WORLD PISTACCHIO DAY
di Valentina Bottini
WORLD PISTACCHIO DAY
di Valentina Bottini
-Elaborato di Valentina Bottini e Silvia Carlini-
All’origine
della sua fondazione c’è il desiderio della famiglia Volpi di avere
una casa che potesse essere luogo di incontro anche per altri rivivendo così
quello che aveva sperimentato in Africa; abitare la casa e vivere la sua quotidianità dà significato a
relazioni, spazi e cose. In inglese house designa l’edificio abitativo e
home si riferisce alle relazioni vissute all’interno di quelle mura, in
italiano il termine casa è usato sia per lo stabile in cui si abita sia per
l’insieme di persone che vivono al suo interno evidenziando il legame con le
relazioni che si vivono lì. La casa in italiano viene intesa come luogo della
quotidianità, della sicurezza, del benessere e della familiarità.
La
comunità, che ha sede in una villa di proprietà della famiglia Radice Fossati
che inizialmente con un contratto di comodato d’uso gratuito e successivamente
concesse gratuitamente la struttura al comune di Milano che riconoscendo il
valore sociale nel territorio ne ha mantenuto il contratto di comodato d’uso
con la comunità di famiglie, viene fondata in un preciso periodo storico
caratterizzato da grandi ideali e moti popolari in cui la ricerca di un posto
dove vivere veniva prima della ricerca di un’occupazione lavorativa.
La
struttura si compone di diverse parti: villa Marietti, la casa del fattore, le abitazioni dei contadini e le
scuderie. Il cancellone che è all’entrata della struttura è sempre aperto
proprio come simbolo di accoglienza. I giardini e gli spazi esterni sono
accessibili liberamente e due sale possono essere prenotate su offerta libera
per feste e incontri; le stesse sono anche utilizzate come sede di attività per
diverse associazioni. Vi è presente una piccola cappella dove presiedono la
messa i padri gesuiti.
I
gesuiti di Villapizzone preparano momenti di preghiera e delle lectio
divinae a cui può partecipare chi è interessato e sono punti di riferimento
per le famiglie che riconoscono il valore della loro presenza e si sentono
fortunati poiché riescono a coltivare l’aspetto spirituale nelle loro giornate.
Le
famiglie si ritagliano momenti di coppia e individuali per avere un’attenzione
al loro percorso spirituale; la scelta dello stare in comunità viene spesso
ripresa, rivalutata e riconfermata nel chiedersi come è entrata a far parte
della propria vita e cosa ha ancora da dire al proprio “cammino”. Con cammino
si intende il dare un senso alla propria esistenza nel rileggere fatti,
pensieri e intuizioni cercando la presenza di Dio.
Chi decide di
risiedere a Villapizzone sceglie un modo di stare nella quotidianità che
incarni i valori di accoglienza e condivisione presenti nel Vangelo; le stesse
famiglie della comunità hanno pregresse esperienze oratoriane o di scoutismo o
di volontariato estero, luoghi dove
hanno sperimentato questi valori e li hanno fatti propri cercando un
modo di riproporli nel proprio vivere quotidiano e di concretizzare l’idea di
esserci totalmente per chi ha bisogno senza compenso. Nel
volontariato infatti non c’è un compenso monetario per quello che si fa ma è
tutto gratuito, l’essere d’aiuto a un’altra persona non richiede in cambio dei
soldi. Quindi per lavoro si intende qualsiasi attività che possa essere una
risorsa per la comunità e per chi viene accolto in essa. Alcune persone hanno
optato per un lavoro part time, in alcune coppie vi è chi lavora e chi si
occupa della gestione della casa, altre sono in pensione.
L’accoglienza
segue il contesto cristiano cattolico e quindi è data dal considerare qualsiasi
persona si incontri come fratello poiché figlio di un unico Padre.
La forma dell’abitare condiviso di Villapizzone, infatti, è quella della
comunità di famiglie di ispirazione religiosa caratterizzata da valori quali:
la solidarietà, la sobrietà, l’accoglienza e la condivisione.
