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CROLLA LA MIA VITA
Come ogni anno nel mio oratorio si organizzava un torneo di calcetto
estivo, lo Spadea, e io essendomi allontanato dal calcio perché non ci stavo
più con la testa, mi occupavo dell’organizzazione, ma quell’anno non me la
sentivo, erano successe troppe di cose, la morte dello zio e la zia in
ospedale. Rebecca e la zia mi dissero di dare lo stesso una mano così almeno mi
distraevo un po’, così alla fine
accettai. Una volta uscito dal lavoro, la sera come sempre passavo a prendere Rebecca,
andavamo a trovare la zia e stavamo con lei, la facevo mangiare poi per le
sette riportavo Rebecca a casa, la sera alle otto andavo in oratorio ad aiutare
per il torneo di calcio.
Tutto così fino al 27 maggio, quel giorno mi sentivo stranissimo, sentivo
che c’era qualcosa che non andava, finita la giornata di lavoro andai subito in
ospedale perché Rebecca era in giro con sua mamma a fare compere, sarebbe
arrivata dopo. Quando arrivai vidi la zia seduta sulle sedie del corridoio che
mi aspettava, appena mi vide mi corse incontro e mi abbracciò piangendo, io ero
preoccupato e le chiesi cos’era successo, lei mi disse: “Mi hanno detto che se
andrà tutto bene dovrò fare la dialisi a vita!” Io sinceramente non sapevo che
cos’era e non lo so tutt’oggi, quindi le
chiesi di cosa si trattava. Lei mi spiegò che era un cura che doveva fare ogni
tot presentandosi in ospedale, era preoccupata per me perché così facendo avrei
dovuto rinunciare alle vacanze con lei. Ricordo che mi disse: “Come faremo adesso, non potremo andare in vacanza perché ti dovrai occupare
di me e io non voglio che ti sacrifichi per me!” Io cercai subito di
tranquillizzarla perché era agitatissima, dicendole: “Stai tranquilla non ti
preoccupare, non è nulla, vorrà dire che per un anno non vado al mare,
rilassati ce la faremo!” Ma lei si sentiva troppo in colpa e continuava a
piangere; fortunatamente in quel momento
arrivò Rebecca con sua mamma, la zia vedendole scoppiò ancora di più. Anche
loro le dissero che avremmo trovato una soluzione di stare tranquilla. Una
volta tranquillizzata la riportammo in camera a letto e rimanemmo lì con lei, io
tenendole la mano e tenendola abbracciata
sotto lo sguardo di Rebecca e sua mamma che intanto le parlavano, il dolore che
provavo dentro nel vederla così era immenso e Rebecca l’aveva già capito.
Il tempo passò velocemente, ad un certo punto la zia mi disse: “Ma
stasera non vai a preparare per il torneo?” Erano già le otto e non me ne ero
neanche accorto ma in quel momento, d’impulso risposi: “No, stasera voglio stare qui con te che sei
più importante!” Ma sia la zia che Rebecca che sua mamma mi dissero di andare
che sarebbero rimaste loro con lei. Così mi avvicinai verso l’uscita della
porta della stanza ma ad un tratto, non so per quale motivo, mi rigirai a
salutarla, mi guardava con quei due occhioni azzurri e si leggeva che soffriva
interiormente. Quello sguardo non lo dimenticherò mai, anche perché sarebbe
stato l’ultimo!
Io non volevo andare via, sentivo che stava per succedere qualcosa, c’era
qualcosa che non mi convinceva quella sera, alla fine Rebecca mi disse: “Vai
amore ci penso io a lei!” Così andai. La sera Rebecca mi raggiunse in oratorio
e mi tranquillizzò dicendomi che quando l’avevano lasciata era più tranquilla.
Finito il torneo stetti un po’ con Rebecca, anche lei si accorse che mi stavo
chiudendo in un mondo tutto mio e sapeva che mi stavo facendo del male ma non
mi abbandonò nemmeno per un secondo. Finita la serata tornai a casa ma niente,
avevo sempre quel sesto senso, c’era qualcosa che non andava, lo stesso sesto
senso che avevo avuto per lo zio. Me ne andai a letto a dormire ma anche questa
volta ad un tratto alle 5 di mattina, come già successo per mio zio, un brivido
freddo mi corse per tutto il corpo e
anche questa volta mi svegliai agitato. La mattina ero preoccupatissimo, così
alle sette mandai un messaggio a Rebecca con scritto: “Stamattina non mi sento
troppo bene, per me c’è qualcosa che non va, ho paura accada qualcosa!” Lei
ovviamente era già sveglia perché doveva andare a scuola, così mi rispose di
stare tranquillo, andare al lavoro e poi ci saremmo visti per andare da mia
zia. Quindi iniziai la mia mattinata di lavoro, ma ero assente, con la testa continuavo a
pensare a lei. Nel pomeriggio dovetti uscire col mio collega a fare una
riparazione, gli dissi subito però che se mi arrivava una chiamata io dovevo
scappare; dovunque ero e in qualsiasi momento, lui mi disse di non preoccuparmi
che capiva.
