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LA TRISTE VERITà
Era il 30 gennaio 2008… la data di scadenza che ci aveva dato il dottore
stava arrivando, avevamo appena finito di mangiare e io continuavo a ripensare
a quelle parole. Mentre la zia guardava le sue telenovelas, io andai in camera
dallo zio. Volevo stare con lui, volevo stargli vicino, quella sera vedevo che
c’era qualcosa che non andava, lo zio era agitatissimo continuava a togliersi
le coperte come se volesse andare da qualche parte e continuava a guardare le
foto che vi erano sul comodino di suo papà e sua mamma (mio nonno e mia nonna),
inoltre mi guardava con gli occhi pieni di lacrime come se volesse dirmi
qualcosa. Quello sguardo non lo dimenticherò mai!
Io continuavo a coprirlo e a dirgli di stare tranquillo, che c’ero io al
suo fianco e non l’avrei lasciato solo, poi mi prese la mano e me la strinse
tenendomela. Io continuavo ad accarezzagli la testa, a parlargli cercando di
tranquillizzarlo. Dopo un po’ andai in cucina dalla zia e scoppiai a piangere. Lei
mi chiese se era successo qualcosa e io gli risposi: ”No, ma non ce la faccio a
vederlo così, sono stanco di vederlo soffrire, poi stasera non lo vedo bene, ho
paura!” Guardandomi mi disse: “Stai tranquillo che andrà tutto bene, vai a fare
un giro con qualche tuo amico, allo zio ci penso io!” Le si leggeva negli occhi
che stava soffrendo anche lei, e questo mi faceva molta rabbia perché non
potevamo fare nulla. Io non volevo uscire perché non me la sentivo, ma poi lei
mi convinse quindi chiamai un mio amico, Lucio, e andammo a bere qualcosa.
Avevo bisogno di svagarmi un po’, ma nonostante tutto non riuscivo a non
pensare a mio zio. Lucio cercò di tirarmi sù il morale e farmi sfogare ma alle
dieci non ce la facevo più e tornai a casa.
Una volta rientrato la zia mi chiese: “Come mai sei già tornato?” Io le
risposi: “Non riuscivo a stare lontano
dallo zio!” Così feci per andare in camera ma lui dormiva, quindi non entrai
per non disturbarlo, rimasi a guardarlo per un po’, poi io e la zia andammo a
letto. Quella sera c’era qualcosa che mi turbava non riuscivo a prendere sonno,
rimasi sveglio molto poi finalmente mi addormentai, ma la mia testa continuava
a viaggiare e a pensare allo zio. Alle 5 di mattina accadde una cosa
stranissima, mi svegliai di sobbalzo sentii un brivido freddo che mi correva
lungo il corpo, ero molto agitato, non capii cosa poteva essere, ma dopo dieci
minuti mi riaddormentai.
Alle sette suonò la sveglia per prepararmi per andare al lavoro, passai
dalla camera e lo zio era nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato la
sera, quindi pensai che stesse ancora dormendo, andai in bagno a lavarmi e a
prepararmi, poi in cucina a fare colazione e stare un po’ con la zia. Erano le
sette e mezza ero pronto per uscire e andare al lavoro, però prima come ogni
mattina dovevo passare dallo zio a salutarlo, lui tutte le mattine verso le
sette e dieci mi chiamava col campanellino che gli avevamo comprato, visto che
non riusciva a parlare; quella mattina non l’aveva ancora fatto, la cosa era
molto strana. Andai in camera per salutalo, e dargli come ogni mattina il bacio
del buon giorno, appena entrai lo zio era ancora nella stessa posizione, il
dubbio iniziò a crescere!
Impossibile che dormisse ancora, lui si svegliava sempre alle sette. Mi
avvicina e lo chiamai: “Zio, sveglia dai stai ancora dormendo, dormiglione è
ora di svegliarsi!” Lui non dette segni
di vita!
Lo scossi, lo agitai, lo continuavo a chiamare mentre gli occhi si riempivano
di lacrime, inutile… la triste verità!
Il 31 Gennaio 2008 lo zio ci aveva abbandonato, il dottore ci aveva
preso!
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L’INIZIO DELL’INCUBO
D’istinto scagliai un pugno contro il mobile ammaccandolo, la zia sentii
il rumore e si recò in camera, io uscii di corsa, non volevo che lo vedesse,
cercai di tenerla e di portarla in cucina dicendo che andava tutto bene, in
quel momento suonò il citofono era la ragazza che veniva a pulirlo come tutte
le mattine, le dissi: ”Vai a rispondere al citofono!”