La
solidarietà e l’accoglienza deriva dalla logica morale presente nella religione
cristiana e ormai secolarizzata nella cultura italiana secondo cui è bene agire
seguendo la regola d’oro che antepone il bene dell’altro al proprio, ovvero
fare agli altri ciò che vuoi sia fatto a te. Seguendo questi valori, chiunque
passi per Villapizzone è ritenuto già un fratello, la cura dell’altro è presa
come responsabilità individuale e il legame affettivo si consolida nelle
pratiche dell’abitare. Ciascuna
famiglia ha un proprio spazio dove vivere, una propria autonomia sulla gestione domestica e accoglie
in casa persone in difficoltà, bambini in affido e migranti che
diventano parte della cerchia familiare. La coppia è vista come il fondamento della
famiglia e come un’unica unità dalla chiesa cattolica, il semplice stare
insieme a tavola e raccontarsi la propria giornata diventa occasione per
riunirsi e percepirsi come famiglia.
La
condivisione viene scelta poiché si cerca di vivere le parole del vangelo
“gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date”(vangelo di matteo, 10,8).
Ogni mese le famiglie si trovano per un incontro dove discutono insieme della
loro esperienza in comunità; la condivisione delle fatiche, delle emozioni,
degli avvenimenti fatta in plenaria alimenta anche la fiducia reciproca e il
senso di fraternità.
La
condivisione non è solo di esperienze quotidiane, di spazi, di
tempo e di beni materiali, ma è anche di soldi attraverso la
cassa comune che è il modo che la comunità ha adottato per gestire il denaro e
provvedere alle spese. Gli stipendi e gli affitti delle famiglie, le donazioni
alla comunità, la quota annuale dei gesuiti viene depositata su un conto comune
e quei soldi vengono considerati di tutti. Solo due persone hanno la firma sul
conto corrente e hanno la possibilità di vedere i movimenti bancari e sono: il
cassiere e il presidente. Essi si occupano della gestione dei soldi, dei
pagamenti delle spese comuni e dei bilanci; il cassiere riceve a inizio di ogni
mese una mail da ciascuna famiglia e poi fa un bonifico con l’importo indicato.
La cassa comune toglie la preoccupazione di non riuscire a arrivare a fine mese
e di fare affidamento solo sulle proprie forze, permettendo alle famiglie il
proprio mantenimento, di coprire le spese domestiche (che comprendono anche i
costi per l’istruzione dei figli o quelli per andare in vacanza) e di fare esperienze che una famiglia da sola
non si sarebbe potuta permettere. Essa a fine anno viene azzerata ovvero i
soldi presenti vengono donati o alle associazioni che operano sul territorio o
a degli enti caritatevoli.
Negli
anni l’esperienza comunitaria è stata stimolo per la nascita di altre 35
comunità, sparse per tutta Italia, le quali si racchiudono sotto il nome di Associazione
Mondo di Comunità e Famiglia.
-Intervista di Valentina Bottini-
1. Presentati a 360°
«Ho 69 anni e sono sposato con Miranda
da 50. Ho due figlie e tre nipoti già maggiorenni. Provengo da una famiglia
contadina; sesto di otto figli. Ho fatto la scuola media in seminario a Voghera
e in un secondo tempo ho acquisito un attestato da disegnatore meccanico
progettista. Per esigenze famigliari, ho iniziato a lavorare all’età di 16
anni, presso un fabbro. La mia ambizione però era un’altra. All’età di 25 anni
sono entrato alla Colines (Costruzione linee estrusione cioè impianti per la
lavorazione della materia plastica), un’azienda giovane ma con una grande
voglia di crescere. Collaudato il primo prototipo di Pluribal, si è passati a
dei veri impianti; da quel momento il mondo è diventato la mia seconda casa. A
quei tempi non esisteva ancora il PC così ho iniziato a tenere un diario di
bordo con rapporti giornalieri che servivano come informazione all’azienda, la
quale si lamentava perché erano troppo lunghi: mi piaceva scrivere.
