giovedì 25 giugno 2020

CAPITOLO 59, CAPITOLO 60, CAPITOLO 61, CAPITOLO 62



59  LA TRISTE VERITà

Era il 30 gennaio 2008… la data di scadenza che ci aveva dato il dottore stava arrivando, avevamo appena finito di mangiare e io continuavo a ripensare a quelle parole. Mentre la zia guardava le sue telenovelas, io andai in camera dallo zio. Volevo stare con lui, volevo stargli vicino, quella sera vedevo che c’era qualcosa che non andava, lo zio era agitatissimo continuava a togliersi le coperte come se volesse andare da qualche parte e continuava a guardare le foto che vi erano sul comodino di suo papà e sua mamma (mio nonno e mia nonna), inoltre mi guardava con gli occhi pieni di lacrime come se volesse dirmi qualcosa. Quello sguardo non lo dimenticherò mai!
Io continuavo a coprirlo e a dirgli di stare tranquillo, che c’ero io al suo fianco e non l’avrei lasciato solo, poi mi prese la mano e me la strinse tenendomela. Io continuavo ad accarezzagli la testa, a parlargli cercando di tranquillizzarlo. Dopo un po’ andai in cucina dalla zia e scoppiai a piangere. Lei mi chiese se era successo qualcosa e io gli risposi: ”No, ma non ce la faccio a vederlo così, sono stanco di vederlo soffrire, poi stasera non lo vedo bene, ho paura!” Guardandomi mi disse: “Stai tranquillo che andrà tutto bene, vai a fare un giro con qualche tuo amico, allo zio ci penso io!” Le si leggeva negli occhi che stava soffrendo anche lei, e questo mi faceva molta rabbia perché non potevamo fare nulla. Io non volevo uscire perché non me la sentivo, ma poi lei mi convinse quindi chiamai un mio amico, Lucio, e andammo a bere qualcosa. Avevo bisogno di svagarmi un po’, ma nonostante tutto non riuscivo a non pensare a mio zio. Lucio cercò di tirarmi sù il morale e farmi sfogare ma alle dieci non ce la facevo più e tornai a casa.
Una volta rientrato la zia mi chiese: “Come mai sei già tornato?” Io le risposi:  “Non riuscivo a stare lontano dallo zio!” Così feci per andare in camera ma lui dormiva, quindi non entrai per non disturbarlo, rimasi a guardarlo per un po’, poi io e la zia andammo a letto. Quella sera c’era qualcosa che mi turbava non riuscivo a prendere sonno, rimasi sveglio molto poi finalmente mi addormentai, ma la mia testa continuava a viaggiare e a pensare allo zio. Alle 5 di mattina accadde una cosa stranissima, mi svegliai di sobbalzo sentii un brivido freddo che mi correva lungo il corpo, ero molto agitato, non capii cosa poteva essere, ma dopo dieci minuti mi riaddormentai.
Alle sette suonò la sveglia per prepararmi per andare al lavoro, passai dalla camera e lo zio era nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato la sera, quindi pensai che stesse ancora dormendo, andai in bagno a lavarmi e a prepararmi, poi in cucina a fare colazione e stare un po’ con la zia. Erano le sette e mezza ero pronto per uscire e andare al lavoro, però prima come ogni mattina dovevo passare dallo zio a salutarlo, lui tutte le mattine verso le sette e dieci mi chiamava col campanellino che gli avevamo comprato, visto che non riusciva a parlare; quella mattina non l’aveva ancora fatto, la cosa era molto strana. Andai in camera per salutalo, e dargli come ogni mattina il bacio del buon giorno, appena entrai lo zio era ancora nella stessa posizione, il dubbio iniziò a crescere! 
Impossibile che dormisse ancora, lui si svegliava sempre alle sette. Mi avvicina e lo chiamai: “Zio, sveglia dai stai ancora dormendo, dormiglione è ora di svegliarsi!”  Lui non dette segni di vita!
Lo scossi, lo agitai, lo continuavo a chiamare mentre gli occhi si riempivano di lacrime, inutile… la triste verità!
Il 31 Gennaio 2008 lo zio ci aveva abbandonato, il dottore ci aveva preso!


