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IL RISTORANTE IN VENDITA
Lo zio continuava a lavorare da Maicol, io ormai cresciuto non giocavo
più con Franco, ma bensì lo aiutavo dando una mano dietro al bancone.
Un giorno Maicol disse allo zio che a malincuore doveva licenziarlo
perché Mimmo, il fratello, aveva intenzione di vendere il locale e trasferirsi
nella magnifica Maiori e lui non riusciva a rilevare da solo il locale, anzi ne
approfittò per chiedergli se voleva
mettersi in società con lui o addirittura comprarlo. Lo zio ci pensò, voleva
prenderlo per lasciarmelo un domani, in modo da avere in futuro il lavoro
assicurato. Parlandone con la zia, lei gli disse di stare con i piedi per
terra, perché io ero ancora piccolo e non poteva sapere se io avrei continuato in quel’ambito,
e poi non avevamo i soldi per comprarlo. Lo zio lavorava solo il venerdì, il sabato
e la domenica e guadagnava 100 mila lire a sera, la zia era pensionata da anni (tra
di loro avevano quindici anni di differenza). Non c’erano i soldi per poterlo
prendere e non si poteva fare il mutuo perché vi era già il mutuo della casa
quindi lo convinse a non rilevare il locale, anche se a me sarebbe
piaciuto.
Era rimasto senza lavoro, per
fortuna grazie alla sua bravura come
cameriere e alle sue conoscenze tra meridionali, venne assunto al ristorante “La
Ruota” di Gallarate. Sempre venerdì
sabato e domenica e sempre per 100 mila lire a serata.
Mimmo intanto, si trasferì con la
sua famiglia in costiera trovando lavoro come pizzaiolo in un ristorante, Maicol
invece aveva convinto il fratello a temporeggiare la vendita del locale di un anno in modo che Franco avesse finito la
terza media poi l’avrebbe venduto, quindi rimase tutto in mano sua, ma ormai
mio zio lavorava altrove quindi al suo postò subentrò il fidanzato di Marina.
Intanto l’anno scolastico continuava, stavamo arrivando al giorno della
cresima, le cose tra papà e lo zio non erano cambiate, non si parlavano nè
volevano vedersi, e a rimetterci come
sempre ero io infatti, il giorno della cresima papà, Angela e i miei fratelli
erano stati esclusi come già successo per la comunione. Ancora una volta
vennero esclusi dal pranzo e invitati solo in chiesa e ancora una volta la
colpa la presi io.
Giungemmo così alla fine dell’anno scolastico, solita routine estiva, Busto tra amici e ragazze,
Milano tra amici e ragazze, con Samanta rimase una buona amicizia.
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ULTIMO ANNO, IL Più BELLO
L’ultimo anno delle medie si prospettava il più bello, ma anche il più
impegnativo.
L’anno della verità per decidere
cosa fare dopo le scuole medie, e io avevo le idee ben chiare su questo, ma
partiamo dall’inizio.
Franco aveva finito la terza media, essendo un anno più grande di me,
così Maicol in estate aveva finalmente venduto il locale. Con i soldi della
vendita, avevano comprato un ristorante a Brescia (città d’origine del
fidanzato di Marina) dove appunto, lavoravano la figlia e il marito che intanto
si erano anche sposati così lei era sistemata; mentre Maicol, Franco e la madre
erano rimasti ancora un po’ giù in Costiera Amalfitana a godersi le vacanze.
Io, visto che non c’era più Franco, avevo lasciato la società di calcio a
Dairago, e con il mio allenatore di calcio dell’oratorio, avevamo formato una
squadra di calcio a 7 per partecipare al C.S.I. Questo campionato era diviso in
categorie, noi partivamo dall’ultima: la serie D. Lì io giocavo come punta,
all’ A.S.O. invece ero diventato portiere e a Dairago l’anno prima ero
difensore, praticamente facevo ogni ruolo, mi mancava solo il centrocampista;
che tra l’altro tifosissimo del Milan, mi piaceva giocare nel ruolo di Pirlo
davanti la difesa per manovrare il tutto. Ovviamente nel C.S.I. vi erano i miei più grandi amici non
che anche compagni di classe; tra questi ve n’era uno di un anno più grande
Alessandro, che diventò il mio grande amico… ma di questo ve ne parlerò più
avanti.
