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SUINA IN VISTA
Ed eccoci ancora una volta in macchina per partire, vacanze 2009 con Rebecca,
Veronica, Alessio, Giulio, Davide, Federico e Carmelo.
Arrivati finalmente a Cervia, mentre gli altri andavano a ritirare le
chiavi dell’appartamento io mi precipitai in spiaggia, non vedevo l’ora di
abbracciare e rivedere Giulio. Una volta in spiaggia vedendo Germano,
salutandolo e abbracciandolo, gli chiesi subito dove fosse Giulio che volevo
vederlo ed ero tornato soprattutto per lui, ma in quel momento i suoi occhi si
riempirono di lacrime ed ecco la triste verità… Giulio, il mio grande amico,
colui che era riuscito a tirarmi fuori da un momento nero per me, e a farmi
passare una vacanza indimenticabile l’anno prima, non c’era più, era morto due
mesi prima!
Il gelo, un silenzio di tomba, feci le condoglianze a Germano e gli dissi
che ci saremmo rivisti più tardi e lasciai la spiaggia, proprio in quel momento
giunsero gli altri ragazzi, anche Veronica aveva creato un rapporto grandioso
con Giulio e sia lei che Rebecca mi dissero: “Allora come va, portaci da Giulio
che siamo curiose di vederlo!” Volto scuro, dovetti dare la notizia anche a
loro. La vacanza iniziava col piede sbagliato. Ma appunto si trattava di
vacanza, eravamo lì per riposarci e divertirci, quindi dovevamo reagire, il
giorno dopo tutti in spiaggia ovviamente a “Playa Caribe” ormai era la nostra
spiaggia. Bagno, partita a carte, partita a bocce, partita a ping-pong, sole,
finalmente relax… ma quell’anno sembrava proprio non voler andare nulla per il
verso giusto. A Cervia un mese prima c’era stata un’epidemia di suina, e
sfortunati come non mai chi prese la suina?
Rebecca! Sì, un giorno lei non si
sentiva bene, aveva la febbre alta così volle rimanere a casa, io le dissi che
sarei rimasto lì con lei ma lei mi disse: “No, non è giusto che ti rovini una
giornata di mare per me! Vai pure non ti preoccupare” Così andai al mare ma alle undici mi arrivò una telefonata, era Carmelo che mi
diceva che lui e Federico stavano portando Rebecca in ospedale perché la febbre
si era alzata, così mi feci venire a prendere, andammo in ospedale. Io vestito
con costume e canottiera, occhiali da sole, infradito e ancora la sabbia
addosso, che terrone! La stavano visitando ad un certo punto ci dissero che si
trattava di suina, di non preoccuparci solo che avrebbe dovuto dormire in una
stanza da sola, e noi in casa avremmo dovuto tenere le mascherine. Tutti allora
si spaventarono e volevano che tornasse a casa, non volevano essere contagiati
ma io mi arrabbiai dicendo che lei non si muoveva da lì. Poverina era
demoralizzata al massimo, i giorni successivi non voleva che rinunciavo alla
vacanza per stare con lei quindi mi diceva sempre di andare a divertirmi mentre
lei stava a casa con la cugina e magari faceva un giro. Le vacanze purtroppo
volavano velocemente e Rebecca aveva fatto i primi tre giorni di mare e basta,
la sera faceva un giro in centro con Carmelo, Federico e Veronica mentre io, Davide,
Giulio e Alessio andavamo sempre al Caino. Ricordo che un girono passarono lì
davanti in macchina per salutarci, erano con la mascherina, li guardarono
tutti. Arrivammo a Ferragosto, Rebecca aveva ancora un po’ di febbre ma quel
giorno le dissi: “Adesso basta, non mi interessa; visto che con gli antibiotici
e le cure che ti hanno dato non ti passa, oggi te ne vieni al mare con me!” Lei
era contentissima anche se aveva un po’ di paura perché non le era passata del
tutto, ma un giorni di mare la rialzò totalmente, la febbre scesa e guarì. Da
quel giorno iniziavano le vacanza anche per lei quindi la sera tutti al Papete
a ballare e bere. Ma come sempre, tutte le cose belle prima o poi devono
finire, tempo di rientro a casa un’altra estate era finita era il momento di
tornare alla vita quotidiana.