Andammo a tirare giù una porta ma alle cinque mi suonò il cellulare! Era Loredana che mi chiamava per dirmi che la
zia era stata male di correre in ospedale, il mio sesto senso si stava
trasformando in realtà! Lo dissi subito al mio collega gli dissi che dovevo
tornare subito in ditta perché dovevo correre in ospedale ma la sua risposta
fu: “Non possiamo lasciarli senza porta, dai facciamo veloce e poi andiamo!”
Così velocemente gli rimontammo la porta, tornammo in ditta erano già le cinque
e mezza, timbrai, corsi fuori, presi la macchina e corsi a prendere Rebecca per
precipitarci in ospedale.
Arrivammo alle sei meno venti, mi avevano chiamato alle cinque, una volta
salito in reparto fuori ad aspettarmi c’era la Loredana appena mi vide scoppiò
il lacrime, Rebecca sbiancò e io capii che la zia mi aveva abbandonato.
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DOLORE INTERIORE
Non avevo parole, non avevo lacrime, non riuscivo più a connettere, la
mia testa iniziò a viaggiare in un buco nero; dentro provavo una rabbia immensa,
un dolore incredibile. La zia era morta
alle cinque e venti, mi avevano chiamato alle cinque e io non ero potuto
correre in ospedale per una “cavolo” di porta, non riuscivo a mandare giù il
fatto che il mio collega non mi avesse ascoltato e riportato subito in ditta.
Magari non sarebbe cambiato nulla ma per lo meno io sarei stato lì con lei, non
l’avrei abbandonata, non l’avrei fatta morire da sola; o magari vedendomi avrebbe trovato la forza per reagire. Neanche
il tempo per un’ ultimo saluto. Rammarico, amarezza, delusione, tristezza,
rabbia, odio, frustrazione, sconforto, abbandono, la voglia di combattere e
reagire era finita, non volevo più saperne.
Arrivò il dottore a spiegarmi cos’era successo: “Sua zia era molto
anziana, 79 anni, il suo cuore ormai pompava al 30%, ha avuto una crisi
respiratoria abbiamo cercato di fare il possibile ma non c’è stato verso. Anche
se si fosse ripresa avremmo dovuto subito operarla per cercare di far pompare di
più il suo cuore!”
Poi mi accompagnò nella sala dove l’avevano messa, appena entrai vidi un
corpo sotto il telo bianco, non potevo credere ai miei occhi: la scoprì, i suoi
occhioni blu erano spariti non potevo più vederli, però il suo volto era molto
sereno, aveva un leggero sorriso. Finalmente aveva trovato la pace che in tutti
questi anni le era mancata dovendo sempre pensare agli altri.
Il dolore dentro di me aumentava sempre di più, scese solo una lacrima,
non avevo neanche la forza per piangere, tenni tutto il dolore dentro. Uscii
per recarmi nella sua camera a prendere le sue cose per lasciare libera la
stanza, in quel momento la sua vicina mi disse una cosa che mi lasciò a bocca
aperta. “Tuo zio è morto da poco vero?” Le risposi di sì e le domandai il
motivo di quella domanda, lei mi disse: “Stanotte tua zia parlava nel sonno, io
mi sono svegliata perché pensavo non stesse bene, ad un certo punto ho visto
che era come se stesse parlando con
qualcuno.” Io non credevo a quello che stavo sentendo ma lei continuò
dicendomi: “Sentivo che gli diceva: cosa fai qui? Non è ancora il momento, poi
devo pensare a Gianluca non posso lasciarlo solo ha bisogno di me!” Non so se
me lo disse per cercare di tirarmi su il morale ma secondo lei mia zia parlava
proprio con mio zio, la ringraziai per
quelle parole e me ne andai.