Lei capii subito che era successo qualcosa, intanto che lei rispose
dovevo trovare il modo di dirglielo, ma lei si precipitò in camera e lo vide!
Lo chiamava, lo scuoteva ma nulla! Intanto salì anche la ragazza e gli diedi la
notizia, ora bisognava tranquillizzare
la zia che corse in bagno chiudendo la porta e scoppiò in lacrime, non si dava
pace. Chiesi alla ragazza di chiamare l’ambulanza mentre io cercavo di
tranquillizzare la zia, entrai in bagno, lei era tutta rossa, panico, paura,
amarezza, rabbia, sconforto, si dava la colpa, non si dava pace. Io
l’abbracciai, le dissi di stare tranquilla, avrei pensato a tutto io, avrei
pensato anche a lei, ma sembrava di parlare con un muro, lei era entrata in un
mondo tutto suo, non ascoltava nessuno.
Arrivò l’ambulanza, salirono, la ragazza li portò in camera dove accertarono
la morte dello zio, intanto riuscii a portare la zia in cucina, due barellieri
cercavano di tenerla tranquilla; vedendola tutta rossa e gonfia le provarono la
pressione, una barelliera prese me e cercò di farmi sfogare anche lei aveva
capito che stavo per esplodere. Ad un certo punto il barelliere fece due
punture a mia zia per cercare di tranquillizzarla perché il suo cuore non si
fermava più, batteva all’impazzata in quel momento a casa mia arrivò anche Loredana
(la donna che aiutava mia zia nelle pulizie della casa, ormai diventata
un’amica). La zia era entrata in crisi respiratoria, dovevano portarla di corsa
all’ospedale, io dovevo pensare allo zio
così chiesi a Loredana se poteva andare con mia zia; in meno di mezz’ora a casa mia era scoppiato
il putiferio!
La ragazza che puliva mio zio mi chiese se volevo una mano, ma io le
risposi di stare tranquilla e di andare dagli altri malati che accudiva, in
quel momento salì anche la signora del primo piano, amica di famiglia, che mi
chiese cosa stava succedendo perché aveva visto l’ambulanza con mia zia sopra e
le spiegai tutto.
Presi il telefono, dovevo iniziare ad avvisare la gente.
La prima chiamata fu per Don Nicola, stavo esplodendo, non ce la facevo
più, avevo bisogno di qualcuno che mi capisse e mi aiutasse, non sapevo cosa
dovevo fare. Subito dopo chiamai le pompe funebri che arrivarono subito per
vestirlo. Chiamai mio padre, ma a casa non rispondeva nessuno così chiamai mio
fratello Marco e gli dissi di pensarci lui a fare tutte le chiamate, alla fine
mi ricordai che dovevo avvisare anche in ditta.
Le pompe funebri arrivarono subito, dovevo scegliere il vestito, io e la
zia sapevamo che doveva accadere prima o poi così lei aveva preparato un
vestito nell’armadio. Lo presi, lo guardai, non mi piaceva, lo zio doveva
essere bello anche se era morto, così aprii il mio armadio e gli diedi il
vestito più elegante che avevo. Finito di vestirlo se ne andarono, rimanemmo in
casa solo io e lui… continuavo a guardarlo e ad avere una rabbia in corpo, non
mi davo pace per essere uscito la sera, non accettavo il fatto di averlo
lasciato solo nel suo letto, mi continuavo a domandare se era morto la sera o
la mattina essendo rimasto nella stessa posizione, non mi davo pace per non
essere entrato in camera al mio rientro dal bar, per controllare se stava bene!
Piano – piano stavo esplodendo, iniziai a cartellare[1]
l’armadio. Scesi sotto casa, avevo bisogno di un caffè, il barista Alessandro,
mio amico da tanto, capì subito cosa era successo; capì il mio stato d’animo e non
mi fece domande. Appena uscii dal bar, arrivarono i miei fratelli e mio padre.
Ci avevano messo neanche 20 minuti vuol dire che avevano scannato[2]
in autostrada. Saliti in casa scoppiai a piangere tra le braccia di mio padre,
lui neanche una lacrima teneva tutto dentro ma si vedeva che stava malissimo.