Sicuramente una vacanza che non dimenticheremo mai!
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CROLLO TOTALE
I lavori a casa mia procedeva bene, col fatto che l’idraulico era mio
amico, l’impianto elettrico me lo fecero Marco e Ciro, e tutto il resto del
materiale, compresa la manodopera, mi aveva aiutato Giordano, sicuramente
risparmiai tantissimi soldi, senza contare che gli infissi li feci nella mia
ditta, l’unica cosa che pagai a prezzo pieno furono le porte interne che
dividono sala, bagno, camera, cucina e la porta blindata che fino ad allora non
c’era.
Ormai eravamo giunti al giro di boa c’era solo un piccolo problema ora da
risolvere, dovevo convincere gli eredi di mio zio, quindi i suoi fratelli, a
firmare le carte in modo che la casa rimanesse a me. In fondo io non gli avevo
chiesto nulla fino ad allora a loro, e
loro fino quel giorno non si erano mai fatti nè vedere nè sentire. Non pensavo fosse così difficile, in pratica ad ogni mia
lettera di avviso, loro non rispondevano o, se rispondevano, le loro risposte
erano sempre: “Di quella casa noi non vogliamo sapere nulla, puoi fare quello
che vuoi!” Il fatto era che per la legge loro dovevano metterlo per iscritto
nero su bianco.
Si da il fatto che gli anni passavano e le cose non si smuovevano, io
iniziavo a deprimermi e buttarmi sempre più giù perché le spese mensili da
pagare erano tante. In pratica lo stipendio non lo vedevo e non lo gustavo
neanche, tutto per cosa? ? Per metà appartamento!
Così iniziai ad arrabbiarmi e a
dichiarare guerra a tutti coloro che si mettevano sulla mia strada, stavo
tornando ad essere il ragazzo della Trekka, il ragazzo di strada; solo che con
questo atteggiamento a pagarne le conseguenze era anche il mio rapporto con
Rebecca, ma soprattutto lei che mi vedeva cambiare. Vedeva che mi stavo
chiudendo ancora una volta in un mondo tutto mio per non far più ritorno. Tutte le volte che andavamo a
trovare mio padre lui cercava di aiutarmi di farmi stare tranquillo, dicendomi
che si sarebbe risolto tutto, avrebbe parlato lui con i fratelli e li avrebbe
fatti ragionare. Mi diceva di non rovinare tutto per loro. Ma ormai stavo
iniziando a cadere senza rendermene conto, fermarmi ormai era impossibile! Rebecca
se ne era accorta di questa mia caduta libera, cercava sempre di tenermi su
senza abbandonarmi mai, nonostante tutto lei era lì a sorreggermi, ma io non me
ne accorgevo ormai ero accecato da tutto, l’uscita da questo tunnel era sempre
più lontana.
Intanto alcuni fratelli di mio zio e mio padre si fecero sentire
dicendomi che non avevano intenzione di spendere neanche una lira per fare le
pratiche, piuttosto non rinunciavano all’eredità. Così facendo io mi trovavo a
dover pagare le spese di un appartamento che probabilmente avrei fatto fatica
ad ottenere. Più il tempo passava più le cose peggioravano, anche mio padre
iniziava a non stare bene di salute, la sfortuna della famiglia Pepe sembrava
non aver fine. Dovette essere operato alla gamba per colpa di una vena che non faceva
passare il sangue nella giusta maniera, se non sbaglio si dovrebbe chiamare
trombosi. Quella fu una delle tante operazioni che dovette affrontare mio
padre. Ma nonostante non stesse bene ogni volta che andavo a trovarlo e gli
chiedevo come stava lui continuava a rispondermi: “Bene, ma non ti preoccupare
di me, tu piuttosto come va?” Anche lui
pensava sempre agli altri, a me e a Marco, che eravamo quelli messi peggio.