Mi piace sottolineare sempre “la mia vita da motociclista”; quel mezzo che
mi ha
permesso di conoscere mia moglie e che per molti anni ci ha portato a incontrare
e conoscere persone di ogni rango. Io avevo 17 anni e lei è salita sulla mia moto che ne aveva 14. Due anni dopo
ci siamo sposati e nonostante sia nata la prima bimba, la moto non ci ha mai
lasciato. Negli anni i mezzi sono
cambiati, ma l'amore per le due ruote non è mai svanito».
«Sono in pensione da parecchi anni e
utilizzo i viaggi del passato per raccontare le mie avventure. Oltre a questo, mi
piace ballare, mi dedico all’allevamento di pappagalli (la mia passione di
sempre) e al MCC (Movimento Cursillo Cristiana) al quale faccio parte da ventotto
anni».
«Nel 1997 ho partecipato, con mia moglie, alla presentazione della pastorale
di Mons. Renato Corti, (ex Vescovo di Novara) il quale conosceva il nostro
passato e le rocambolesche avventure con dei ragazzi tossicodipendenti raccolti
per strada e aiutati nelle loro disperate scelte. Al termine della serata mi ha
consegnato il suo libretto con una dedica ben specifica: “A te e Miranda, affinché
la propria testimonianza possa scrivere una pagina di Vangelo”. Tenere un
diario di bordo era semplice, ma scrivere una storia era differente. Così mi
sono inventato un personaggio e ho raccontato la sua storia basandomi sul mio
vissuto. É nato: “il Caccia-Vite” (Il cacciatore di vite umane). Ho devoluto gli
entroiti al movimento MCC. Da allora ho continuato a scrivere».
«La
tematica del “Caccia-vite” è la
persecuzione. Il personaggio viene oppresso fin dall’infanzia da qualcosa che
lui riconosce solo all’età di quarantadue anni e grazie all’esperienza del
Cursillo, lo individua, lo riconosce e lo combatte con la sola arma
disponibile: “Il Rosario”. Da quel momento la sua vita cambia. Da perseguitato
diventa persecutore, lo cerca nei luoghi dove s’insinua e lo annienta.
Nei “Tronchi del Golgotha” tratto
l’argomento della conversione. A Osmaneli, una cittadina poco lontano da
Istanbul, il protagonista entra in una grotta, viene a contatto con una catasta
di tronchi segnati con numeri romani e scopre la loro storia. Inizia così la
sua avventura cercando d’impedire a dei malavitosi d’impadronirsene.
“Sabbie Mobili” si svolge in Brasile,
nelle favelas, parla di un amore eterno, un amore che va oltre l’infinito,
l’amore di due ragazzi spezzato dal traffico di organi umani.
Per
ultimo “Il Sacrificio”. Un romanzo
sulla manipolazione genetica, dove la donna viene usata per un macabro scopo.
Non è un documento, neppure una ricerca sulla morfologia di un insetto, né vuol
essere una tematica su argomenti esistenti. Questo romanzo è nato dal bisogno di
far conoscere quanto la pazzia dell’uomo si sia spinta e si sta tuttora
spingendo oltre i principi umani, dove il diritto di vita o di morte è
stabilito in proporzione al numero di nascite. Ancora una volta, il singolo
individuo può fare la differenza, spingendosi eroicamente là dove altri non si
sarebbero mai sacrificati. Un racconto che potrebbe sembrare una storia
inventata, se non fosse per le esperienze vissute in Cina e in India ai piedi
dell’Himalaya».
«Generalmente scrivo al mattino presto, quando la mente è riposata e i ricordi mi appaiono come fossi là in quel momento. I miei libri raccontano storie di vita vissuta, con un po’ di fantasia, quel poco che serve a stimolare il lettore e farlo arrivare alla fine con animo sognante, senza tuttavia allontanarmi troppo dalla realtà. Alcune volte traggo spunto da storie che altri mi raccontano. Oppure da avvenimenti che accadono nel quotidiano».
