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GMG 2011
Il tempo era passato così velocemente che non mi accorsi che in un lampo
eravamo arrivati alle vacanze estive, si doveva partire per la Giornata
mondiale della Gioventù, destinazione Madrid.
La settimana prima ci trovammo in oratorio per fare degli striscioni. Già
nel 2005 avevamo fatto uno striscione che aveva lasciato il segno; eravamo
anche finiti sui giornali, sullo striscione c’era scritto ”NON CHIAMATECI
PAPABOYS!”.
Il dolore che avevo dentro era troppo grande, non sarebbe mai passato,
così decisi di far fare delle magliette personalizzate per quei giorni. Mi feci
stampare due maglie con due foto diverse di me e mio padre, in una scrissi: “Te
vogghio bene nunt’o scurdà!”[1]
e sull’altra feci scrivere: “Usque ad finem”.[2]
In più dovevo lasciare il segno come sempre, avevo deciso di farmi i
capelli rossi.
Era tutto pronto per la partenza, la mattina zaino in spalla tutti in
aeroporto per prendere il volo direzione Segovia. Ora poteva iniziare il nostro
pellegrinaggio. Furono giorni pesantissimi e stancanti, tutti i giorni camminavamo per circa 30 chilometri, si partiva la mattina alle
cinque -tra l’altro faceva un freddo
pauroso, quindi tutti con le felpe, due ore dopo iniziava il caldo straziante.
Ovviamente non riuscivamo mai a stare tutti in gruppo perché ognuno aveva il
suo passo quindi c’era chi arrivava prima a destinazione e chi arrivava dopo, comunque
ci mettevamo sempre intorno alle dieci/ undici ore di cammino. Quando
arrivavamo nei luoghi dove dovevamo passare la notte eravamo tutti stremati.
Alcuni, anzi molti, avevano anche le fiacche sotto i piedi. E pensare che prima
di partire, mi avevano convinto a comprare gli scarponcini da montagna
dicendomi che se usavo quelli non avrei avuto il problema di fiacche. Meno male
che alla fine feci di testa mia e partii con le Nike. Loro con gli scarponcini
e le fiacche, io con le Nike e senza fiacche!
I primi sette giorni passarono così tra cammino, palestre, scuole,
risate, pranzi cucinati dalla PT, ovviamente c’era gente che in quei giorni si era arresa perché non ce la faceva
più a camminare avendo dolori alle gambe, ai piedi, alle ginocchia quindi per
quelle persone c’era appunto la PT, che
li portava da un campo all’altro. Io fortunatamente fino l’ultimo giorni non
ebbi problemi, riuscendo a farmela quasi
tutta. Quasi perché saltai proprio l’ultima tappa, forse la più bella: l’arrivo
a Madrid, purtroppo il mio ginocchio aveva ceduto.
Una volta arrivati a Madrid andammo nella palestra che avremmo diviso con
gli altri ragazzi delle diverse parrocchie, ogni gruppo aveva la sua zona per
dormire ma era un degenero assurdo;
circa 300 persone dentro una palestra. La sera, prima di dormire ogni
gruppo si ritrovava per pregare, finita la preghiera tempo libero per un’oretta
dove riuscivo a rilassarmi un po’ con Rebecca e poi si andava a letto. Io
dormivo vicino a Gennaro e con gli altri
compagni prima di dormire lo obbligavamo
a raccontare una barzelletta, iniziando a gridare: “Gennaro la Barzaaaaa!”
Tutti scoppiavano a ridere e lui doveva raccontarla per forza altrimenti noi lo torturavamo e non lo
facevamo dormire. Per chi conosce Gennaro, sa che le sue barzellette non hanno
nessun senso e sono veramente brutte. Noi proprio per quello ce le facevamo
raccontare perché ridevamo sulle stupidate che ci diceva, così alla fine si
rassegnava, e ogni sera ce ne raccontava una. Finita la barzelletta potevamo
dormire.
