giovedì 9 luglio 2020

CAPITOLO 66, CAPITOLO 67, CAPITOLO 68



66  CROLLA LA MIA VITA

Come ogni anno nel mio oratorio si organizzava un torneo di calcetto estivo, lo Spadea, e io essendomi allontanato dal calcio perché non ci stavo più con la testa, mi occupavo dell’organizzazione, ma quell’anno non me la sentivo, erano successe troppe di cose, la morte dello zio e la zia in ospedale. Rebecca e la zia mi dissero di dare lo stesso una mano così almeno mi distraevo un po’, così  alla fine accettai. Una volta uscito dal lavoro, la sera come sempre passavo a prendere Rebecca, andavamo a trovare la zia e stavamo con lei, la facevo mangiare poi per le sette riportavo Rebecca a casa, la sera alle otto andavo in oratorio ad aiutare per il torneo di calcio.
Tutto così fino al 27 maggio, quel giorno mi sentivo stranissimo, sentivo che c’era qualcosa che non andava, finita la giornata di lavoro andai subito in ospedale perché Rebecca era in giro con sua mamma a fare compere, sarebbe arrivata dopo. Quando arrivai vidi la zia seduta sulle sedie del corridoio che mi aspettava, appena mi vide mi corse incontro e mi abbracciò piangendo, io ero preoccupato e le chiesi cos’era successo, lei mi disse: “Mi hanno detto che se andrà tutto bene dovrò fare la dialisi a vita!” Io sinceramente non sapevo che cos’era  e non lo so tutt’oggi, quindi le chiesi di cosa si trattava. Lei mi spiegò che era un cura che doveva fare ogni tot presentandosi in ospedale, era preoccupata per me perché così facendo avrei dovuto rinunciare alle vacanze con lei. Ricordo che mi disse:  “Come faremo adesso, non potremo  andare in vacanza perché ti dovrai occupare di me e io non voglio che ti sacrifichi per me!” Io cercai subito di tranquillizzarla perché era agitatissima, dicendole: “Stai tranquilla non ti preoccupare, non è nulla, vorrà dire che per un anno non vado al mare, rilassati ce la faremo!” Ma lei si sentiva troppo in colpa e continuava a piangere;  fortunatamente in quel momento arrivò Rebecca con sua mamma, la zia vedendole scoppiò ancora di più. Anche loro le dissero che avremmo trovato una soluzione di stare tranquilla. Una volta tranquillizzata la riportammo in camera a letto e rimanemmo lì con lei, io tenendole  la mano e tenendola abbracciata sotto lo sguardo di Rebecca e sua mamma che intanto le parlavano, il dolore che provavo dentro nel vederla così era immenso e Rebecca l’aveva già capito.
Il tempo passò velocemente, ad un certo punto la zia mi disse: “Ma stasera non vai a preparare per il torneo?” Erano già le otto e non me ne ero neanche accorto ma in quel momento, d’impulso risposi:  “No, stasera voglio stare qui con te che sei più importante!” Ma sia la zia che Rebecca che sua mamma mi dissero di andare che sarebbero rimaste loro con lei. Così mi avvicinai verso l’uscita della porta della stanza ma ad un tratto, non so per quale motivo, mi rigirai a salutarla, mi guardava con quei due occhioni azzurri e si leggeva che soffriva interiormente. Quello sguardo non lo dimenticherò mai, anche perché sarebbe stato l’ultimo!
Io non volevo andare via, sentivo che stava per succedere qualcosa, c’era qualcosa che non mi convinceva quella sera, alla fine Rebecca mi disse: “Vai amore ci penso io a lei!” Così andai. La sera Rebecca mi raggiunse in oratorio e mi tranquillizzò dicendomi che quando l’avevano lasciata era più tranquilla. Finito il torneo stetti un po’ con Rebecca, anche lei si accorse che mi stavo chiudendo in un mondo tutto mio e sapeva che mi stavo facendo del male ma non mi abbandonò nemmeno per un secondo. Finita la serata tornai a casa ma niente, avevo sempre quel sesto senso, c’era qualcosa che non andava, lo stesso sesto senso che avevo avuto per lo zio. Me ne andai a letto a dormire ma anche questa volta ad un tratto alle 5 di mattina, come già successo per mio zio, un brivido freddo mi corse per  tutto il corpo e anche questa volta mi svegliai agitato. La mattina ero preoccupatissimo, così alle sette mandai un messaggio a Rebecca con scritto: “Stamattina non mi sento troppo bene, per me c’è qualcosa che non va, ho paura accada qualcosa!” Lei ovviamente era già sveglia perché doveva andare a scuola, così mi rispose di stare tranquillo, andare al lavoro e poi ci saremmo visti per andare da mia zia. Quindi iniziai la mia mattinata di lavoro, ma  ero assente, con la testa continuavo a pensare a lei. Nel pomeriggio dovetti uscire col mio collega a fare una riparazione, gli dissi subito però che se mi arrivava una chiamata io dovevo scappare; dovunque ero e in qualsiasi momento, lui mi disse di non preoccuparmi che capiva.
Andammo a tirare giù una porta ma alle cinque mi suonò il cellulare!  Era Loredana che mi chiamava per dirmi che la zia era stata male di correre in ospedale, il mio sesto senso si stava trasformando in realtà! Lo dissi subito al mio collega gli dissi che dovevo tornare subito in ditta perché dovevo correre in ospedale ma la sua risposta fu: “Non possiamo lasciarli senza porta, dai facciamo veloce e poi andiamo!” Così velocemente gli rimontammo la porta, tornammo in ditta erano già le cinque e mezza, timbrai, corsi fuori, presi la macchina e corsi a prendere Rebecca per precipitarci in ospedale.
Arrivammo alle sei meno venti, mi avevano chiamato alle cinque, una volta salito in reparto fuori ad aspettarmi c’era la Loredana appena mi vide scoppiò il lacrime, Rebecca sbiancò e io capii che la zia mi aveva abbandonato.