«Lo scopo è quello di far conoscere al lettore fatti o avvenimenti che
nessuno può raccontare, perché sono episodi che in parte io ho vissuto e in
parte lui sta vivendo senza rendersene conto. In questi anni la tecnologia ha
preso il soppravvento. Siamo tutti prigionieri del cellulare. Il popolo si
dimentica di socializzare, di ascoltare il notiziario, di leggere e se lo fa è
solo perché viene obbligato. L’uomo ha dimenticato la sua materia, si crede
superiore a ogni essere vivente, mira al potere e calpesta tutto ciò che lo
ostacola. Molti lettori hanno avuto modo di trarre dai miei scritti riflessioni
che li ha portati a trasformare il modo di vivere. Il Caccia-Vite ha cambiato
la vita a centinaia di persone. In Valtellina molte famiglie si sono
riavvicinate a ciò che avevano dimenticato; la fede. Ha cambiato il loro
quotidiano. Chi ha letto i Tronchi del Golgotha ha poi partecipato a
un’esperienza di vita spirituale e ritrovato i benefici dell’anima. I Tronchi
vivono negli ambienti, sono in mezzo a noi, ma l’uomo è cieco. La mia mano scrive,
ma chi dettava non fa parte di questo mondo. Non è facile comunicare a un sordo
che non vuol sentire».
«Scrivere è scaricare quel che ho dentro. L’angoscia, la sofferenza, la delusione della vita, la paura di questo mondo malato di potere. Sono cosciente di espormi quando scrivo. Sento le critiche altrui, i loro pettegolezzi, la loro invidia, per questo cerco di non scrivere mai quel che pensano gli altri. Word permette a tutti di scrivere ma quando ho iniziato io c’era la penna e la carta, perciò dovevo far attenzione altrimenti il cestino ingrassava. Molte volte le mie lacrime hanno bagnato i fogli, ma anche queste erano parole scritte, scaturite dal cuore, frutto di tragiche storie d’amore. Altre volte mi divertivo, sorridevo, gioivo e pensavo al lettore: cosa avrebbe capito? Emozioni, sensazioni, patos, ecc: cose che vorrei trasmettere».
«È sempre difficile dare buoni consigli, molte volte si sbaglia anche se si
pensa di essere nel giusto. Mi capita d’incontrare amici o conoscenti che mi
chiedono cosa fare per scrivere ciò che hanno in testa: ecco questo è il
problema. Non si deve mai scrivere quel che la testa pensa, ma ciò che il cuore
detta. Bisogna fare un layout della storia, una bozza che ti permetta di
svolgere il lavoro senza intoppi. Alcune volte io scrivo prima il finale, poi
un fatto che mi dia l’input per arrivarci. A quel punto incomincio dall’inizio
con un fatto che incuriosisca il lettore a non cestinare ciò che ha iniziato a
leggere. Tutto dipende da cosa si vuol raccontare: fantascienza o fantasia si
può partire a ruota libera, non ci sono regole. Se invece ci si vuole
avvicinare alla realtà, allora è meglio documentarsi sulla tematica per non
cadere in stramberie assurde. Infine, c’è il libero arbitrio, ma attenzione: con troppa libertà la carta diventa straccia.
Un consiglio: non pubblicare mai un “E-book”. Il libro è un libro e lo rimarrà
sempre, il virtuale nel tempo scompare».
«Sto scrivendo “Il viaggio di Clara” una ragazza che soffre di “Sinestesia”
(termine tecnico), io la definirei: affetta da una forma di empatia cronica.