Una volta spiegata tutta la situazione bisognava iniziare a fare tutte le
pratiche, con Ciro andai negli uffici di pompe funebri per scegliere la bara e
tutto quello che serviva per il funerale, mentre mio padre e i miei fratelli
rimasero a casa ad aspettare tutti i parenti. Una volta finita la prassi
tornammo a casa, erano arrivati tutti i parenti. La zia Giada, la sorella di
mio zio, saputa la notizia partì subito da Salerno, loro due erano legatissimi.
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E LA ZIA?
Ora dovevo pensare alla zia in ospedale, quindi ci recammo tutti lì per
saperne di più sulle sue condizioni cliniche. Mio zio Fausto lavorava in
ospedale a Milano quindi era la persona giusta per parlare con i medici. Il
medico ci spiegò che la situazione era critica per una donna di 79 anni,
arrivata in quelle condizioni; ci disse che stavano facendo il possibile per
farla riprendere dallo shock. Dopo qualche minuto sembrava stazionaria quindi fecero
entrare me e mia zia Paola (la moglie di mio zio Fausto) nella stanza. Era
girata su un fianco, io mi avvicinai e le dissi: “Mi hai fatto prendere un
grosso spavento!” Ma mentre pronunciavo queste parole vidi che era viola in
faccia con la bava alla bocca, corsi fuori
chiamando il medico, arrivarono di corsa in 5, aveva avuto un altro blocco respiratorio. La
portarono con urgenza in sala rianimazione, io ero nervosissimo, cercavano a
tutti costi di tranquillizzarmi, anche Rebecca che era appena arrivata perché
era appena uscita da scuola. Scagliai un pugno fortissimo contro una porta di
ferro dell’ospedale, in quel momento si avvicinò mio padre, per la prima volta in
vita mia lo vidi piangere, sì una lacrima gli scese sul volto, mi abbracciò e
mi disse: “Andrà tutto bene, ci sono io con te!” Andammo tutti in sala
rianimazione ad aspettare i medici. Ore d’attesa finchè la porta non si aprì e
uscì il primario, parlò con mio zio e gli disse: “La signora è molto grave,
avendo 79 anni è arrivata in condizioni critiche, il suo cuore pompa al 40%,
abbiamo dovuto metterla in coma farmacologico, ora dobbiamo aspettare che si
riprenda per capire bene la situazione clinica!” Anche la zia mi stava abbandonando!
Tornammo a casa i funerali dello zio
erano fissati 5 giorni dopo
perché volevo aspettare che la zia Giada arrivasse da Salerno e speravo in una
ripresa della zia. Quindi allestimmo la
camera ardente in sala, lo zio venne
messo dentro la bara con un coperchio a vetro che sparava fuori aria ghiacciata
per conservare il corpo. In quel momento arrivarono anche i
genitori di Rebecca. Tutti mi strinsero, capivano il mio dolore, né per
pranzo né per cena volli mangiare.
Arrivò l’ora in cui tutti dovevano tornare nelle loro case per rivederli il giorno del funerale,
era giovedì 31… i funerali erano lunedì 4 febbraio. Rebecca e i suoi genitori
non volevano lasciarmi da solo, volevano portarmi a casa loro ma io non potevo
lasciare lo zio in casa da solo. Così papà e Sofia decisero di rimanere lì con me
tutti quei giorni mentre gli altri fecero ritorno a casa. In camera non c’era
il letto matrimoniale ma il letto ospedaliero, lo spostammo tutto contro il
muro e mettemmo 3 lettini dove avremmo
dormito io, mia sorella e mio padre mentre mio zio era in sala. Io non
spiccicavo neanche una parola, fino le dieci di sera stetti in sala con mio zio
in silenzio a guardarlo mentre mio padre e Sofia erano in cucina molto tristi.
Dopo un po’ mi vennero a prendere per portarmi a letto dicendomi: “Andiamo a letto, è stata una giornata
pesante, hai bisogno di dormire!” Andammo tutti in camera e mia sorella crollò
dal sonno mentre io ero molto agitato e continuavo a rigirarmi nel letto, mio
padre invece continuava a tenermi la mano guardandomi, non riusciva a dormire
aveva perso il fratello, sicuramente rimpiangeva il tempo perso a litigare come
lo rimpiangevo io. Quando mi addormentai
lui si alzò, non so se andò in cucina o da mio zio, so solo che lui non chiuse occhio tutta
la notte.