Ora bisognava avvisare tutti, non avevo le forze, diedi il telefono a Rebecca
e le chiesi di pensarci lei, io mi sedetti per terra vicino una finestra
guardando fuori. Io sguardo era perso, Loredana e Rebecca mi guardavano e
capirono che stavo crollando. Arrivati a
casa di Rebecca mi misi sul divano e non mi alzai più da lì, continuavo a
guardare una foto mia e di mia zia che avevo sul telefono, non parlavo, non
piangevo, ero perso in quella foto. Rebecca, sua mamma e suo papà mi guardavano
da lontano e parlavano tra di loro, mezz’ora dopo suonò il citofono. Dopo pochi
secondi, seduti sul divano con me c’erano
Marco e Sofia, si erano precipitati da me per vedere come stavo, mia
sorella col pancione in lacrime e mio fratello che cercava di farmi forza
abbracciandomi e stringendomi a lui sentivo che piangeva, io nulla non
riuscivo. Ricordo che disse: “Ora ti devi rimboccare le maniche, devi trovare
quella forza che hai dentro di te, che hai sempre avuto, lo so che non sarà
facile ma gli zii avrebbero voluto questo.” Io dopo tanto silenzio sibilai: “La
forza è finita, la mia vita è finita, non ha più senso ora combattere, senza di
loro non riuscirò ad andare avanti, la mia forza erano loro!” Mio fratello non
accettava quelle risposte: “Tu sei forte lo sai, l’hai sempre dimostrato, loro non ti vorrebbero vedere così, sanno che
ti hanno lasciato in buone mani, sanno che ci sarà qualcuno al tuo fianco che
ti farà reagire, non ti hanno lasciato solo, al tuo fianco ci sono Rebecca e la
sua famiglia, sapevano che si potevano fidare di loro altrimenti non ti
avrebbero mai lasciato. E poi ci siamo noi, la tua famiglia, gli zii saranno
sempre al tuo fianco, vivranno sempre nel tuo cuore!” Mio fratello in parte
aveva ragione avevo ancora un punto di forza in Rebecca, dovevo farmi forza per
lei, come lei in tutto questo tempo l’aveva trovata per aiutarmi e starmi
vicino non mi avrebbe abbandonato mai. Ma tra il dire e il fare sappiamo che in
mezzo c’è il mare.
Prima di tornare a casa mio fratello mi disse: “Ora dobbiamo andare, perché Sofia è incinta
e ha bisogno di riposare, e io ho lasciato tutto aperto.”
Li salutai, io volevo tornare a casa, ma i genitori di Chiara mi dissero
che io sarei rimasto lì, non mi avrebbero lasciato da solo. Rimasi sul divano
fino tardi loro rispettarono il mio silenzio. Rebecca mi chiese se volevo
mangiare ma nulla, così lei andò a tavola ma finito venne a sedersi vicino a me;
mi abbracciava, mi coccolava, senza dire nulla ma era lì. A mezzanotte mi disse
se volevo andare a dormire, io non avevo sonno ma lei mi porto lo stesso: “Hai
bisogno di riposare andiamo!” Mi misi nel letto, lei mi tenne la mano tutta
notte ma io nulla, rimasi sveglio fino al mattino. La mia testa viaggiava, mille le domande:
“Perché tutto questo dolore? Perché tutta questa sofferenza? Perché tutte a me? Perché proprio io? Perché
loro? PERCHE’!”
Domande a cui non avrei mai avuto risposte!
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ORA DEL FUNERALE
L’indomani mi alzai prestissimo, non avevo dormito tutta notte, ora era
arrivato il momento dei preparativi. Andai con la mamma di Rebecca alle pompe
funebri, scelsi tutto per il funerale,
volevo fosse sepolta con lo zio, loro avrebbero voluto così. C’era solo
un piccolo problema, la zia per la legge non era mia parente perché non era sposata con mio
zio ma solo conviventi, e anche se convivevano da anni e per me era come una
zia, per la legge non valeva. Quindi
l’unico modo che avevo per farla cremare, era rivolgermi ad una sua cugina per
firmare i fogli. La chiamai arrivò immediatamente, nell’ultimo periodo io e lei
ci frequentavamo spesso, veniva sempre a trovare la zia in ospedale e mi stava
sempre vicino. Una volta fatta la prassi con le pompe funebri bisognava andare a casa a prendere un vestito,
portarlo all’obitorio dove avevano allestito la camera ardente e l’avrebbero
preparata.