Il dolore degli altri diventa il suo dolore. Lei è predisposta a una patologia che le fa vivere delle tempeste percettive. Nasce con una forma di empatia particolare; sente e prova la sofferenza altrui, associando i colori ai differenti malesseri. Fin dall’infanzia viene derisa e bullizzata perché descrive sensazioni che nessuno può provare: il suono dei colori, il profumo della musica, il fluido roccioso. Vive quello che le accade senza poter estraniarsi dalle persone e dall’ambiente che la circonda. Le sue sono esperienze improvvise. Visitata dai più illustri della medicina, le viene diagnosticato una forma di sinestesia. A causa di un incidente riesce a vedere i concetti e le forme astratte. Inizia a viaggiare in un mondo che non le appartiene, alla ricerca di qualcosa che potrebbe aiutarla. È forse nella mitologia egizia, o fra le pagine del cristianesimo che trova la soluzione al suo malessere?
Questo mi sta impegnando da tre anni e
ancora le mie ricerche non sono terminate».
«Nel
2016, attraverso FB abbiamo formato un gruppo chiamato “Youcaniani” e fatto la
prima fiera letteraria a Padova. Nessuno si conosceva di persona, perciò tutto
è stato fatto basandoci sulla fiducia. In seguito, il passa parola, ha fatto si
che il numero aumentasse fino ad arrivare a ottanta scrittori. Ci siamo
autofinanziati, abbiamo pagato uno stand alla fiera del libro di Rho (prov.
Milano) e ci siamo divertiti nelle presentazioni. Io ho sempre fatto parte degli
organizzatori. Il mio compito era quello di ricevere i libri da tutta Italia,
trasportarli in fiera e aiutato da altri ragazzi, curare le vendite. Al termine
avveniva la spedizione dei testi avanzati con relativo compenso. Nel 2019
Milano ha deciso di non organizzare più la fiera letteraria e di lasciare a
Torino l’esclusiva in modo che solo le grandi case editrici potessero
parteciparvi. Così il gruppo “Youcaniani” si è sciolto e si sono formati
piccoli gruppi sparsi in tutta Italia. Partecipando a manifestazioni, danno
modo a noi scrittori di aderire con i propri testi. L’amicizia che si è creata
è rimasta e ci si aiuta».
«Dopo l’orario di
lavoro Cesco si recava in un locale arredato con poltrone, grossi cuscini e un
mobile bar. Incontrava vecchi amici, ragazzi che come lui lavoravano e si
distraevano davanti a una birra. Ascoltavano musica e parlavano dei tempi
trascorsi nei boy-scout. Tutto sommato, a parte qualche canna, Cesco non vedeva
nulla di riprovevole. Proprio in questo locale conobbe un ragazzo che
raccontava esperienze di vita, viaggi in città d’Europa dove lo spinello era
alla portata di tutti: Amsterdam, Berlino, Parigi, nomi che a lui parevano di
un’altro pianeta. Nell’ascoltare quell’avventuriero gli venne in mente un
vecchio amico del passato, anche lui uno di mondo. Cesco si sentì inferiore
perché non aveva mai provato quelle esperienze, così chiese che gli venisse offerta
una possibilità. Venne subito accontentato. Una caramella da succhiare, un
sapore dolciastro quasi sgradevole, un senso di nausea e un peso allo stomaco.
Cesco uscì con l’intento di respirare un po’ d’aria fresca. Fuori dalla stanza
si trovò in un cartone animato: tutto era diverso. Il verde dei prati sembrava
risaltare e voler essere di sopravvento sui colori delle case e dei cartelloni
pubblicitari.
Guardò
gli alberi e gli sembrava che qualcuno avesse dipinto di giallo qualche foglia.
“Un colore sbagliato” pensò. Cercò di arrampicarsi per toglierle, ma le forze
gli mancarono. Abbassò lo sguardo e venne
distratto da una margherita: il giallo era al posto giusto. Rimase immobile a
contemplare quel fiore che sembrava parlargli.
«Come sei piccolo» disse. Poi attese in
silenzio, aspettando una risposta.
«Io sono piccolo, ma grande è la mia
esistenza, ogni anno la mia vita ricomincia. Tu invece sei grande ma piccola è
la tua esistenza perchè vivrai una sola volta.»