I giorni prima del funerale furono strazianti, io continuavo ad andare
avanti indietro tra casa e ospedale per cercare di saperne di più sulle
condizioni di mia zia ma non vi erano
miglioramenti, e mio padre e mia sorella stavano in casa ad accogliere la gente
che voleva dare l’ultimo saluto a mio zio. La domenica arrivò anche zia Giada,
corse in casa e appena lo vide scoppiò in lacrime iniziando a parlare in napoletato,
nessuno riusciva a capirla neanche mio padre, l’unico a capire cosa diceva ero
io.
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ULTIMO SALUTO
Arrivò il giorno del funerale, casa mia era piena di fiori e di persone
che erano venute a dare l’ultimo saluto allo zio, era molto amato da tutti,
aveva tanti amici, non mi aspettavo di vedere e sentire tanto calore e tanto
affetto. C’erano anche tutti i suoi fratelli anche quelli con cui aveva
litigato da anni e con cui non parlava più. Ma questo non era assolutamente il
giorno per litigare, era il giorno per salutare uno zio, un fratello, un
secondo padre, che in tutti quegli anni mi aveva cresciuto e amato.
Il becchino ci chiamò per l’ultimo saluto prima di chiudere la bara, il dolore in
me esplose e iniziai a piangere per non smettere più. Prima di chiuderla
però all’interno misi una lettera, che avevo scritto la sera prima e che
sarebbe stata letta in chiesa, e il mio braccialetto portafortuna che non
toglievo mai perchè me lo aveva regalato Rebecca, volevo che in qualche modo lo
tenesse lui. Arrivammo in chiesa, era strapiena di miei amici ma soprattutto
amici e colleghi dello zio, di tutte quelle persone che in quegli anni gli
erano stati sempre vicino, tutti volevano dargli l’ultimo saluto.
A celebrare la Messa fu Don Nicola, finita la celebrazione era il momento
di leggere la lettera… io avevo delegato il mio amico Pietro perché non me la
sentivo, nessuno sapeva cosa vi era scritto:
“Uno Zio diventato padre!
Ciao
Pepè, ti ricordi? Ti chiamavo sempre così da piccolo e tu ridevi, mi ricordo
ancora tutti i momenti belli passati insieme come se fosse ieri. Tutti i gironi
eravamo al Ticino dalla sera alla mattina, la nostra seconda casa; io giocavo
con i pesci che tu li pescavi eli mettevi nel retino, però ogni tanto te ne
facevo scappare qualcuno. Tu ti arrabbiavi un po’ così me ne pescavi uno tutto
per me per farmi giocare. Oppure quando andavi al lavoro da Maicol e mi portavi
con te, mentre ti aspettavo giocavo con
Franco e alle tre di notte, quando finivi di lavorare, anche se eri stanco
andavamo al bowling io, te, Franco e suo papà, e mi insegnavi a giocare a
biliardo. Ma il momento più bello che
non scorderò mai è quando dopo tredici anni d’assenza da Napoli abbiamo fatto
ritorno, e siamo andati un mese intero al mare a Maiori dove mi portavi da
piccolo. E’ stata la vacanza più bella che abbiamo fatto insieme io, te e la
zia. Per tutte queste cose, questi bei momenti passati insieme, ti devo dire
grazie, anche se non sono tuo figlio mi hai sempre trattato come se lo fossi,
mi hai cresciuto come farebbe un padre, mi hai insegnato tutto quello che c’era
da imparare dalla vita compresa l’educazione, il rispetto ma soprattutto saper
perdonare gli sbagli di una persona. Anche se negli ultimi tempi avevamo i
nostri battibecchi e discussioni, io ti ho voluto e ti vorrò sempre bene.
L’unica cosa che rimpiango, e penso rimpiangerò sempre, è aver perso troppo
tempo a litigare, bruciando così tutte quelle cose che facevamo quando ero
piccolo. Per il resto sei stato uno zio unico, ti porterò sempre nel cuore,
nulla mi farà dimenticare di te. Vederti soffrire nel tuo letto giorno dopo
giorno e non poter far nulla mi faceva star male, malissimo e certe volte mi viene da piangere
perché vorrei divertirmi ancora con te.
Ti
voglio un mondo di bene e te ne vorrò sempre e sinceramente la vita senza di te
e la zia mi fa paura.
Mi
mancherai tantissimo.
Tuo
per sempre Gianluca”