La mattina dopo si andava a fare la catechesi nelle chiese assegnate, per
la preparazione all’incontro col Papa, noi tutti eravamo stravolti dal
pellegrinaggio e la usavamo per dormire. Arrivò il giorno dell’incontro col Papa,
avremmo passato due giorni in un ex aeroporto militare per aspettare la Messa
domenicale. Anche lì ogni gruppo era diviso a settori, una volta raggiunto il
nostro posto, e preparato l’accampamento, come successo nel 2005 ognuno poteva
fare quello che voleva l’importante era essere lì per la cena e insieme per la
preghiera.
Io, Carlo, Vittorio e altri ragazzi andammo in giro a fare conoscenze con
persone di altri popoli, scambiandoci qualsiasi cosa per avere un ricordo. In
quell’aeroporto faceva un caldo
allucinante, tanto che in mezzo ai settori passavano i pompieri con le
camionette e con l’idrante e cominciavano ad innaffiare tutti, ovviamente tutta
la gente, correvano sotto il getto dell’acqua cercando di rinfrescarsi e
cantando a squarcia gola: ”Il pompiere paura non ne ha!”.
Un altro ricordo che non
dimenticherò mai, è che ad un certo punto Rebecca doveva andare in bagno solo
che i bagni erano dalla parte opposta rispetto a dove eravamo noi, quindi
l’accompagnai. Al ritorno ci fermammo nell’aria attrezzata per prendere due
casse d’acqua per tutto il gruppo e ci dirigemmo verso il nostro settore. In
quel momento stava per arrivare il Papa quindi tutti i volontari non potevano
far passare nessuno, noi eravamo rimasti chiusi proprio di fronte al nostro
settore tra un macello di gente. Col fattore che faceva caldo e la troppa gente
che c’era intorno a noi, Rebecca iniziò a sentirsi male. Così mi rivolsi a un
volontario dicendogli gentilmente:
“Ascolta siccome ho due casse d’acqua, e la mia ragazza non sta bene mi faresti
per favore passare, devo andare lì di fronte nel mio settore!” Gli feci vedere
anche il pass ma lui mi rispose: “Mi
spiace ma abbiamo l’ordine di non
far passare nessuno!” Il fatto
era che gli avevo chiesto di andare di fronte e non chissà dove, in più il Papa
era da tutt’altra parte, Rebecca stava sempre peggio, le mancava l’aria, così mi si
chiuse la vena. La presi, presi le due casse d’acqua e cercai di passare, solo
che lui mi respinse dentro. A quel punto gli tirai uno spintone facendolo
cadere, arrivò subito un altro ragazzo della sicurezza a vedere cosa stava
succedendo, spiegai a lui cos’era successo, gli feci vedere che Rebecca stava
male e ci accompagnò lui nel nostro settore facendoci le scuse.
Una volta che il Papa arrivò sull’altare che avevano allestito, iniziammo
a fare una preghiera e prima di andarsene diede l’appuntamento al giorno dopo per la Santa Messa. In quel
momento iniziò a piovigginare. Essendo in un ex aeroporto militare, quindi
tutto aperto, non vi erano ripari. In pochi minuti eravamo
tutti fradici, anche i sacchi a pelo che avevamo per dormire. Il panico iniziò
a dilagare c’era chi diceva di lasciare il campo ed andarcene al coperto, chi
invece come me diceva di rimanere perché
dopo tanta fatica era inutile andare via per quattro gocce. Alla
fine vinse la maggioranza che diceva di
rimanere, dormimmo tutta notte al freddo e bagnati, il giorno dopo ci stavamo
ammalando tutti. Una volta finita la Messa era finita anche la Giornata
Mondiale della Gioventù, si poteva lasciare l’aeroporto per poi tornare a prendere l’aereo che la
mattina successiva alle otto ci avrebbe riportati a casa.