Cesco pensò che forse quel fiore voleva
comunicargli qualcosa, portarlo alla realtà, destarlo da quell’ipnotismo. Si
guardò le mani e vide le grosse vene palpitare, le massaggiò con forza quasi
volesse toglierle, vi passò la lingua e sentì uno strano gusto di metallo. Si
avvicinò a un lavandino, aprì il rubinetto, bevve un lungo sorso d’acqua, si
lavò le mani e sciacquò il viso. Alzato lo sguardo vide un ragazzo con le
pupille dilatate, gli zigomi tirati e pallidi. Allungò la mano e toccò lo
specchio. La realtà lo portò a riflettere: “Io non sono più io, allora chi è
quello?” Si voltò e vide un passerotto appoggiato su di un ramo: «Dimmi chi
sono io?»
Il passerotto cinguettò e volò via.
Vide una farfalla volargli attorno, la seguì
dolcemente finché non la vide posarsi sulla punto del suo dito. Aveva dei
colori fosforescenti, molto simili all’arcobaleno, gli occhi erano
esageratamente grandi sproporzionati alla testa. Cesco trattenne il fiato
temendo di spaventarla e bisbigliò: «E tu, chi pensi chi io sia?»
L’insetto rimase immobile, si spostò
nell’altro dito e il ragazzo continuò a guardarla negli occhi.
«Portami con te, fammi vedere il mondo,
mostrami le gioie della vita e i difetti dell’uomo.»
La farfalla non si mosse. Lui soffiò ed essa
si mise a zigzagare sopra alla sua testa finché non si posò.
In quel momento Cesco capì di essere un fiore
e che quella non era la realtà, ma solo un’allucinazione prodotta da una
caramella contenente LSD.
Poco
alla volta l’effetto passò, le sue gambe diventarono flosce, lo stomaco si contorse
e la sete gli bruciò la gola. Tutt’intorno i colori ritornarono naturali,
riacquistando le loro tonalità. Il sole stava tramontando e il cielo era
colorato di rosso vermiglio. Si risciacquò il viso, bevve qualche sorso d’acqua,
poi si riassettò gli indumenti, salì in auto e tornò a casa. Varcata la soglia
guardò sua moglie col pancione, in attesa del secondo figlio e rimproverando se
stesso per quell’esperienza, provò vergogna e disprezzo per essere caduto così
in basso.
Non tornò più in quel locale e non raccontò
mai alla moglie l’accaduto. Poco alla volta incontrò quei ragazzi, li persuase
a cambiare posto, alcuni se li portò a casa aiutandoli ad uscire da
quell’orribile giro, altri ne rimasero coinvolti. Cesco non si diede pace
finché quel locale non venne distrutto e quel ragazzo dalle mille esperienze
arrestato.
Da quel fatto, Cesco si rese conto che non
sempre dalle cattive esperienze maturano cattivi frutti, basta capirle,
trasformarle in esperienze positive per poi servirsene e aiutare gli altri a
non commettere gli stessi errori. A non lasciarsi trasportare dal vento, perché
oggi viaggi a gonfie vele, ma domani sei fermo in mezzo al mare. Perché la tua
vita ti appartiene fino a quando qualcuno non la raccoglie come fa con un
fiore, perché in fondo l’uomo è un fiore, nasce riversando il suo crescere
negli altri».
12. Se fossi un personaggio storico chi saresti?
«Fin da ragazzo sono sempre stato attratto da storie d’avventura, dove il
protagonista è l’eroe che fa giustizia. Mi sono sempre posto una domanda: Cosa
spinge l’uomo a combattere per la giustizia e per amore? Se avessi potuto
scegliere in quale epoca nascere, avrei scelto il medioevo. Tuttavia io sono io
e non mi rispecchio in nessun personaggio del passato, perché ogni essere umano
ha la sua storia».
«Qui mi viene da ridere… pignolo,
polemico, altruista».
14. Tre aggettivi con cui tu ti autodefinisci? Perché?
«Scrupoloso: voglio che le cose siano sempre precise. Incosciente: perché mi
butto senza paracadute in situazioni anomale. Amorevole: perché amo tutto ciò
che mi circonda».