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PISCINE FORLANINI
Il tempo passava velocemente fino ad arrivare ad un’altra estate; come
ogni volta facevo le prime due settimane al Ticino con lo zio che, oltre ad avere la passione del
biliardo, aveva la passione per la
pesca e quindi mi portava sempre
con lui. Lui si metteva
a pescare e io facevo il bagno e
giocavo. Al Ticino mi conoscevano e mi amavano tutti, ero biondo-biondo con gli
occhi verdi e sempre abbronzato… sembravo un marocchino. Finite le due
settimane, arrivava il momento di
andare a Milano, papà
non era un amante del mare nonostante fosse un napoletano doc, e quindi
ci portava spesso in piscina; ricordo che molte volte andavamo a piedi,
prendendo l’autobus e arrivando in un
grandissimo parco, il parco ForlaninI, e poi facevamo l’ultimo pezzo a piedi per
arrivare in piscina. Era un pezzo abbastanza lungo per noi piccolini, quasi 20
minuti a piedi non vedevamo l’ora di arrivare per buttarci in acqua.
Un giorno mio papà stava giocando con mia sorella più grande, Camilla:
lui voleva buttarla in acqua ma lei
scappava perché non voleva farsi prendere. Corri-corri, ad un certo punto un
signore che stava mangiando un panino si tirò indietro con la sedia, mio padre
non vedendolo prese dentro e fece un volo da film strisciando tutta la spalla
sulle piastrelle ruvide della piscina. Noi, ancora bimbi, alla vista di ciò e
vedendo tanto sangue iniziammo a piangere ma mio padre rialzandosi ci
tranquillizzò dicendo che non era successo nulla e, continuammo la giornata in
piscina anche se molto tristi.
Io, Marco e Sofia eravamo rimasti molto male dell’accaduto quindi
meditammo vendetta. La sera, dopo che papà ci mise a letto, e dopo che Angela
ci lesse la solita fiaba serale per farci addormentare… ad un certo punto della
notte ci alzammo, e prendemmo a strattoni e a schiaffi mia sorella Camilla togliendole il cuscino, le coperte, facendola
cadere dal letto a castello e non lasciandola dormire.
Mia sorella ci odiava perché questa prassi si faceva quasi tutte le sere, essendo lei la più grande le facevamo sempre tanti scherzi. Ma non era l’unica a cui
li facevamo; a mio fratello, siccome era l’unico fratello con gli occhi
scuri nonostante fosse gemello di Sofia e non le assomigliava per nulla, continuavamo a dirgli che era
stato trovato per strada e l’avevano adottato, inoltre avendo moltissime lentiggini da piccolo, io
gli dicevo sempre che quelle lentiggini
in realtà era cacca perché lui era stato sparato fuori dal sedere. Lui
vedendo che noi eravamo tre contro uno ogni tanto piangeva.
Insomma i tre mesi di vacanza procedevano così, ridendo, scherzando e
divertendoci tantissimo tra di noi.
Però non c’era solo divertimento o cose belle e positive; nei tre mesi che passavo a Milano con loro,
spesso quando mio papà ci portava giù in Trekka (si chiama così il quartiere
dove vivevamo e tutt’oggi vivono) ci
veniva a trovare Jessica (mia madre) con il suo nuovo compagno, Anselmo. Siccome
mio papà non voleva che la frequentassimo, visto il suo passato con la giustizia,
ci faceva salire in casa dalla vicina, finche lui e Anselmo non finivano di
picchiarsi. Mi ricordo questo particolare perché finito ciò,
papà saliva a prenderci dalla vicina un po’ segnato e riportandoci in cortile
diceva che chi riusciva a trovargli
i pezzi della collana sparsi nell’erba,
avrebbe vinto un buon gelato. Così tutti d’impegno a cercarli, e poi tutti in
piazzo Video, come se niente fosse successo a mangiarci una mega coppa di
gelato dal gelataio Ettore!
Tutto ciò fino a fine estate quando dovevo salutare tutta la famiglia tra
lacrime e fuga per la casa per non farmi prendere, e a malincuore tornare a
Busto Arsizio dagli zii, passando prima in sede dagli assistenti sociali.
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LE DOMANDE SENZA RISPOSTA
Più il tempo passava, più crescevo, più iniziavo a diventare grande, e
più mi facevo domande e cercavo risposte nella mia testa.
Quando facevo domande agli zii, l’unica cosa che mi dicevano era solo che
la mamma era scappata abbandonando tutto
e tutti, e che mio padre per motivi di lavoro non poteva occuparsi di me. Questo
era tutto, poi cambiavano argomento.
Invece quando andavo a Milano, non chiedevo mai spiegazione per paura di
reazioni negative… così non riuscivo mai a sapere la verità.