Dopo di noi veniva la sua salute.
Mi ricordo che un girono mi portò da uno dei suoi fratelli che non voleva
firmarmi i fogli della casa, questo fratello era in debito con mio padre perché
papà l’aveva sempre aiutato quando era nei guai, anche lavandogli e stirandogli
la biancheria, ma soprattutto gli aveva dato tanti soldi, alla fine lo convinse
dicendogli: “Con tutto quello che ho
fatto per te, ora tu devi fare una cosa per me, ti conviene firmagli
questi fogli!” Alla fine me li firmò, il problema era che mancavano ancora 4
fratelli di mio padre più le mie sorelle Siria e Carmela e mio fratello Esposito,
loro non si facevano proprio sentire.
Ormai per quell’anno mi rassegnai ero caduto troppo in basso, non mi
interessava più nulla di nulla non avevo più voglia di combattere, ero stanco…
neanche Rebecca riuscì più a tirarmi sù anzi stavo rischiando di portare giù
anche la cosa più bella che avevo al mio fianco ma ormai non riuscivo più a
vedere.
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TORNA IL RAGAZZO DI STRADA
Eravamo giunti per l’ennesima volta alle vacanze estive, questi anni
erano passati troppo velocemente e troppo male. Il mio rapporto con Rebecca ne
stava risentendo, ma non per colpa sua, anzi lei è sempre stata un amore,
standomi sempre affianco e cercando sempre di rialzarmi senza abbandonarmi mai.
Subendo anche il mio bruttissimo carattere e soffrendo tantissimo interiormente
perché vedeva che il ragazzo dolce, sensibile, generoso, con un cuore enorme
che aveva conosciuto fino ad allora, stava sparendo per far spazio al ragazzo:
duro, orgoglioso, senza rispetto degli altri e con il cuore di ghiaccio. Ma nonostante tutto lei non si arrendeva.
Quell’anno per motivi futili, banali, inventati decidemmo, o meglio
decisi di fare le vacanze separate. Alcuni amici avevano già prenotato per Ios[1]
e anche noi stavamo prenotando per quel posto in modo da stare tutti insieme.
Io dissi subito agli altri ragazzi che ovviamente volevo che ci fosse anche Rebecca,
il problema era che saremmo stati tutti maschi e uno di questi mi convinse a
non farla venire dicendomi: “Cosa la fai venire a fare? Siamo tutti maschi, lei
sarebbe l’unica donna si romperebbe le ….!” Io però continuavo ad insistere
finchè alla fine non mi convinse, comunicai la decisione a Rebecca e
giustamente lei ci rimase malissimo anche perché io avevo scelto loro a lei.
Una volta deciso prenotammo, la settimana dopo si aggiunsero a noi altri amici
e tra di loro c’erano anche delle ragazze a quel punto io smattai[2]
contro colui che mi aveva detto di non far venire Rebecca, lui mi disse: “Cosa
ci posso fare io, come facevo a sapere che sarebbero venute altre ragazze?” Io
era arrabbiatissimo e quando lo dissi a Rebecca, lei si arrabbiò ancora di più
giustamente con me e con lui, rimanendoci malissimo; non mi parlò per un po’ di
tempo. Vivevamo sotto lo stesso tetto e parlavamo solo se era necessario. Tutta
questa situazione stava diventando difficile, io stavo diventando difficile!
