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TROPPO BUONA PER ME!
Una volta a casa era il momento di fare i conti con la verità, vivevo
ancora con Rebecca. Appena la vidi mi sentii un verme per quello che avevo combinato:
dolore, amarezza, sconforto, delusione dentro di me… la guardavo e vedevo che
soffriva, non avevo giustificazioni.
Casa mia non era ancora finita mancavano ancoro un po’ di lavori. Lei
ancora una volta dimostrò di essere superiore a me, dimostrò che mia amava
veramente; mi disse di rimanere lì finchè i lavori non fossero finiti, però tra
noi qualcosa si era spezzato. Un’altra mi avrebbe sicuramente abbandonato,
lasciato per strada come avrei meritato, ma non lei!
Giorno dopo giorno però, quella convivenza stava diventando pesante, si
sentiva che c’era sempre tensione e freddezza tra di noi, un giorno Rebecca era
nervosa, litigammo e decisi di tornare a casa mia anche se non era ancora
finita. Lei da una parte non si aspettava questa mia decisione perché
sicuramente ci teneva ancora, ma io -per rispetto nei suoi confronti e per
quello che avevo combinato- me ne andai.
Dopo due anni feci ritorno a casa mia! Mancavano ancora i collegamenti
della cucina, il gas, l’acqua calda, e alcune luci nelle stanze però era giusto
che lasciassi spazio a Rebecca. Una volta seduto a tavola, suonò il citofono erano Giordano e Lucia, loro seppero
questa decisione dalla figlia e sapendo che casa mia non era ancora finita
erano venuti per riportarmi a casa loro. Salirono per parlarmi cercando di
convincermi. Giordano mi disse: “Giagy
torna da noi almeno finchè casa tua non è finita del tutto, non puoi
cucinare, non hai l’acqua calda, come pensi di fare. Mia figlia lo sai che è un
po’ impulsiva, ti chiedo scusa io per lei se ti ha risposto così!” Gli si vedeva negli occhi che ci stava male,
in fondo ero insieme a sua figlia da tantissimo tempo e poi vivere per due anni
sotto lo stesso tetto si erano attaccati tantissimo a me, però la mia risposta
fu secca e decisa: “Per cucinare ho il microonde, per lavarmi mi lavo con
l’acqua fredda, è giusto che impari a camminare da solo, prima o poi sarebbe
dovuto capitare, per quanto riguarda Rebecca, lei non ha sbagliato in niente,
se c’è qualcuno che ha sbagliato qui sono io, non l’ho trattata come meritava,
l’ho delusa, l’ho fatta soffrire, merita sicuramente di meglio. Quindi è meglio
così!” Dopo un abbraccio con loro ci salutammo e mi dissero che se cambiavo
idea o in qualsiasi momento loro c’erano, di non sparire e di farmi sentire.
Non avevo mai visto delle persone così buone come loro.
Una volta che andarono capii cosa mi aveva fatto perdere quella vacanza,
avevo scelto il divertimento, l’alcol, il fumo, le ragazze facili, invece dell’amore vero, di persone meravigliose come loro, scoppiai in
lacrime. Solo allora capii che stavo bruciando la mia vita che dovevo rialzarmi
per forza perché se non lo facevo avrei fatto una brutta fine.
In quel momento pensai che i miei zii potevano essere delusi. Da quel
giorno cercavo sempre di trovare le forze per andare avanti, per rimediare a
tutti i miei errori. La vita continuava: lavoro, casa, spese, verità che
facevano male, ma io mi ero rimesso in carreggiata. Uscendo nei weekend con gli
amici c’era anche Rebecca, anche lei aveva visto che stavo tornando ad essere
il ragazzo che aveva conosciuto, vedeva che stavo reagendo quindi tornammo a
parlare, ridere e scherzare. Lei si stava riavvicinando a me. Io però cercavo
sempre di stare un po’ distante, mi piaceva ancora, ci tenevo tantissimo a lei,
ma ero rimasto della mia idea, lei meritava di meglio.