60  L’INIZIO DELL’INCUBO

D’istinto scagliai un pugno contro il mobile ammaccandolo, la zia sentii il rumore e si recò in camera, io uscii di corsa, non volevo che lo vedesse, cercai di tenerla e di portarla in cucina dicendo che andava tutto bene, in quel momento suonò il citofono era la ragazza che veniva a pulirlo come tutte le mattine, le dissi: ”Vai a rispondere al citofono!”
Lei capii subito che era successo qualcosa, intanto che lei rispose dovevo trovare il modo di dirglielo, ma lei si precipitò in camera e lo vide! Lo chiamava, lo scuoteva ma nulla! Intanto salì anche la ragazza e gli diedi la notizia, ora bisognava  tranquillizzare la zia che corse in bagno chiudendo la porta e scoppiò in lacrime, non si dava pace. Chiesi alla ragazza di chiamare l’ambulanza mentre io cercavo di tranquillizzare la zia, entrai in bagno, lei era tutta rossa, panico, paura, amarezza, rabbia, sconforto, si dava la colpa, non si dava pace. Io l’abbracciai, le dissi di stare tranquilla, avrei pensato a tutto io, avrei pensato anche a lei, ma sembrava di parlare con un muro, lei era entrata in un mondo tutto suo, non ascoltava nessuno.

Arrivò l’ambulanza, salirono, la ragazza li portò in camera dove accertarono la morte dello zio, intanto riuscii a portare la zia in cucina, due barellieri cercavano di tenerla tranquilla; vedendola tutta rossa e gonfia le provarono la pressione, una barelliera prese me e cercò di farmi sfogare anche lei aveva capito che stavo per esplodere. Ad un certo punto il barelliere fece due punture a mia zia per cercare di tranquillizzarla perché il suo cuore non si fermava più, batteva all’impazzata in quel momento a casa mia arrivò anche Loredana (la donna che aiutava mia zia nelle pulizie della casa, ormai diventata un’amica). La zia era entrata in crisi respiratoria, dovevano portarla di corsa all’ospedale, io dovevo pensare allo  zio così chiesi a Loredana se poteva andare con mia zia;  in meno di mezz’ora a casa mia era scoppiato il putiferio!
La ragazza che puliva mio zio mi chiese se volevo una mano, ma io le risposi di stare tranquilla e di andare dagli altri malati che accudiva, in quel momento salì anche la signora del primo piano, amica di famiglia, che mi chiese cosa stava succedendo perché aveva visto l’ambulanza con mia zia sopra e le spiegai  tutto.
Presi il telefono, dovevo iniziare ad avvisare la gente.
La prima chiamata fu per Don Nicola, stavo esplodendo, non ce la facevo più, avevo bisogno di qualcuno che mi capisse e mi aiutasse, non sapevo cosa dovevo fare. Subito dopo chiamai le pompe funebri che arrivarono subito per vestirlo. Chiamai mio padre, ma a casa non rispondeva nessuno così chiamai mio fratello Marco e gli dissi di pensarci lui a fare tutte le chiamate, alla fine mi ricordai che dovevo avvisare anche in ditta.
Le pompe funebri arrivarono subito, dovevo scegliere il vestito, io e la zia sapevamo che doveva accadere prima o poi così lei aveva preparato un vestito nell’armadio. Lo presi, lo guardai, non mi piaceva, lo zio doveva essere bello anche se era morto, così aprii il mio armadio e gli diedi il vestito più elegante che avevo. Finito di vestirlo se ne andarono, rimanemmo in casa solo io e lui… continuavo a guardarlo e ad avere una rabbia in corpo, non mi davo pace per essere uscito la sera, non accettavo il fatto di averlo lasciato solo nel suo letto, mi continuavo a domandare se era morto la sera o la mattina essendo rimasto nella stessa posizione, non mi davo pace per non essere entrato in camera al mio rientro dal bar, per controllare se stava bene!
Piano – piano stavo esplodendo, iniziai a cartellare[1] l’armadio. Scesi sotto casa, avevo bisogno di un caffè, il barista Alessandro, mio amico da tanto, capì subito cosa era successo; capì il mio stato d’animo e non mi fece domande. Appena uscii dal bar, arrivarono i miei fratelli e mio padre. Ci avevano messo neanche 20 minuti vuol dire che avevano scannato[2] in autostrada. Saliti in casa scoppiai a piangere tra le braccia di mio padre, lui neanche una lacrima teneva tutto dentro ma si vedeva che stava malissimo. Una volta spiegata tutta la situazione bisognava iniziare a fare tutte le pratiche, con Ciro andai negli uffici di pompe funebri per scegliere la bara e tutto quello che serviva per il funerale, mentre mio padre e i miei fratelli rimasero a casa ad aspettare tutti i parenti. Una volta finita la prassi tornammo a casa, erano arrivati tutti i parenti. La zia Giada, la sorella di mio zio, saputa la notizia partì subito da Salerno, loro due erano legatissimi.