67  DOLORE INTERIORE

Non avevo parole, non avevo lacrime, non riuscivo più a connettere, la mia testa iniziò a viaggiare in un buco nero; dentro provavo una rabbia immensa, un dolore incredibile.  La zia era morta alle cinque e venti, mi avevano chiamato alle cinque e io non ero potuto correre in ospedale per una “cavolo” di porta, non riuscivo a mandare giù il fatto che il mio collega non mi avesse ascoltato e riportato subito in ditta. Magari non sarebbe cambiato nulla ma per lo meno io sarei stato lì con lei, non l’avrei abbandonata, non l’avrei fatta morire da sola; o magari vedendomi  avrebbe trovato la forza per reagire. Neanche il tempo per un’ ultimo saluto. Rammarico, amarezza, delusione, tristezza, rabbia, odio, frustrazione, sconforto, abbandono, la voglia di combattere e reagire era finita, non volevo più saperne.

Arrivò il dottore a spiegarmi cos’era successo: “Sua zia era molto anziana, 79 anni, il suo cuore ormai pompava al 30%, ha avuto una crisi respiratoria abbiamo cercato di fare il possibile ma non c’è stato verso. Anche se si fosse ripresa avremmo dovuto subito operarla per cercare di far pompare di più il suo cuore!”
Poi mi accompagnò nella sala dove l’avevano messa, appena entrai vidi un corpo sotto il telo bianco, non potevo credere ai miei occhi: la scoprì, i suoi occhioni blu erano spariti non potevo più vederli, però il suo volto era molto sereno, aveva un leggero sorriso. Finalmente aveva trovato la pace che in tutti questi anni le era mancata dovendo sempre pensare agli altri.

Il dolore dentro di me aumentava sempre di più, scese solo una lacrima, non avevo neanche la forza per piangere, tenni tutto il dolore dentro. Uscii per recarmi nella sua camera a prendere le sue cose per lasciare libera la stanza, in quel momento la sua vicina mi disse una cosa che mi lasciò a bocca aperta. “Tuo zio è morto da poco vero?” Le risposi di sì e le domandai il motivo di quella domanda, lei mi disse: “Stanotte tua zia parlava nel sonno, io mi sono svegliata perché pensavo non stesse bene, ad un certo punto ho visto che era  come se stesse parlando con qualcuno.” Io non credevo a quello che stavo sentendo ma lei continuò dicendomi: “Sentivo che gli diceva: cosa fai qui? Non è ancora il momento, poi devo pensare a Gianluca non posso lasciarlo solo ha bisogno di me!” Non so se me lo disse per cercare di tirarmi su il morale ma secondo lei mia zia parlava proprio con mio zio,  la ringraziai per quelle parole e me ne andai.