Girono dopo giorno gli amici cercavano di farci tornare insieme, anche Pietro
un giorno mi prese da parte e mi disse: “Pe, lei ci tiene veramente a te, te lo
ha dimostrato in tutti questi anni e te lo sta dimostrando ancora una volta. Ci
vuole riprovare, in questi giorni ho visto in te un cambiamento, quello che hai
fatto ti servirà di lezione per non rifarlo più. Perché non ci riprovi?” Pietro fu l’unica persona con cui mi aprii
totalmente dicendogli: “Pietro, io tornerei anche oggi con lei perché i miei
sentimenti non sono cambiati, anzi aumentano sempre di più. Io non me la vedo
una vita senza di lei, prima avevo tre punti di forza mia zia, mio zio, e lei;
oggi non ho più nulla, ma perché me la sono cercata io col mio modo di fare, ho
sbagliato troppo, forse tutto, soprattutto con lei. Rebecca per me c’è sempre
stata non arrendendosi mai, ha sempre combattuto al mio fianco e, quando io
cadevo combatteva anche al mio posto cercando sempre di rialzarmi. Io invece
cosa ho fatto? Ho scelto la strada più facile, pensando che mi potesse aiutare
invece mi sono rovinato con le mie mani. Lei è troppo buona per stare con uno
come me, non mi merita, merita qualcuno che la possa veramente rendere felice,
che non la tratti come l’ho trattata io in tutti questi anni, uno migliore di
me. Poi quello che ho fatto in vacanza è stato pessimo, l’ho tradita, ho
tradito la sua fiducia. Merita rispetto, quello che io non le ho dato!”
Ero convintissimo della mia scelta!
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RIPENSAMENTO
Natale a Milano, mi fecero tutti un “cazziatone” per quello che avevo
fatto, soprattutto mio padre, lui era quello che ci era rimasto più male,
stravedeva per Rebecca.
Il capodanno, invece, decisi di passarlo con l’oratorio a Champorcher, si
iscrisse anche lei e io ci rimasi un po’ male perché vederla mi faceva
soffrire. In vacanza si stava creando un clima unico meraviglioso con tutti i
ragazzi, nuove amicizie, nuove conoscenze e intanto iniziavano i legami più
profondi. Io mi ero legato tantissimo a una ragazza molto più piccola di me, Beatrice, la vedevo come una sorellina, ma Rebecca
ovviamente era gelosa e pensava male, così ogni tanto litigavamo.
L’ultimo giorno di vacanza fu il
più bello perché Don Nicola fece una messa particolare e tutti scoppiammo in
lacrime, si era creato un legame intenso.
Proprio per questo l’oratorio per l’estate stava organizzando la giornata
Mondiale della Gioventù a Madrid, io avendo già fatto quella nel 2005 ed
essendo rimasto entusiasta volevo partecipare anche a questa. Rebecca invece
era combattuta sulla decisione, da una parte voleva venire, dall’altra voleva
andare con i suoi genitori ad Ibiza. Capite la difficoltà della scelta:
pellegrinaggio religioso contro sballo assoluto. Il problema era che dovevamo
confermare e prenotare entro fine gennaio perché i posti a disposizione erano
pochi. Passò anche il mio compleanno e arrivo il regalo più bello e inaspettato
si, perché alla fine mi ero fatto
convincere dai miei amici e da Pietro a tornare con Rebecca, lei fino a quel
giorno non mi aveva mai abbandonato dimostrandomi che era sempre lì a rialzarmi
troppo buona per me! Sta volta avevo capito la lezione e non volevo più farmela
scappare.
Intanto i preparativi per questo pellegrinaggio all’incontro col Papa
iniziarono presto, perché costava abbastanza e noi ragazzi dell’oratorio stavamo
organizzando iniziative -tipo: vendita di torte, feste dell’oratorio con
musica- per raccogliere qualche soldo e ammortizzare un po’ i costi, alla fine
pagammo qualcosa in meno. Iscrizioni fatte ma una volta che ci trovammo a fare
la riunione e ci spiegarono in cosa consisteva questa vacanza, ci spaventammo
tutti, e in molti ci volevamo tirare indietro; mi sa che era meglio Ibiza!
Niente valigia ma bisognava partire solo con uno zaino da campeggio in spalla
dove al suo interno dovevamo farci stare il ricambio per 10 giorni, il k-way nel caso piovesse, le ciabatte, il pigiama,
il beauty case, l’asciugamano per la doccia e il sacco a pelo perché avremmo
dormito in palestre, oratori, strutture organizzate. Ovviamente lo zaino non
doveva pesare troppo perché veniva considerato bagaglio a mano, già questo ci
preoccupava. Era impossibile farci stare dentro il necessario per dieci giorni,
anche perché bisognava tenerlo sempre in spalla nel pellegrinaggio quindi non
doveva pesare troppo. Alla fine uno zaino completo comprendeva, una felpa nel
caso facesse freddo, tre magliette, tre pantaloncini, tre calze, tre mutande,
un asciugamano in microfibra per risparmiare spazio, le ciabatte, il k-way e il
beauty case, e legato sopra il sacco a pelo. In pratica ogni giorno dovevamo
lavarci gli indumenti in modo che durassero per dieci giorni, e se noi maschi
avevamo ripensamenti figuratevi le femmine che non potevano truccarsi, farsi
belle, ma soprattutto avevano il problema più grosso se durante il
pellegrinaggio le arrivavano le loro cose?