61  E LA ZIA?

Ora dovevo pensare alla zia in ospedale, quindi ci recammo tutti lì per saperne di più sulle sue condizioni cliniche. Mio zio Fausto lavorava in ospedale a Milano quindi era la persona giusta per parlare con i medici. Il medico ci spiegò che la situazione era critica per una donna di 79 anni, arrivata in quelle condizioni; ci disse che stavano facendo il possibile per farla riprendere dallo shock. Dopo qualche minuto sembrava stazionaria quindi fecero entrare me e mia zia Paola (la moglie di mio zio Fausto) nella stanza. Era girata su un fianco, io mi avvicinai e le dissi: “Mi hai fatto prendere un grosso spavento!” Ma mentre pronunciavo queste parole vidi che era viola in faccia con la bava alla bocca, corsi fuori  chiamando il medico, arrivarono di corsa in 5,  aveva avuto un altro blocco respiratorio. La portarono con urgenza in sala rianimazione, io ero nervosissimo, cercavano a tutti costi di tranquillizzarmi, anche Rebecca che era appena arrivata perché era appena uscita da scuola. Scagliai un pugno fortissimo contro una porta di ferro dell’ospedale, in quel momento si avvicinò mio padre, per la prima volta in vita mia lo vidi piangere, sì una lacrima gli scese sul volto, mi abbracciò e mi disse: “Andrà tutto bene, ci sono io con te!” Andammo tutti in sala rianimazione ad aspettare i medici. Ore d’attesa finchè la porta non si aprì e uscì il primario, parlò con mio zio e gli disse: “La signora è molto grave, avendo 79 anni è arrivata in condizioni critiche, il suo cuore pompa al 40%, abbiamo dovuto metterla in coma farmacologico, ora dobbiamo aspettare che si riprenda per capire bene la situazione clinica!”  Anche la zia mi stava abbandonando!
Tornammo a casa i funerali dello zio  erano fissati  5 giorni dopo perché volevo aspettare che la zia Giada arrivasse da Salerno e speravo in una ripresa della zia.  Quindi allestimmo la camera  ardente in sala, lo zio venne messo dentro la bara con un coperchio a vetro che sparava fuori aria ghiacciata per conservare il corpo. In quel momento arrivarono  anche i  genitori di Rebecca. Tutti mi strinsero, capivano il mio dolore, né per pranzo né per cena volli mangiare.
Arrivò l’ora in cui tutti dovevano tornare nelle loro  case per rivederli il giorno del funerale, era giovedì 31… i funerali erano lunedì 4 febbraio. Rebecca e i suoi genitori non volevano lasciarmi da solo, volevano portarmi a casa loro ma io non potevo lasciare lo zio in casa da solo. Così papà e Sofia decisero di rimanere lì con me tutti quei giorni mentre gli altri fecero ritorno a casa. In camera non c’era il letto matrimoniale ma il letto ospedaliero, lo spostammo tutto contro il muro e mettemmo  3 lettini dove avremmo dormito io, mia sorella e mio padre mentre mio zio era in sala. Io non spiccicavo neanche una parola, fino le dieci di sera stetti in sala con mio zio in silenzio a guardarlo mentre mio padre e Sofia erano in cucina molto tristi. Dopo un po’ mi vennero a prendere per portarmi a letto dicendomi:  “Andiamo a letto, è stata una giornata pesante, hai bisogno di dormire!” Andammo tutti in camera e mia sorella crollò dal sonno mentre io ero molto agitato e continuavo a rigirarmi nel letto, mio padre invece continuava a tenermi la mano guardandomi, non riusciva a dormire aveva perso il fratello, sicuramente rimpiangeva il tempo perso a litigare come lo rimpiangevo io. Quando mi addormentai  lui si alzò, non so se andò in cucina o da mio  zio, so solo che lui non chiuse occhio tutta la notte.
I giorni prima del funerale furono strazianti, io continuavo ad andare avanti indietro tra casa e ospedale per cercare di saperne di più sulle condizioni di  mia zia ma non vi erano miglioramenti, e mio padre e mia sorella stavano in casa ad accogliere la gente che voleva dare l’ultimo saluto a mio zio. La domenica arrivò anche zia Giada, corse in casa e appena lo vide scoppiò in lacrime iniziando a parlare in napoletato, nessuno riusciva a capirla neanche mio padre, l’unico a capire cosa diceva ero io.