O meglio il resto del gruppo avrebbe preso l’aereo per tornare a casa,
perché io e Rebecca dopo dieci giorni di fatica ci aspettava finalmente una settimana ad Ibiza con i suoi
genitori. Dal pellegrinaggio religioso al divertimento assoluto o almeno
pensavamo fosse così. Passammo tutta la notte in aeroporto cercando di ammazzare il tempo con risate, riassunti
della vacanza finchè alle due ci
mettemmo a dormire. Alle cinque io e Rebecca salutammo quelli svegli e andammo
a prendere l’aereo direzione Ibiza. Una volta arrivati ad Ibiza la prima cosa
fu una bellissima doccia, e poi il primo giorno direzione letto, finalmente un
materasso, delle lenzuola e il cuscino. Dormimmo tutto il girono. Gli altri
giorni ci eravamo ripromessi di ammazzarci di divertimento, discoteche, bar,
mare, vita notturna, infondo eravamo ad Ibiza, l’isola della trasgressione. Ma
ogni sera dopo aver cenato con i genitori, gli zii e Angelica, facevamo solo un
giro nei baretti, bevevamo qualcosa e
poi dritti a casa. Il motivo era semplice, primo le discoteche costavano 80
euro senza consumazione, e secondo perché avevamo sonno arretrato arrivando la
sera stanchissimi. Alla fine fu una vacanza solo rilassante, quella settimana passò
così velocemente che non facemmo neanche in tempo a gustarcela; l’unica cosa
bellissima che ricordo fu la gita sul catamarano (una barca) che ci portò in
giro a vedere le spiagge più belle del posto, le grotte i pesci. Avremmo dovuto
aspettare l’anno prossimo per gustarci un’altra vera vacanza!
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CANTONOVO
Una volta finite le vacanze estive e tornati a casa, scrissi come sempre
l’articolo su CantoNovo riguardante la magnifica esperienza fatta a Madrid e
come titolo misi proprio “Usque ad
finem”… la scritta con cui avevo fatto la maglietta di mio padre.
“Partiti con molta paura per un lungo
pellegrinaggio che ci aspettava (da Segovia a Madrid a piedi per circa 28
chilometri al giorno), i posti dove dormire (in 500 in palestre) e con solo uno
zaino in spalla, dove doveva esserci dentro solo il necessario per cambiarsi…
siamo partiti per la Giornata Mondiale della Gioventù. Durante i giorni
trascorsi lungo il pellegrinaggio, trascorrendo 24 ore su 24 insieme, si è
formato un legame unico, forte, immenso… Tra fatica, fiacche, dolori muscolari,
dove ci aiutavamo tutti siamo così giunti alla meta (4 Vientos) per l’incontro col Papa, ma soprattutto col
Signore.
Preparato il posto dove avremmo
passato la notte, ci si è messo anche il maltempo! Tra disagio, nervosismo e
tensione non ci siamo arresi e siamo andati avanti FINO LA FINE. Da questa
vacanza mi porto a casa dieci giorni fantastici, meravigliosi con persone che
non conoscevo ma con le quali ho legato moltissimo; altre che ho imparato a
conoscere persone a cui mi sono affezionato molto e che porto nel cuore.
Un ringraziamento speciale va alla PT
(pattuglia tecnica) che ha pensato a tutto il nostro pellegrinaggio, dalle mete
da raggiungere alla nostra sopravvivenza con cibo e luoghi dove passare la
notte; grazie ovviamente alle nostre tre colonne portanti che ci hanno aiutato
nella preghiera e nei momenti di sconforto: Don Alberto, Don Gabriele e Fra
Raffaele.
Un ringraziamento col cuore a tutto
il gruppo di San Filippo, persone veramente speciali. Siete nel mio cuore. Alla
prossima avventura!”
Dopo questo articolo decisi che anche mio padre doveva trovare spazio sul
mio corpo, volevo assolutamente scrivere quella frase che mi aveva accompagnato
per tutta questa avventura, ma dovevo trovare un disegno significativo da
aggiungere. Un giorno in cui mi trovavo a Santa Maria Maggiore con Rebecca
sotto un cielo stellato, vidi una stella che brillava più delle altre, mi
ricordo che guardai Rebecca e le dissi: “Vedi quella stella che brilla più
delle altre, quello è sicuramente mio padre!”
Disegno trovato, decisi di disegnarmi su tutto il braccio un celo
stellato e tra queste vi era una stella più grande dove al suo interno ci
scrissi questa frase: “Usque ad finem in corde meo!”[3]
[1]
napoletano, tradotto “ti voglio bene non te lo
scordare”
[2]latino, tradotto “fino la fine”
[3]
Latino, tradotto “Fino la fine nel mio cuore”
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