Meno male ero maschio!
Il pellegrinaggio invece era così composto: arrivati a Segovia dovevamo
raggiungere
l’oratorio dove avremmo passato la prima notte, ci saremmo lavati e la PT
(pattuglia tecnica composta da Giammarco,
Monica, Adelaide, Pino, Gloria) preparavano da mangiare e ci faceva trovare
pronto il posto dove avremmo passato la notte.
Praticamente la pattuglia tecnica non era altro che questi ragazzi e
ragazze che erano partite giorni prima da Busto fino ad arrivare a Segovia con
il pulmino dell’oratorio, carico di beni di ogni genere e necessità tipo: la
bombola e il fornetto per cucinare, materassini, sacchi a pelo di scorta, cibo
di ogni genere, bevande, sanitari, tutto quello che riguardava l’infermeria se
uno si faceva male, praticamente vi era su di tutto. E ovviamente perlustravano
le zone e i sentieri dove noi poi avremmo fatto il pellegrinaggio.
Il giorno dopo poteva cominciare la nostra avventura fatta a tappe, in che senso? Praticamente
ogni giorno la sveglia era fissata per le 5 del mattino quando il sole non era
ancora spuntato in modo che non facesse troppo caldo -ma la mattina faceva
molto freddo- lavarsi, prepararsi, prendere il sacchettino della colazione e
del panino che la PT aveva preparano per noi e incamminarci fino la prossima
tappa dove avremmo passato la successiva notte… in pratica dovevamo fare ogni
giorno 30 chilometri a piedi. Questo era il nostro pellegrinaggio dei primi
sette giorni, la tappa finale era arrivare a Madrid a piedi. Una volta arrivati
a Madrid avremmo dormito in una palestra con tutti gli altri ragazzi delle
diverse parrocchie, più di 300 persone
ammassati in una palestra: dormire per terra e lavarsi nelle docce comuni…
sarebbe stato un degenero! In quei tre giorni si faceva la catechesi e le messe
in preparazione all’incontro col Papa, questo era la vacanza che ci aspettava.
Io, Rebecca e molti altri eravamo impauriti e ci domandavamo chi ce
l’avesse fatto fare di iscriverci, ci consolava solo il fatto che eravamo
ancora a febbraio mancavano ancora più di 5 mesi.
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NEL MIO CUORE
Tutto a questo punto sembrava procedere bene, avevo anche fatto un nuovo
tatuaggio sul polpaccio. Come successo per mio zio decisi di fare un tatuaggio
anche per mia zia, dovevo solo trovare il disegno, doveva avere un significato.
Pensa e ripensa disegno trovato! Vi ricordate come mia zia chiamava Rebecca
quando era ricoverata in rianimazione? Draghetta, mi sarei fatto disegnare un
Draghetto con le alucce che usciva dall’uovo, ovviamente con le iniziali di mia
zia, in modo che avrei sempre ripensato a lei, ma nello stesso tempo in modo
che Rebecca oltre ad essere dentro il mio cuore sarebbe stata disegnata sulla
mia gamba… due piccioni con una fava. Loro erano le due donne più importanti
della mia vita. Fu il tatuaggio più bello che avevo disegnato sul mio corpo,
anche perché aveva un significato immenso.
Sembrava procedere tutto a meraviglia, con Rebecca andava tutto
splendidamente, ogni fine settimana insieme ai suoi genitori andavamo in
montagna a Santa Maria Maggiore, loro ogni anno prendevano la casa stagionale
da novembre a maggio e quindi eravamo sempre sù a divertirci. Grazie a lei mi
era iniziata a piacere la montagna, prima non mi garbava tanto. Ormai andavamo
sù dal 2008.
Ma ho detto tutto sembrava andare bene, perché un weekend io e Rebecca eravamo
saliti da soli il venerdì sera per dedicare un po’ di tempo a noi, mentre i
suoi genitori sarebbero arrivati il sabato pomeriggio. Quella mattina ci
svegliammo per andare a fare colazione in paese che dista dieci minuti a piedi
da dove alloggiavamo noi, mentre facevamo la strada mi arrivò una chiamata. Era
mia sorella Camilla che mi avvisava che mio padre non stava bene, doveva essere
operato per l’ottava volta alla gamba a causa della solita vena. Però sta volta
era molto più grave i dottori dissero che ormai aveva avuto troppi interventi e
non si poteva fare più nulla, l’unica soluzione era amputagliela. Io a quella
notizia sbiancai e Rebecca vide che dal sorriso che avevo passai alle lacrime.
