“C'era una volta…” tutte le fiabe che si rispettano
iniziano così.
Questa non è una
fiaba, è la storia di un napoletano, Armando, che all’età di 16 anni decise di lasciare la sua città natale,
Pagani[1], e di
trasferirsi al nord in cerca di fortuna. Salutò la sua famiglia (suo padre, sua
madre e i sui sei fratelli e le sue due sorelle) e con la valigia in spalla
partì verso il capoluogo lombardo.
Approdato a Milano si diede subito da fare per trovarsi
un lavoro e un appartamento dove stare. Iniziò a lavorare come lavapiatti per
un ristorante, e col passare degli anni, arrivò il meritato successo; infatti
Armando diventò un ottimo cuoco nonostante non avesse frequentato le scuole
medie (ma si sa che a quei tempi la pratica era meglio della teoria). Gli anni
passavano e, come tutti i ragazzi nell'età dell'adolescenza, lavorava e si
divertiva, avendo un certo debole per le ragazze. Ebbe tante avventure, ma alla
fine trovò una donna con cui fece i suoi primi tre figli: Siria, Esposito e Carmela.
Le cose però tra i due non andarono a buon fine e le loro
vite si divisero: la moglie ed Esposito si trasferirono a San Marzano sul Sarno[2] mentre
Carmela e Siria stettero per qualche anno a Milano col padre. Nel frattempo Armando
conobbe un'altra donna, Jessica. Sembrava quella giusta stavolta, tanto che Armando
e Jessica si sposarono ed ebbero tre figli: Camilla e i gemelli Marco e Sofia.
Le cose sembravano procedere abbastanza bene, Armando ormai
era diventato un ottimo chef ricercato
dai migliori ristoranti di Milano. Partecipò a tanti concorsi e vinse numerosi
premi.
Ad un certo punto
lui e sua moglie decisero di dare luce ad un altro bambino: il 16 Gennaio 1985 nacque Gianluca.
Da qui iniziò la
grande storia!
2
LA FAMIGLIA SI ALLARGA
Siamo nel lontano 1985 quando Jessica e
Armando decisero di allargare la famiglia dando
alla luce un altro bambino. Finalmente il 16 gennaio nacqui io, un bellissimo
frugoletto di nome Gianluca Carlo… Appena
nato e subito messo alla prova: mia madre venne
arrestata per problemi con la giustizia.
Un giorno papà mi portò in carcere
a trovare la mamma, io ero piccolissimo
avevo circa sei mesi. Mamma mi prese in braccio per salutarmi, ma ad un tratto disse:
“Gianluca ora rimane qui con me!” Mio padre cercò di tirarmi via dalle sue mani
ma lei lo respinse, tanto che dovette intervenire il secondino dicendo: “Signora il bambino non può stare
qui!” Mi tolse dalle sue mani e
riconsegnandomi a papà
disse: “Se vuole tornare a trovare sua moglie lo faccia pure, ma non
porti più suo figlio qui!”
Prima di uscire, mamma disse a mio padre che avrebbe firmato delle carte
in modo da portarmi via da lui, se lei
non poteva avermi non poteva neanche lui. Ma lui le rispose che nessuno mi
avrebbe portato via. Da quel giorno papà non andò più a trovarla, e le loro strade si divisero.
Mio padre doveva occuparsi da solo di Camilla, Marco, Sofia e di me che
ero il più piccolo (avevo solo sei mesi mentre gli altri erano già più grandi). Papà
dovette assumere una baby sitter
che si occupasse di noi mentre lui
lavorava, essendo un cuoco ricercatissimo nei migliori ristoranti di Milano e per
questo il suo turno finiva a notte tarda.
Una sera a casa mia da Busto Arsizio vennero a trovarci il fratello di papà,
Alfonso, con la sua compagna Maria; praticamente i miei zii. Quella sera papà
era di riposo e quindi eravamo tutti
insieme in casa, e mentre parlavano del più e del meno, la zia si rese conto
che io avevo qualcosa che non andava scottando tantissimo e tossendo
continuamente. Così disse a mio
padre che era meglio portarmi al pronto
soccorso per accertamenti, ma lui rispose che era solo tosse dovuta al troppo caldo che faceva nella casa,
bastava solo un po’ di Vicks VapoRub sul
petto e sarebbe andato tutto apposto. Cosi fece, prese la pomata e me la spalmò
sul petto, però qualcosa non funzionò perché
diventai tutto rosso e non riuscivo più a respirare!
La zia, arrabbiandosi con papà, lo convinse a portarmi all’ospedale dove
i medici si resero subito conto della gravità del fatto. Mi dovettero mettere
dentro un’incubatrice per un po’ di giorni. Il primario dell’ospedale convocò
subito papà e gli zii in ufficio chiedendo spiegazioni per l’accaduto. Una volta esposti i fatti, il
primario si rivolse a papà dicendogli che in seguito a quello che era
successo, visto che viveva da solo senza
una moglie, e dovendo occuparsi già di tre
figli, doveva trovare una destinazione per me che ero il più piccolo;
qualcuno che potesse prendersi cura e
dare tutte le attenzioni che un bambino di soli sei mesi ha bisogno. Ma lui non
voleva accettare l’idea di dover rinunciare a me, a quel punto il primario dell’ospedale, perdendo la
pazienza, lo mise alle strette e rivolgendosi
a tutta la famiglia disse che se io fossi arrivato solo 5 minuti più
tardi in ospedale sarei morto avendo preso una brutta broncopolmonite. Lui doveva rispettare la prassi, denunciando
l’accaduto alle forze dell’ordine e chiamando gli assistenti sociali. A quel punto la zia, cercò la soluzione per salvare tutti e
tutto ma soprattutto cercò di salvaguardare il mio bene, spiegando al primario
e a papà
che si sarebbe presa cura lei di me con l’aiuto dello zio,
facendo tutte le pratiche per avere l’affidamento. Alla fine mio
papà capì che quella era l’unica soluzione possibile, o la zia Maria e
il fratello Alfonso, o la polizia e gli assistenti sociali.
