25 LE SCUOLE FINITE
Le scuole ormai erano finite, le nostre strade stavano per dividersi
definitivamente, tranne la mia e quella di Alice che eravamo ancora insieme, ci
dovevamo solo dividere per le vacanze estive. Lei al mare con i suoi genitori e
io a Milano con la mia famiglia. Quell’anno ricordo che non successe nulla di
eclatante a Milano, fu anche l’unico anno in cui feci il bravo con le ragazze
sapendo che a casa c’era Alice che mi aspettava. O forse perché ero ancora
scottato da Vanessa, infatti frequentando lo stesso oratorio, ci vedevamo
spesso e ogni volta che la vedevo il mio cuore sembrava esplodere e le mie
gambe facevano giacomo-giacomo[1].
Avevo ormai quindici anni, anche
quell’anno per me non ci fu il mare.
Stavolta le vacanze estive volarono in fretta, pronti per tornare a casa.
Per una volta niente scuola però, sapevo che dovevo trovare un lavoro per
aiutare i miei zii in casa. Quindi mi iscrissi all’ufficio di collocamento e
nelle agenzie per il lavoro. Rispetto alla mia compagnia non avevo ancora il
motorino perché mio zio aveva paura a farmelo comprare e non voleva, così gli
spostamenti erano con la bicicletta; era difficilissimo trovare un lavoro a
soli quindici anni con la bici.
Arrivammo così fino a Natale, che passai a Milano come ogni anno con la
mia famiglia, e arrivò anche il giorno del mio compleanno. Il 16 gennaio compii
sedici anni, stavo crescendo a vista d’occhio. Un giorno andando agli
allenamenti di calcio, il mio allenatore che lavorava con suo papà in una ditta
tessile, mi disse che stavano cercando un operaio, se volevo lavorare per lui.
Ovviamente accettai subito, non sapendo che non bisogna mai andare al lavoro
con un amico perché se dovesse succedere un piccolo screzio rovini anche
un’amicizia. Così purtroppo accadde dopo due mesi di lavoro litigammo, io presi
e me ne andai. Presi il mio primo stipendio di 500 mila lire. Con quei soldi,
visto che era difficilissimo trovare un lavoro avendo solo la bicicletta per potersi
spostare, convinsi mio zio a comprare un motorino. Comprai un Booster Spirit
dal mio amico Max, io e lui avevamo un amicizia unica, profonda, ci eravamo
conosciuti in chiesa alle elementari, e avevamo fatto le medie nella stessa
classe. Tutte le domeniche mattina
andavo a casa sua, facevamo colazione insieme con la sua famiglia e poi
andavamo in chiesa, eravamo come due fratelli.
Bellissimo, finalmente avevo un
motorino e così arrivò subito un lavoro: carpentiere metalmeccanico, in pratica
il fabbro. Finalmente girava tutto col piede giusto: ragazza, motorino, amici e
soldi per aiutare in casa.
Durante l’anno lavorativo, finito il lavoro uscivo con Alice
allontanandomi un po’ dalla compagnia perché lei era molto gelosa e possessiva,
mi voleva tutto per lei. Anche il calcio stava iniziando a sparire infatti
passarono diverse squadre interessate a me a cui per lei dovetti rinunciare. Il
problema è che i treni nella vita ti passano davanti una volta sola.
26
UN TESORO
Decisi una volta per tutte di chiarire le cose con Alice, io rimanevo con
lei, ma non dovevo rinunciare nè al C.S.I. (visto che ormai i treni erano
passati) nè soprattutto non dovevo rinunciare ai miei amici. Siccome lei andava
a scuola e io al lavoro, ci vedevamo una volta che io avevo finito di lavorare,
e poi la sera dopo cena. Il sabato partite di calcio e domenica in oratorio con
lei e gli amici, le regole erano queste altrimenti ognuno per la sua strada.
Noi eravamo una compagnia che non stava mai ferma, avendo tutti moto e motorini, ogni
domenica andavamo in giro e quando era
bello andavamo nei diversi laghi a fare il bagno e prendere il sole.