62  ULTIMO SALUTO

Arrivò il giorno del funerale, casa mia era piena di fiori e di persone che erano venute a dare l’ultimo saluto allo zio, era molto amato da tutti, aveva tanti amici, non mi aspettavo di vedere e sentire tanto calore e tanto affetto. C’erano anche tutti i suoi fratelli anche quelli con cui aveva litigato da anni e con cui non parlava più. Ma questo non era assolutamente il giorno per litigare, era il giorno per salutare uno zio, un fratello, un secondo padre, che in tutti quegli anni mi aveva cresciuto e amato.
Il becchino ci chiamò per l’ultimo saluto prima di chiudere la bara,  il dolore in  me esplose e iniziai a piangere per non smettere più. Prima di chiuderla però all’interno misi una lettera, che avevo scritto la sera prima e che sarebbe stata letta in chiesa, e il mio braccialetto portafortuna che non toglievo mai perchè me lo aveva regalato Rebecca, volevo che in qualche modo lo tenesse lui. Arrivammo in chiesa, era strapiena di miei amici ma soprattutto amici e colleghi dello zio, di tutte quelle persone che in quegli anni gli erano stati sempre vicino, tutti volevano dargli l’ultimo saluto.
A celebrare la Messa fu Don Nicola, finita la celebrazione era il momento di leggere la lettera… io avevo delegato il mio amico Pietro perché non me la sentivo, nessuno sapeva cosa vi era scritto:

 “Uno Zio diventato padre!
Ciao Pepè, ti ricordi? Ti chiamavo sempre così da piccolo e tu ridevi, mi ricordo ancora tutti i momenti belli passati insieme come se fosse ieri. Tutti i gironi eravamo al Ticino dalla sera alla mattina, la nostra seconda casa; io giocavo con i pesci che tu li pescavi eli  mettevi nel retino, però ogni tanto te ne facevo scappare qualcuno. Tu ti arrabbiavi un po’ così me ne pescavi uno tutto per me per farmi giocare. Oppure quando andavi al lavoro da Maicol e mi portavi con te,  mentre ti aspettavo giocavo con Franco e alle tre di notte, quando finivi di lavorare, anche se eri stanco andavamo al bowling io, te, Franco e suo papà, e mi insegnavi a giocare a biliardo.  Ma il momento più bello che non scorderò mai è quando dopo tredici anni d’assenza da Napoli abbiamo fatto ritorno, e siamo andati un mese intero al mare a Maiori dove mi portavi da piccolo. E’ stata la vacanza più bella che abbiamo fatto insieme io, te e la zia. Per tutte queste cose, questi bei momenti passati insieme, ti devo dire grazie, anche se non sono tuo figlio mi hai sempre trattato come se lo fossi, mi hai cresciuto come farebbe un padre, mi hai insegnato tutto quello che c’era da imparare dalla vita compresa l’educazione, il rispetto ma soprattutto saper perdonare gli sbagli di una persona. Anche se negli ultimi tempi avevamo i nostri battibecchi e discussioni, io ti ho voluto e ti vorrò sempre bene. L’unica cosa che rimpiango, e penso rimpiangerò sempre, è aver perso troppo tempo a litigare, bruciando così tutte quelle cose che facevamo quando ero piccolo. Per il resto sei stato uno zio unico, ti porterò sempre nel cuore, nulla mi farà dimenticare di te. Vederti soffrire nel tuo letto giorno dopo giorno e non poter far nulla mi faceva star male, malissimo e certe volte mi viene da piangere perché vorrei divertirmi ancora con te.
Ti voglio un mondo di bene e te ne vorrò sempre e sinceramente la vita senza di te e la zia mi fa paura.
Mi mancherai tantissimo.
Tuo per sempre Gianluca”




[1] Prendere a pugni
[2] Andare veloce, correre

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