Ora bisognava avvisare tutti, non avevo le forze, diedi il telefono a Rebecca e le chiesi di pensarci lei, io mi sedetti per terra vicino una finestra guardando fuori. Io sguardo era perso, Loredana e Rebecca mi guardavano e capirono che stavo crollando.  Arrivati a casa di Rebecca mi misi sul divano e non mi alzai più da lì, continuavo a guardare una foto mia e di mia zia che avevo sul telefono, non parlavo, non piangevo, ero perso in quella foto. Rebecca, sua mamma e suo papà mi guardavano da lontano e parlavano tra di loro, mezz’ora dopo suonò il citofono. Dopo pochi secondi, seduti sul divano con me c’erano  Marco e Sofia, si erano precipitati da me per vedere come stavo, mia sorella col pancione in lacrime e mio fratello che cercava di farmi forza abbracciandomi e stringendomi a lui sentivo che piangeva, io nulla non riuscivo. Ricordo che disse: “Ora ti devi rimboccare le maniche, devi trovare quella forza che hai dentro di te, che hai sempre avuto, lo so che non sarà facile ma gli zii avrebbero voluto questo.” Io dopo tanto silenzio sibilai: “La forza è finita, la mia vita è finita, non ha più senso ora combattere, senza di loro non riuscirò ad andare avanti, la mia forza erano loro!” Mio fratello non accettava quelle risposte: “Tu sei forte lo sai, l’hai sempre dimostrato,  loro non ti vorrebbero vedere così, sanno che ti hanno lasciato in buone mani, sanno che ci sarà qualcuno al tuo fianco che ti farà reagire, non ti hanno lasciato solo, al tuo fianco ci sono Rebecca e la sua famiglia, sapevano che si potevano fidare di loro altrimenti non ti avrebbero mai lasciato. E poi ci siamo noi, la tua famiglia, gli zii saranno sempre al tuo fianco, vivranno sempre nel tuo cuore!” Mio fratello in parte aveva ragione avevo ancora un punto di forza in Rebecca, dovevo farmi forza per lei, come lei in tutto questo tempo l’aveva trovata per aiutarmi e starmi vicino non mi avrebbe abbandonato mai. Ma tra il dire e il fare sappiamo che in mezzo c’è il mare. 
Prima di tornare a casa mio fratello mi disse:  “Ora dobbiamo andare, perché Sofia è incinta e ha bisogno di riposare, e io ho lasciato tutto aperto.”
Li salutai, io volevo tornare a casa, ma i genitori di Chiara mi dissero che io sarei rimasto lì, non mi avrebbero lasciato da solo. Rimasi sul divano fino tardi loro rispettarono il mio silenzio. Rebecca mi chiese se volevo mangiare ma nulla, così lei andò a tavola ma finito venne a sedersi vicino a me; mi abbracciava, mi coccolava, senza dire nulla ma era lì. A mezzanotte mi disse se volevo andare a dormire, io non avevo sonno ma lei mi porto lo stesso: “Hai bisogno di riposare andiamo!” Mi misi nel letto, lei mi tenne la mano tutta notte ma io nulla, rimasi sveglio fino al mattino.  La mia testa viaggiava, mille le domande: “Perché tutto questo dolore? Perché tutta questa sofferenza?  Perché tutte a me? Perché proprio io? Perché loro? PERCHE’!”
Domande a cui non avrei mai avuto risposte! 


68  ORA DEL FUNERALE

L’indomani mi alzai prestissimo, non avevo dormito tutta notte, ora era arrivato il momento dei preparativi. Andai con la mamma di Rebecca alle pompe funebri, scelsi tutto per il funerale,  volevo fosse sepolta con lo zio, loro avrebbero voluto così. C’era solo un piccolo problema, la zia per la legge non era  mia parente perché non era sposata con mio zio ma solo conviventi, e anche se convivevano da anni e per me era come una zia, per la legge non valeva.  Quindi l’unico modo che avevo per farla cremare, era rivolgermi ad una sua cugina per firmare i fogli. La chiamai arrivò immediatamente, nell’ultimo periodo io e lei ci frequentavamo spesso, veniva sempre a trovare la zia in ospedale e mi stava sempre vicino. Una volta fatta la prassi con le pompe funebri  bisognava andare a casa a prendere un vestito, portarlo all’obitorio dove avevano allestito la camera ardente e l’avrebbero preparata.