Ogni tanto a casa di papà suonava il telefono e in segreteria rimanevano messaggi che
papà ci faceva ascoltare, erano messaggi della mamma che minacciavano
l’intera famiglia dicendo cose pesantissime, insulti inimmaginabili rivolti a
tutti noi, dicendo anche che era entrata
in casa a piazzare una bomba che sarebbe
scoppiata da un momento all’altro.
Papà, ce li faceva ascoltare per farci capire che la mamma non stava tanto bene di testa e che era una
persona pericolosa, da evitare. Io sentendo quei
messaggi, non riusciva a capire come mai tanto odio nei confronti di
papà e nei nostri confronti, odio e
rabbia verso i figli che aveva messo al
mondo lei: fare domande in quel momento? No, non era il caso! Situazione troppo
delicata e complicata, così tenevo tutto dentro: sentimenti, sofferenza,
amarezza.
Mio padre capì che l’unico modo
per tenere lontano questa donna da noi e proteggerci era fare una
denuncia. Così prese la cassetta della
segreteria, prese noi figli e andammo dai carabinieri, la caserma si trova
proprio dietro casa. all’interno del quartiere.
Una volta arrivati, papà fece sentire loro la registrazione e fece
vedere i nostri volti terrorizzati
chiedendo se si poteva trovare una soluzione, i carabiniere dissero che l’unica
cosa da fare era una denuncia.
Provate voi, ad immaginare le sensazioni e i sentimenti che passavano per
la mia testa in quel momento, sentire di
nuovo quella registrazione con tutti
quegli insulti, parolacce, minacce di morte e vedere mio padre che firmava i
fogli di denuncia contro la donna che mi aveva messo al mondo!
Dopo aver fatto la denuncia riprendemmo la vita normale, andando in
cortile a giocare mentre papà si recava all’orto con Angela. L’orto l’aveva
costruito tutto con le sue mani, sembrava una seconda casa, era grandissimo:
all’entrata c’era un box per la macchina con un guardiano a controllarla (il
guardiano era un bellissimo labrador nero), poi si passava nel lungo corridoio, dove vi erano piante di ogni
genere e c’era una baracca (al suo
interno vi erano deposti attrezzi da lavoro),
fino ad arrivare nella prima zona dove c’erano piante di girasoli,
pannocchie, ed insalata. I girasoli era
le piante preferite da papà perché diceva che erano i fiori della gioia e
dell’allegria con i loro colori. Come
ogni orto che si rispetti era tempestato di spaventapasseri (fatti con vecchi
pupazzi e bambole) e lì c’era anche il secondo
guardiano, Rocky, un bellissimo pastore tedesco. Continuando per la
stradina, sempre con ai lati piante di ogni tipo, si arrivava alla seconda
parte dell’orto dove dietro la seconda
porta trovavamo il terzo guardiano, un cane collie, lì vi era un grande spiazzo dove c’erano ogni tipo di piante: patate, zucchine,
pomodori, prezzemolo, basilico, peperoncini , peperoni, zucche, finocchi,
carote, cipolle, aglio… c’era proprio di tutto. Dalla parte opposta
vi era un capanno dove, al suo
interno si trovavano 40 galline e un 1
gallo. Poi c’era un forno a legna e una grossa baracca adibita a casa, al suo
interno c’era un bagno, una sala, una cucina, una cameretta e una camera, tutto
costruito da papà, i mobili erano quelli vecchi di casa. A curare questa parte
d’orto altri due cani un bastardino e un altro pastore tedesco, cani
bellissimi. Quando papà tornava dall’orto si affacciava alla finestra del
settimo piano e continuava a controllarci, non togliendoci mai gli occhi di dosso fin quando non arrivava
l’ora di andare al lavoro a quel punto ci pensava Angela a controllarci, fino
all’ora di cena.
Alle sette si cenava, poi tutti davanti la televisione e dopo la fiaba della buonanotte.
Per quanto riguarda la televisione i film preferiti da Camilla, Marco e Sofia erano tutti quei film di paura con
pagliacci, oppure quelli di Naitmer,
dove c’erano sangue e uccisioni. Il problema era che io, essendo il più piccolino, non
volevo assolutamente guardare quei film
ma ero costretto a guardarli mentre loro
mi prendevano in giro per la mia fifa. Ogni tanto Marco senza farsi
vedere da me, si nascondeva sotto il letto, o nell’armadio, e ad un certo punto
usciva facendomi spaventare, Camilla e
Sofia ridevano mentre io scoppiava in lacrime. Giunta l’ora di dormire, a quel
punto io a non volevo chiudere occhio
perché avevo paura che qualche personaggio cattivo uscisse dall’armadio o da
sotto il letto, così minacciavo gli altri fratelli che se avessero spento la
luce li avrei tenuti svegli tutta notte; a quel punto Marco era costretto molte
volte a dormire insieme a me nel mio
letto, o visto che io e Sofia avevamo il letto vicino lei doveva dormire
tenendo la mia mano e io non la mollavo per
tutta la notte.
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