruviani e rumeni portando cibo e bevande in quantità… si
accampavano nel parcheggio per due giorni con roulotte e macchine. In quei due
giorni, facevano tornei di calcio tutto il giorno, facendo caciara e un sacco
di macello, litigando tra di loro, ubriacandosi e lasciando tutto il parco
sporco con pattumiera, sporcizia e bottiglie di birra rotte in ogni angolo. Con
tutti quei vetri e la sporcizia che vi era, per noi bambini era praticamente
impossibile andare a giocare nel parco, perché c’era il rischio di farsi male.
Ovviamente i nostri genitori erano furiosi di questa situazione, non
potevano portarci giù a giocare, e non potevano portare giù i cani perché
alcuni di essi si erano tagliati sotto
le zampe, il parco era praticamente impraticabile per quei due giorni.
Così, tutto il quartiere si recò
in caserma dai carabinieri spiegando la situazione, erano stanchi di tutto ciò. Le forze
dell’ordine sentendo i fatti esposti
andarono a parlare con quei
gruppi di peruviani e di rumeni, dicendo
che non potevano fare tutto quel casino, non potevano lasciare
pattumiera e bottiglie di vetro rotte all’interno del parco, visto che era un parco giochi per bambini e
animali, dicendo loro che se continuavano avrebbero dovuto prendere
provvedimenti seri facendo verbali e multe.
La situazione col passare dei giorni e dei mesi non cambiava, ogni sabato
e domenica era sempre la stessa cosa. Così tutto il quartiere, stanco di quella
situazione tornò a lamentarsi in caserma dicendo che se la situazione non
sarebbe cambiata ci avrebbero pensato
loro.
Una sera, tutti gli abitanti della
Trekka si diedero appuntamento alle
rotondine[1] giù in cortile. C’eravamo praticamente tutti, piccoli, grandi, femmine, maschi:
tutta quanta la Trekka era riunita. Un’
intero quartiere che univa le sue forze per farsi rispettare: un vero spettacolo!
Quasi 400 famiglie, ci recammo tutti quanti in Piazzo Video, due minuti
a piedi dai nostri palazzi.
L’orologio segnava le otto di sera, i genitori
con le macchine, i ragazzi più grandi con moto e motorini, gli altri con biciclette e noi bambini a piedi.
Bloccammo tutte le strade di via Mecenate con macchine, moto, bici e noi
piccolini tutti seduti sulle strisce
pedonali, in modo da non fare passare neanche una bicicletta. Quei gruppi dI peruviani
e i rumeni erano all’interno del parco
a giocare e a fare baldoria. Praticamente ci eravamo impadroniti
della zona, formammo una coda di macchine atroce. Tutti suonavano,
minacciavano di venirci addosso fermandosi
con le loro macchine a due dita da noi;
ma nessuno di noi aveva paura, nessuno di noi si alzava dalla strada, e
quando scendevano dalle macchine e minacciavano di picchiarci e spostarci a
forza, intervenivano i ragazzi più grandi rifacendoli salire in macchina.
Dopo circa un’ora e mezza fermi
immobili a far valere i nostri diritti con striscioni, canzoni e urla, la voce del casino che stavamo combinando arrivò in caserma, subito
tutti i carabinieri si precipitarono
li, per cercare di capire e
tranquillizzarci. Ma nessuno di noi aveva intenzione di farla finita, visto che i carabinieri fino a quel giorno non avevano fatto nulla per
cambiare la situazione. Alle dieci trovammo un accordo con le forze dell’ordine, dovevamo riportare la normalità perché rischiavamo sanzioni, in cambio loro
si sarebbero occupati di far sparire “gli
invasori” per sempre dal nostro quartiere. Promesse fatte, accordo raggiunto, tutti uniti tornammo a
casa per vedere se sarebbe cambiato qualcosa. Il fine
settimana era così finito; “gli invasori” se ne andarono e il parchetto era di
nuovo nostro anche se era tutto
sporco, pieno di bottiglie di birra
e di vetri, ma
loro non c’erano più!
Le vacanze estive per noi bambini potevano continuare.
Purtroppo la pace durò troppo poco…
arrivò un nuovo fine settimana e con lui tornarono “gli invasori” per un altro
weekend di caciara!
A quella visione, scoppiò ancora
il finimondo. I carabinieri non avevano risolto nulla, bisognava
intervenire! Erano le quattro di pomeriggio, quando tutta
la Trekka si riunì di nuovo giù
alle rotondine. Bisognava prendere una decisione, fare qualcosa per far
finire tutto ciò e salvare il nostro quartiere.
Parla, discuti, confrontati, soluzione trovata... stava per scoppiare la
guerra!
Tutti i maschi del quartiere, genitori e ragazzi, si erano dati appuntamento alle dieci; quando scendeva
il buio più profondo. Mamme, ragazze e
bambini, chiusi in casa. Detto fatto tutti a casa per cena mentre “gli
invasori” facevano baldoria giù nel nostro parco, alle nove e mezza tutti radunati intorno alle rotondine!
Alle dieci esatte cominciò il putiferio: sembrava di essere nel
Bronx, i maschi della Trekka
scesero tutti muniti di bastoni,
mazze di ferro trovate
per terra, qualsiasi cosa che potesse fare male. Pronti e via tutti al
parchetto contro “gli invasori”!
Partì la grande guerra, botte da orbi, gente che scappava e correva, gente
per terra piena di sangue mentre, tutte le
donne affacciate alla finestra erano preoccupate per ciò che stava succedendo. Ad
un certo punto, anche i carabinieri capirono ma soprattutto sentirono, quello che
stava accadendo. Uscirono tutti per intervenire e ci fu il fuggi-fuggi generale;
in meno di dieci minuti in tutto il parco non vi era rimasto nessuno!
Solo un gran caos per terra: mazze, spranghe, pattumiera, bottiglie rotte,
scarpe, pezzi di vestiti. Di persone non ve ne era più traccia né di “invasori”,
né di gente della Trekka: si erano spostati tutti in altre zone.
Il tempo passava, tutti a casa mia
eravamo preoccupati perché mio
fratello non rientrava. Mio padre era al
lavoro, non sapendo nulla di ciò che era accaduto. Angela ci mise a letto
tranquillizzandoci, e poi si mise a letto anche lei. A mezzanotte,
sentimmo dalla cameretta, gente che
stava tornando... noi ci svegliammo subito
affacciandoci, e girandoci a guardare il letto di Marco. Non era ancora tornato!
Corremmo a svegliare Angela, ci preparammo
velocemente e scendemmo per cercarlo
preoccupati. Finalmente lo vedemmo
tornare. Erano scappati tutti sotto il ponte dove passava il treno, ad
inseguire un gruppo di “invasori” che si erano chiusi in una macchina, i
ragazzi della Trekka avevano completamente distrutto la macchina.
Nei giorni successivi in Trekka si
respirava tensione e paura per quello
che era accaduto, per i
provvedimenti che i carabinieri
avrebbero preso. Ma poi fu messo tutto a tacere e di quella storia non si seppe
più nulla.
[1]
si chiamano così perché sono due rotonde piccole
unite tra loro a
forma di otto dove all’interno vi sono situati due alberi
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