Dissi a mia sorella che l’avrei raggiunta subito ma lei mi rispose di non
preoccuparmi perché c’erano loro e mi avrebbe tenuto informato su ogni cosa.
Quando attaccai Rebecca volle sapere cosa era successo così glielo raccontai,
anche lei mi disse se volevamo andare a Milano. Ma per una volta fui io che non
volevo rovinarle il weekend e gli dissi di stare tranquilla che saremo andati
giù la settimana successiva.
In cuore mio stavo malissimo. Una volta fatta colazione e a tornati a
casa preparammo da mangiare per i suoi genitori, quando arrivavano io dissi a
Rebecca di far finta di nulla, non volevo deprimerli, quindi ci sedemmo a
tavola per mangiare ma io non riuscivo, non ci stavo con la testa; a quel punto
Lucia mi chiese cos’era successo e io scoppiai in lacrime. A raccontarglielo fu
sua figlia, cercarono di tranquillizzarmi dicendomi che sarebbe andato tutto
bene. Il weekend finì, io dovevo tornare a lavoro, ogni volta chiamavo mia
sorella per sapere novità ma, nulla, non l’avevano ancora operato, l’operarono
il venerdì.
Il sabato io e Rebecca andammo subito a Milano per vedere come stava.
Ricordo che entrammo nella sua camera con mia sorella Sofia e con Angela, mio
padre era giù di morale, non voleva accettare di aver perso una gamba. Per uno
come lui era come se avesse perso un pezzo di vita. Provate a immaginare un
napoletano tosto che tutte le mattine si svegliava alle cinque per andare
nell’orto, alle otto andava al mercato della carne e della verdura a fare la
spesa, tornava a casa faceva la colazione per la moglie, preparava da mangiare
per quando rientrava, al pomeriggio tornava nell’orto, già il fatto di non
lavorare perché nessuno lo prendeva per
la sua età lo deprimeva, poi qualche anno prima aveva perso Siria, il suo amato
pitbull, faceva tutto con lei, era la sua vita. Dovette farla sopprimere per
tumori alle mammelle, e da quel giorno si era depresso ancora di più e ora
senza una gamba pensava di essere un peso. Ora toccava a noi cercare di farlo
rialzare, dovevamo dargli tutta la forza che in quegli anni lui aveva dato a
noi, ma era difficilissimo.
Restammo lì tutta la mattinata poi un salto a casa a mangiare, e tornammo
nell’orario di visita. Sembrava stare meglio, ma una volta rientrati a casa di
mia sorella Sofia, ci arrivò una chiamata da Camilla. Papà aveva avuto una
crisi respiratoria e lo avevano dovuto portare subito in rianimazione.
La storia si ripeteva! Ci precipitammo tutti lì in lacrime, arrivò anche
mio zio Fausto con zia Paola per cercare di capire cos’era successo; fuori ad aspettare che quelle maledette porte
si aprissero. Ad un certo punto uscì il primario e ci disse: “Il signor Armando
ha avuto una crisi respiratoria, i suoi polmoni sono pieni d’acqua e ha preso
una bronchite, l’abbiamo messo in coma farmacologico dobbiamo cercare di
asciugare l’acqua che ha nei polmoni e cercare di fargli passare questa tosse.
La situazione rimane critica!”
La storia si ripeteva, non ci volevo credere, di nuovo ancora una nuvola
nera sulla nostra famiglia. Alla fine tornammo a casa, la domenica ritornammo in
ospedale io e Rebecca eravamo rimasti lì a dormire, i suoi genitori avevano
capito la situazione.
Ci alternammo a fargli visita sempre entrando con camice, cuffietta,
calzari. Papà era come la zia, fermo immobile su un letto, mi sembrava di
tornare indietro nel tempo, dentro di nuovo un dolore immenso e Rebecca aveva
paura che ricadessi nel buco nero che avevo lasciato.
Passarono i giorni, io tutti i sabati andavo giù a Milano, infatti la mia
vita era tornata ad essere da lunedì a venerdì lavoro, casa, problemi da
risolvere legati a pompe funebri, casa e tutto quello che ci stava dietro, il
sabato a Milano tutto il giorno in ospedale a trovare papà e la domenica tornavo
e la passavo con Chiara ma la testa rimaneva sempre a Milano e lei lo sapeva.
Ancora una volta era lì con me a farmi forza e a cercare di non farmi cadere, a
combattere al mio fianco cercando di rialzarmi.
In tutto questo dolore Jessica (mia madre) non si è mai fatta nè sentire
nè vedere. Che razza di madre è una che si comporta cosi!?