Arrivarono le vacanze, partimmo Rebecca
alla fine fece la vacanza con i suoi genitori. Eccoci arrivati ad Ios, l’isola del divertimento puro, dell’alcol
a go-go, delle ragazze facili. Iniziai
subito col piede sbagliato, ero triste da una parte perché non c’era Rebecca e
arrabbiato ancora dall’altra parte col mio amico per quel fatto, ma alla fine
su quell’isola eravamo in 40. Praticamente c’era tutta Busto! La prima sera fu
tranquilla conoscenza del posto, mare, baretti, io comunque iniziai a viaggiare
in un mondo tutto mio, la testa vagava, i problemi tornavano a galla, la mia
vita iniziava a non piacermi più soprattutto perché col mio modo di fare stavo
allontanando la ragazza più importante che avevo.
Alla fine scelsi la strada più facile, quella che mi avrebbe rovinato per
sempre la vita, quella dell’alcol e del fumo. Tutte le sere con i miei amici eravamo tutti ubriachi, non ce n’era
uno sano, facevamo fatica a tornare a casa anche in motorino -che era il nostro
mezzo di trasporto, un motorino per due persone, io ero con Vittorio. Chi
sdraiato per terra, chi a letto, chi a vomitare. La cosa buona era che io non
arrivavo mai a vomitare mi fermavo sempre prima. La giornata di molti, me
compreso, infatti era: ore 11 del mattino mare fino le 19, a quell’ora andavamo
al “Far Out” che era un bar con piscina
e pista da ballo, dove si beveva fino le 21 e già lì molti erano ubriachi, poi
si tornava a casa in motorino ci si lavava e per le 23 si mangiava. Dopo
ciò si rideva e scherzava fino le 24, chi voleva beveva ancora, e poi si
tornava fuori… giro per il centro e per i baretti dove c’era musica e alcol -ci
si riempiva di chupiti fino le 2 di notte- e
a quel punto apriva la discoteca, dove con 5 euro bevevi 2 consumazioni.
Si stava a ballare fino alle 8:30 del mattino, una volta usciti dopo tanto
alcol, si mangiava la pita (piadina greca con carne, cipolle, insalata,
pomodori, patatine, ketchup). Alle 9:30
si tornava a casa dove ci si metteva a letto per chi riusciva fino le
11. Alle 11 di mattina ripartiva la giornata!
Il grandissimo problema, era che io dopo la seconda sera non capivo
nulla, ed essendo tornato ad essere il ragazzo senza cuore, ascoltai gli amici
sbagliati che mi dicevano: “Divertiti quando tornerai a casa si vedrà!” Lasciai
la Rebecca nel peggior modo in cui si può lasciare una ragazza, da vigliacco, per telefono, mandandole un messaggio, ovviamente
dopo aver bevuto. Solo la mattina quando mi passò la sbronza capii cosa avevo
fatto, ma ovviamente era troppo tardi,
io ormai ero per terra e non volevo più alzarmi. Furono due settimane di
devasto tra alcol, fumo, ragazze facili, un disastro tutti rimorchiavano a
destra e a sinistra e concludevano anche portandosele a letto; finche un giorno
ci cascai anche io e mi lasciai andare, iniziai a fare la vacanza da ragazzo
senza cuore ma che si voleva solo divertire come tutti. Rimorchiai un paio di
ragazze, ma senza farci mai sesso perché ogni volta, anche se sembrerà strano
da credere, mi sentivo un verme, solo che l’alcol e il fumo aiutavano tanto.
L’ultima sera fu la più bella; un gruppo di ragazzi era già partito,
rimanevamo due gruppi, il nostro -che sarebbe partito quella mattina alle 4- e
altre 8 persone che sarebbero partite due giorni dopo. Quella sera avevamo
fatto un patto: niente alcol, anche perché sinceramente eravamo stanchissimi e
con sonno arretrato. Andammo fuori a mangiare (lì con dieci euro mangiavi tutto
pesce), finito di cenare ci eravamo preparati fette di anguria e cocktail alla
frutta leggerissimi, da portarci in spiaggia davanti al falò dove Gennaro
suonava la chitarra e noi cantavamo, ridevamo, parlavamo della vacanza, ci
raccontavamo le nostre storie.