L’anno prometteva molto bene, la mia classe era diventata tutta unita,
infatti nei primi anni c’erano i secchioni, come in ogni classe che ovviamente
facevano gli sbirri[1]
se facevi qualcosa che non andava. Quell’anno invece eravamo un unico gruppo
solido, tanto che nelle verifiche proprio i secchioni che prima guai se
copiavi, ora facevano copiare tutta la classe. Poi con la professoressa di ginnastica, partecipammo anche ad una sfida
tra scuole; ogni anno tutte le terze medie della città facevano un torneo di pallavolo, ci si sfidava nelle
diverse palestre e il vincitore vinceva una coppa, noi
quell’anno ci classificammo primi, eravamo i più forti. Sempre quell’anno a
scuola, nei giochi della gioventù che si fanno da quando sei in quarta
elementare fino alla fine delle scuole dell’obbligo allo stadio della nostra città, lo Speroni[2],
io vinsi la gara di velocità nei 100
metri. Non era la prima volta che la vincevo infatti, dalla quarta elementare
alla terza media mi classificavo sempre primo o secondo, essendo molto sportivo ero molto veloce e mi
piacevano tanto i 100 metri.
Era un anno che si prospettava veramente pieno ed entusiasmante,
ovviamente la voglia di studiare non mi era mai venuta, i miei voti erano
sempre al limite della sufficienza ma io
mi accontentavo con piacere, una volta sola presi un distinto in religione e mi
sentivo al settimo cielo. Le mie materie preferite erano ginnastica ovviamente,
dove prendevo bei voti ma poi li perdevo col mio comportamento essendo molto
agitato e una peste, e italiano. Mi
piaceva tantissimo scrivere e fare temi, ogni volta che mi mettevano davanti un
foglio bianco e mi dicevano d’inventare
una storia, la mia fantasia prendeva piede. Anche in italiano prendevo bei voti
ma sempre il mio comportamento e la mia voglia di studiare me li facevano
abbassare; senza aggiungere che tutte le professoresse e i professori
conoscevano a memoria il mio cognome. Ogni volta che varcavano la soglia della
porta, io avevo sicuramente combinato qualcosa, e anche quando magari non ero stato
io loro gridavano: ”Pepe... sei sempre il solito!” Ovviamente tutto questo con
i capelli sparati in aria. Un giorno con la professoressa di musica che era la
più temuta da noi perchè aveva un modo di fare molto autoritario, ci portò in
sala musica dove lei suonava il piano girata ovviamente con la schiena verso di
no; e noi dovevamo accompagnarla con i flauti, ma ogni volta facevamo apposta a
fischiare o sbagliare, lei si girava
innervosendosi e gridando diventando tutta rossa: “Siete dei somari
ottusi!” Noi ovviamente trattenevamo le risate, perché lo facevamo apposta ma
quel giorno si innervosì così tanto che prese il flauto di un mio compagno e lo
spacco il due contro la cattedra.
20
CIAO MAICOL!
La terza media si rivelò l’anno più lungo ed intenso, forse perché era
proprio l’ultimo anno prima di separarci tutti. Dopo due mesi dall’inizio
arrivò una bruttissima notizia a casa mia, Maicol era morto!
La notizia mi fu data dalla zia perché lo zio non se la sentiva di
dirmelo visto che io ero legatissimo a Franco (come un fratello per me) e
ovviamente legatissimo al padre, come se fosse un altro zio. Noi oltre a
vederci sempre, ogni tanto partivamo tutti insieme, Maicol, la moglie,
Marina, Franco, io e gli zii per trascorrere
qualche weekend da qualche parte, mi ricordo che una volta andammo a Pisa.
C’era un legame unico intenso tra le nostre famiglie e tra noi.
Ovviamente volevo sapere come era successo, cosi la zia me lo raccontò. Maicol
già in passato aveva avuto un infarto
e mentre si trova giù in cortile in
costiera, stava lavando la macchina con Franco quando gli venne di nuovo un infarto
ma sta volta ci rimase davanti a suo
figlio.
La notizia la presi malissimo, tanto che feci due giorni a piangere. La mamma di Franco, decise di
rientrare a Busto dove avevano la casa di fianco alla nostra per venderla e trasferirsi a Brescia con la
figlia. Franco non voleva lasciar la città dove era cresciuto e gli amici, così
fece un patto con la mamma; avendo diciassette anni avrebbe cercato lavoro e se
l’avesse trovato sarebbero rimasti qui. Io lo aiutavo tantissimo perché non
volevo che se ne andasse, ma non trovò nulla; così nel giro di due mesi
vendettero la casa e si trasferirono a Brescia con la sorella dove Franco
lavora tutt’ora… ma di lui non so più
nulla.
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