Fatto tutto, iniziarono ad arrivare tutti: parenti, amici miei e suoi per darle l’ultimo
saluto. Io mi ero messo vicino alla bara e da lì non mi schiodai più mentre Rebecca
stava fuori, perché disse che lei voleva ricordarla con il suo sorriso e i suoi
splendidi occhi. Arrivò anche mio padre, anche questa volta voleva stare qui
con me ma io gli dissi di non preoccuparsi perché ero in buone mani, lui doveva
solo pensare a stare bene, ci saremmo visti il giorno del funerale. Quei giorni
ci fu un via vai di gente, io sempre dentro senza uscire mai continuavo a
guardarla, la mia testa continuava a girare, sempre mille domande senza
risposte, continuavo a sbadigliare, ma non per il sonno, non stavo bene e Rebecca
ovviamente se ne accorse. Non parlavo con nessuno, non dicevo nulla, tenevo
tutto dentro. Così mia zia Paola chiese informazioni a Rebecca; le chiese
cos’era successo e come stavo io, lei le rispose: “Sta male non ha dormito
tutta notte, non parla, non mangia, non piange, tiene tutto dentro, penso possa
esplodere da un momento all’altro!” Lei le disse di starmi molto vicino. Poi si
avvicinò a me e mi disse: “Per qualsiasi cosa, io e zio ci siamo, non farti
problemi per nulla, e per la questione della casa quando sarai più tranquillo
la risolveremo. Faremo di tutto perché rimanga a te, era il volere della zia!”
In quel momento la testa non mi permetteva di ascoltare!
I tre giorni passarono così tra casa e obitorio senza dormire nè
mangiare. Era arrivato il giorno dell’ultimo saluto, stessa prassi di mio zio,
il becchino ci chiamò dentro per l’ultimo saluto e io come successo per mio zio
le misi una lettera che avevo scritto la sera prima, e una collana che non
toglievo mai me l’aveva regalata sempre Rebecca, uguale per mio zio. Una volta
arrivati in chiesa, finita la celebrazione sempre fatta da Don Nicola, era il
momento della lettera, sta volta la volle leggere proprio il Don.
“My Life!
Ciao zia, scrivere in questo momento
è veramente difficile. Non è come lo zio che eravamo preparati e sapevamo che
doveva lasciarci da un momento all’altro. Sta volta è diverso, il dolore che
provo dentro e proverò sempre è troppo grosso!
In 5 mesi ho perso uno zio diventato
padre e una zia diventata madre, sì proprio così; perché tu per me non eri solo
una zia ma eri una mamma con la M
maiuscola. E’ proprio vero il detto che i figli non sono di chi li fa, ma di
chi li cresce; di chi ride, soffre, piange insieme a loro. Tu in questi 23
anni, mi hai dato tutto l’affetto e l’amore che una madre darebbe al proprio
figlio avresti dato la tua vita per me! Mi hai cullato, cresciuto, coccolato,
difeso sempre; sgridato quando era il caso, sei stata il mio rifugio quando
stavo male! In tutti questi anni, tu ti sei sempre sacrificata per me e lo zio,
pensando prima a far star bene noi; e
poi a te stessa.
Dopo la batosta che abbiamo preso
dello zio sei stata male, ma ancora una volta ne eri uscita con forza e a testa
alta. Avevamo iniziato a gustarci tutti i giorni uno per uno senza sprecarne
nessuno. Abbiamo riso, pianto, ci siamo
sfogati e coccolati, andavamo fuori a cena, a fare le grigliate al Ticino, e da
zia Paola. Stavamo organizzando la grande festa per i tuoi 80 anni, ma soprattutto
avevamo già prenotato le vacanze per quest’anno a Cervia; per passare una
magnifica estate insieme. Io pregavo tutti i giorni il signore per fare in modo
che ci regalasse questa ultima vacanza insieme, perché sapevo già che sarebbe
stata l’ultima. Ma questo regalo non me l’ha fatto! Questa vacanza senza di te
non la farò perché non avrà senso, mi chiedo solo quanto dovrò ancora soffrire
prima di trovare un po’ di felicità. Ma la cosa che mi fa stare più male, e che
dopo lo zio ho perso la persona più importante che avevo; la mia forza per
andare avanti eri tu! Ora sarà quasi impossibile rialzarmi e andare avanti
senza di te perché sinceramente non ce la faccio e non ne ho più voglia. E’
arrivato il momento di salutarci, mi auguro che siate fieri di me e che non vi
ho deluso; spero di riabbracciarvi e passare altro tempo con voi perché vi
voglio un mondo di bene e ve ne vorrò sempre.
Siete stati e sarete sempre la mia
famiglia; salutami lo zio,
un bacio enorme
tuo figlio Gianluca”
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