Fatto tutto, iniziarono ad arrivare tutti:  parenti, amici miei e suoi per darle l’ultimo saluto. Io mi ero messo vicino alla bara e da lì non mi schiodai più mentre Rebecca stava fuori, perché disse che lei voleva ricordarla con il suo sorriso e i suoi splendidi occhi. Arrivò anche mio padre, anche questa volta voleva stare qui con me ma io gli dissi di non preoccuparsi perché ero in buone mani, lui doveva solo pensare a stare bene, ci saremmo visti il giorno del funerale. Quei giorni ci fu un via vai di gente, io sempre dentro senza uscire mai continuavo a guardarla, la mia testa continuava a girare, sempre mille domande senza risposte, continuavo a sbadigliare, ma non per il sonno, non stavo bene e Rebecca ovviamente se ne accorse. Non parlavo con nessuno, non dicevo nulla, tenevo tutto dentro. Così mia zia Paola chiese informazioni a Rebecca; le chiese cos’era successo e come stavo io, lei le rispose: “Sta male non ha dormito tutta notte, non parla, non mangia, non piange, tiene tutto dentro, penso possa esplodere da un momento all’altro!” Lei le disse di starmi molto vicino. Poi si avvicinò a me e mi disse: “Per qualsiasi cosa, io e zio ci siamo, non farti problemi per nulla, e per la questione della casa quando sarai più tranquillo la risolveremo. Faremo di tutto perché rimanga a te, era il volere della zia!” In quel momento la testa non mi permetteva di ascoltare!
I tre giorni passarono così tra casa e obitorio senza dormire nè mangiare. Era arrivato il giorno dell’ultimo saluto, stessa prassi di mio zio, il becchino ci chiamò dentro per l’ultimo saluto e io come successo per mio zio le misi una lettera che avevo scritto la sera prima, e una collana che non toglievo mai me l’aveva regalata sempre Rebecca, uguale per mio zio. Una volta arrivati in chiesa, finita la celebrazione sempre fatta da Don Nicola, era il momento della lettera, sta volta la volle leggere proprio il Don.

“My Life!
Ciao zia, scrivere in questo momento è veramente difficile. Non è come lo zio che eravamo preparati e sapevamo che doveva lasciarci da un momento all’altro. Sta volta è diverso, il dolore che provo dentro e proverò sempre è troppo grosso!
In 5 mesi ho perso uno zio diventato padre e una zia diventata madre, sì proprio così; perché tu per me non eri solo una zia ma eri una mamma  con la M maiuscola. E’ proprio vero il detto che i figli non sono di chi li fa, ma di chi li cresce; di chi ride, soffre, piange insieme a loro. Tu in questi 23 anni, mi hai dato tutto l’affetto e l’amore che una madre darebbe al proprio figlio avresti dato la tua vita per me! Mi hai cullato, cresciuto, coccolato, difeso sempre; sgridato quando era il caso, sei stata il mio rifugio quando stavo male! In tutti questi anni, tu ti sei sempre sacrificata per me e lo zio, pensando   prima a far star bene noi; e poi a te stessa.
Dopo la batosta che abbiamo preso dello zio sei stata male, ma ancora una volta ne eri uscita con forza e a testa alta. Avevamo iniziato a gustarci tutti i giorni uno per uno senza sprecarne nessuno.  Abbiamo riso, pianto, ci siamo sfogati e coccolati, andavamo fuori a cena, a fare le grigliate al Ticino, e da zia Paola. Stavamo organizzando la grande festa per i tuoi 80 anni, ma soprattutto avevamo già prenotato le vacanze per quest’anno a Cervia; per passare una magnifica estate insieme. Io pregavo tutti i giorni il signore per fare in modo che ci regalasse questa ultima vacanza insieme, perché sapevo già che sarebbe stata l’ultima. Ma questo regalo non me l’ha fatto! Questa vacanza senza di te non la farò perché non avrà senso, mi chiedo solo quanto dovrò ancora soffrire prima di trovare un po’ di felicità. Ma la cosa che mi fa stare più male, e che dopo lo zio ho perso la persona più importante che avevo; la mia forza per andare avanti eri tu! Ora sarà quasi impossibile rialzarmi e andare avanti senza di te perché sinceramente non ce la faccio e non ne ho più voglia. E’ arrivato il momento di salutarci, mi auguro che siate fieri di me e che non vi ho deluso; spero di riabbracciarvi e passare altro tempo con voi perché vi voglio un mondo di bene e ve ne vorrò sempre.
Siete stati e sarete sempre la mia famiglia; salutami lo zio,
 un bacio enorme
tuo figlio Gianluca”                



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