Tra questi amici c’era pure Alessandro, vi ricordate che ve ne avevo
parlato? Lui era il mio migliore amico. Come dice il proverbio: “chi trova un
amico, trova un tesoro”. Ci eravamo conosciuti qualche anno prima in oratorio,
i nostri primi incontri non furono dei più piacevoli, infatti io e lui litigavamo spesso e quando
facevamo le partitelle tra di noi o in allenamento perché giocavamo insieme, ci
continuavamo a fare fallacci e a dare spintoni, finchè una domenica io e lui
litigammo pesantemente. A un tratto mi disse: “Perché invece di continuare a
litigare non diventiamo amici?”
Da quel giorno diventammo grandi amici, facevamo praticamente tutto
insieme. Alessandro era un ragazzo pieno di grinta, aveva diciassette anni era
un anno più grande di me. Anche lui aveva un po’ di problemi familiari, forse
era proprio questo che ci univa tanto. Avevamo lo stesso carattere, ci nascondevamo
dietro una corazza, il nostro modo di difenderci. Lui era soprannominato Spider
Man perché non aveva paura di nulla, si
arrampicava dappertutto sugli alberi e sui tetti, andava con la moto in cava,
cadeva e si rialzava, sembrava fatto di gomma, non si fermava mai davanti a nulla.
La paura gli faceva il solletico. Era
sempre pronto ad aiutare gli amici in qualsiasi momento, se vedeva un amico in
difficoltà o giù di morale, lui passava tutto il giorno con lui a farlo
parlare, sfogare, dandogli consigli, e alla fine riusciva sempre a strappargli
un sorriso. Non l’ho mai visto arrabbiato o deluso, o anche quando lo era aveva
sempre il sorriso stampato in faccia, trovava sempre il motivo e il modo per
riderci sopra. Pensate che un giorno giocando tra di noi sul campo
dell’oratorio, il nostro campo era in cemento, un altro ragazzo, Cesare, gli
fece uno sgambetto da dietro. Alessandro finì a terra picchiando il ginocchio
destro, rompendosi i legamenti ed essendo costretto a operarsi. Dovette andare in giro per sei mesi col tutore di ferro, e gli altri sei mesi di
riabilitazione. Ma anche quel giorno nonostante era arrabbiatissimo con Cesare,
perché sapeva che la stagione calcistica al C.S.I. era finita, riuscì a trovare il modo per riderci
sopra. Ricordo che Alessandro non poteva giocare a calcio, avendo la protesi di
ferro e la mamma non voleva assolutamente che entrasse in un campo di calcio.
Così agli allenamenti ci veniva a guardare ma, di nascosto dalla mamma
preparava la borsa e entrava in campo ad allenarsi. Ovviamente l’allenatore lo
richiamava sempre, ma non c’era verso di
farlo uscire dal campo, lui rideva e
continuava. Passati i primi sei mesi
tolse il tutore.
Alessandro aveva due moto: la mito gialla e la moto che usava per andare
in cava. Un giorno tornando dal lavoro e venendo in oratorio, Alessandro fece un incidente, la
moto era distrutta. Quando ce lo
raccontò noi eravamo spaventati per lui, volevamo sapere come stava ma lui,
come sempre col sorriso sulle labbra, disse che non dovevamo preoccuparci che
era una roccia, che era praticamente indistruttibile.
Lui lavorava già da due anni e
doveva comprare un mezzo per andare al lavoro. Per i primi tempi andò con la moto che usava per andare in cava
finchè un giorno con i soldi dell’assicurazione dell’incidente, si comprò di
nuovo una Mito ma sta volta nera, era la sua moto preferita. La trattava come
un gioiello, meglio di una ragazza, mi ricordo che la baciava anche. Alessandro
un giorno, si accorse che la mia storia con Alice non era proprio rose e fiori,
vedeva che non ero felice, vedeva che mi mancava qualcosa. Capì subito che mi
sentivo soffocare con lei, che non ero più io, così un sabato ci sedemmo a
parlare al tavolino del bar, mi parlò facendomi
sfogare, alla fine capì che io volevo lasciare Alice ma non riuscivo
perché lei aveva già sofferto troppo, non volevo soffrisse ancora e temevo che
avrebbe fatto una stupidata. La sua risposta fu: “Non puoi stare con una
persona solo perché hai paura di farla soffrire, perché allora soffrirai tu
togliendoti la tua felicità!” Me lo ricordo come fosse ieri. Alla fine riuscì
come sempre a farmi ridere e tornammo a giocare fuori. Lui sapeva benissimo che io non avrei trovato lo stesso il coraggio
per lasciarla.
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