Fu l’unica sera che ero sano e
capii cosa avevo perso, capii solo in quel momento cosa avevo combinato, avevo
perso la ragazza della mia vita, l’unica cosa per cui valeva la pena tornare a
casa, la ragazza che in quegli anni non mi aveva mai abbandonato, mi era stata
sempre vicino anche con il mio carattere pessimo. In una vacanza avevo bruciato
tutto, ora non mi rimaneva veramente più nulla! Vittorio, vedendomi star male e
vedendo una lacrima che scendeva mi disse: “Ora cosa intendi fare?” Per la
prima volta la mia risposta fu sensata e decisa: “Ho rovinato tutto, l’ho persa
per il mio carattere, lei in questi anni non mi ha mai abbandonato nemmeno per
un secondo, io ho tradito la sua fiducia. Non merita di soffrire ancora, merita
uno che le possa dare la felicità di cui ha bisogno, che la tratti come una
principessa. Quindi non farò nulla per rispetto nei suoi confronti non tornerò
più da lei, la lascerò libera!” Quella fu la mia risposta anche se il cuore
in quel momento si spezzò per non aggiustarsi più!
Ad un certo punto il fuoco si stava per spegnere così Danilo ebbe la
brillante idea di dire: “Tranquilli ci penso io!” Si alzò, prese un ombrellone di
paglia e legno che c’era sulla spiaggia, si avvicinò al fuoco, noi lo guardammo
e pensammo: “Ma va non sarà così babbo da buttarlo dentro!” In una frazione di
secondo, neanche il tempo di alzarci per fermarlo, Danilo scaraventò
l’ombrellone all’interno del fuoco… subito ci alzammo per cercare di tirarlo
furori ma appena ci avvicinammo essendo in paglia fece una fiammata
stratosferica, quindi cercammo di spegnere subito le fiamme mentre dei ragazzi
dell’isola correvano verso di noi, volevano picchiarci. In un lampo fu il
fuggi-fuggi generale scappammo tutti in mille direzioni, il problema fu che
presero Davide che stava dormendo lì, non aveva fatto in tempo a scappare, iniziarono
a picchiarlo e lo portarono dalla
polizia. Poverino, lui non c’entrava nulla stava dormendo. Dopo dieci minuti il
mio telefono suonò: era Davide arrabbiatissimo per quello che era successo, ci
diceva di andarlo a recuperare in caserma perché non capiva neanche una parola
di quello che dicevano. Una volta arrivati grazie a Vincenzo riuscimmo a
spiegare cosa era successo, a Danilo spettava pagare l’ombrellone, gli sarebbe
arrivata la fattura a casa potevamo andare a prendere il traghetto per partire
perché nel frattempo si erano fatte le 4, stavamo anche rischiando di
perderlo. Una volta arrivati al porto,
arrivò il proprietario dell’ombrellone che prese Dario per il collo, non voleva
farlo salire, voleva subito i soldi, io presi il proprietario lo spinsi via e
portai Danilo sul traghetto intanto che Vincenzo ancora una volta cercò di spiegare
che l’ombrellone gli sarebbe stato ripagato.
Una volta seduti sul traghetto e in salvo, collassammo dal sonno, tanto
che non ci accorgemmo che era già passata un’ora da quando ci eravamo
imbarcati, ed eravamo arrivati in aeroporto. Erano le 5 di mattina, l’aereo era
alle 18:00 ci sedemmo sulle valige a dormire fino quell’ora poi salimmo
sull’aereo e, anche lì, appena toccammo i sedili ci fu un collasso totale. Non
ci accorgemmo neanche che eravamo rimasti fermi per guasto, io avevo fatto
tutto il viaggio con la cintura. Sicuramente nel bene o nel male vacanza
indimenticabile.
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