Nei giorni che trascorsi all’ospedale all’interno dell’incubatrice,
papà non mi abbandonò mai infilando le sue mani dentro l’apposito
spazio, tenendo le mie manine, dandomi
lui stesso da mangiare; e quando arrivava l’ora in cui doveva andare al lavoro,
toglieva le mani ma io iniziavo subito a piangere così lui le rinfilava e stava
li finchè non mi riaddormentavo.
Una volta uscito dall’ospedale fui affidato agli zii.
3
GLI ANNI VOLANO
Gli anni passarono e io, essendomi trasferito a Busto Arsizio con gli zii, iniziai a
crescere: asilo, scuole elementari… Nonostante
abitassimo in città diverse, papà con i
miei fratelli non mi abbandonano mai
infatti, tutti i fine settimana, venivano a trovarmi a Busto.
Di mia madre io non sapevo ancora nulla
essendo troppo piccolo.
Fin da piccolino sono stato sotto osservazione degli assistenti sociali:
una volta alla settimana dovevo fare
visita nell’ufficio della dottoressa Toni.
Non era solo papà a venire a Busto a trovarmi, ma anche andavo a Milano per
passare del tempo con la famiglia. Ad
ogni festività (Natale, Pasqua, estate…) ero io a trasferirmi a Milano per
passare le vacanze con loro, facendo sempre tappa però,
dagli assistenti sociali… il mio viaggio era così: assistente sociale (di
Busto), Milano, prima del rientro passare dagli assistenti sociali (di Milano),
ritorno a casa degli zii. Dopo una settimana dal mio rientro continuare la solita routine con gli assistenti sociali per
capire cosa passava dentro la mia testa con disegni, piccoli discorsi, piccoli
dialoghi. Troppo piccolo per capire cosa sta accadendo nella mia vita!
Il tempo passava, io e i miei
fratelli cominciavamo a diventare grandi e io iniziavo a sentire la mancanza di una famiglia solida, nonostante fossi ancora piccolo… quando
alla scuola elementare tutti gli altri bambini facevano disegni, poesie,
regalini per la festa del papà o della mamma, il mio volto era molto triste; quando si
avvicinano le vacanze estive, tutti gli altri bambini erano felicissimi perché sapevano che dopo poco sarebbe
arrivato il mare… per tutti loro, ma non per me!
Io non facevo nulla di tutto ciò perché sarebbe iniziato il solito giro:
assistenti sociali, Milano, assistenti sociali, Busto… niente mare per me!
Solo una volta lo zio mi portò al
mare: all’età di tre anni partimmo in direzione di Pagani, paese d’origine
della mia famiglia, per un saluto al nonno, a mia sorella Carmela e a mio
fratello Esposito che vidi per la prima volta nella mia vita ma poi non rividi
più perché mio nonno morì in quell’anno e io non feci più ritorno al paesello
fino all’ età di 16 anni.
Finita la sosta dalla famiglia, finalmente ci dirigemmo verso il mare di
Maiori[3]
passando con la nave prima per i magnifici faraglioni di Capri. Per me quella è
stata la vacanza estiva più bella
della mia vita, anche perché fu una delle poche che feci da bambino.
Con i miei fratelli ricordo che trascorsi solo una vacanza fuori da
Milano, all’età di otto anni
andammo a Monterosso con l’oratorio milanese
e anche quella fu una vacanza spettacolare perché fu la prima volta che
ci allontanammo da Milano tutti e quattro.
Anche l’estate finì, era ora del
rientro a casa. Per me i giorni dei saluti erano sempre i più tragici, infatti
quando ero a Busto Arsizio e papà mi veniva a prendere piangevo come un matto perché non volevo lasciare gli
zii, ma quando finivano le vacanze e papà doveva riportarmi dagli zii succedeva
lo stesso, sembravo un matto piangendo e
scappando in giro per la casa per non farmi prendere perché mi ero legato ai
miei fratelli, a papà e a Angela (la sua
nuova compagna) e non volevo lasciarli.
Spiegare tutto questo agli assistenti sociali non era facile, nella mia
testa c’era tanta confusione e nel mio cuore la voglia di non abbandonare nessuno. Ad
ogni colloquio con gli assistenti sociali di Milano, che mi chiedevano dove
volevo vivere per cercare di prendere
una decisione finale, io rispondevo
che volevo stare a Milano con i
miei fratelli e mio padre; ma quando passavo dagli assistenti sociali di Busto e mi
facevano la stessa domanda, io rispondevo
con gli zii, provocando confusione e non arrivando mai ad una decisione
definitiva.
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