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ARRIVA NATALE
Il tempo passava troppo velocemente, le cose intanto sembravano non voler
cambiare… io ero sempre a casa. Trovare un lavoro si stava rivelando una
missione impossibile. D'altronde con solo il diploma di licenza media non era
per niente facile.
Arrivò così il Natale, io come sempre dovevo e volevo andare a
festeggiarlo a Milano con i miei fratelli e mio papà perché non li vedevo da
tanto, ma nello stesso tempo non volevo lasciare gli zii da soli, così papà
provò a invitare lo zio e la zia a festeggiarlo
tutti insieme ma loro non vollero. Io invece feci a Milano dal 23 al 27
e, come ogni Natale, fu spettacolare. Si partiva a mangiare a mezzogiorno e si
finiva alle sei, il cibo era fantastico, questo era il bello di avere un padre
cuoco! Le giornate trascorrevano così: a
mezzogiorno tutti a tavola iniziando dai mille antipasti (affettati di salumi,
cipolline, carciofi,funghetti, cetrioli, insalata di pesce, polipo con patate,
gamberetti in salsa rosa, lumachine, (per me e mia sorella Sofia) capesante e
cozze gratinate, impepata di cozze, ostriche crude (per papà e Ciro), invece del pane mio papà faceva dei piccoli
panzerottini di pane salati con il finocchietto, che erano una bomba per il
palato, dopo due minuti finivano subito), poi passavamo al primo (pasta con cozze
e vongole, perché papà non poteva più
cucinare l’astice, era diventato allergico -infatti una volta cucinandone uno
al ristorante diventò tutto rosso e non riusciva più a respirare, dovettero
portarlo in ospedale dove gli dissero che
era intollerante ai crostacei-), finito il primo si passava ai secondi di pesce
(siccome mio papà era una testa dura e non era Natale senza crostacei, lui li
cucinava lo stesso -per non sentirne l’odore e non stare male, apriva la
finestra e la porta del balcone della cucina in modo da far girare l’aria e
ogni tanto usciva a prendere una boccata; infatti in cucina c’era un freddo
allucinante- : scampi e scamponi al forno -una favola, era il migliore ai
fornelli-), sorbetto e dolce anche quello fatto da lui, panettone ripieno di
cioccolato, panna con fragole, pastiera napoletana (che era il suo forte)
frutta fresca, frutta secca e caffè.
Questo era il nostro pranzo di Natale dei tre giorni, si perché i terroni
festeggiano e mangiano 24/25/26. Essere un terrone ha i suoi vantaggi!
Finito di mangiare pausa sigaretta per chi fumava, si portava giù il
nostro cane, un bellissimo pitbull femmina che Marco aveva regalato a papà, si
aprivano ovviamente i regali e poi da napoletani doc si giocava a carte
puntando chiaramente soldi. Si giocava a
bestia, un gioco tipo la briscola ma se perdi paghi la bestia che sarebbe tutta
la puntata che c’è nel piatto.
Si giocava fino le otto, poi si tornava a mangiare (ravioli in brodo per
digerire il tutto, dolce e frutta) e
finito di cenare, si tornava a giocare fino l’una o le due. Poi tutti a ninna
per ricominciare il giorno dopo.
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SALVO PER MIRACOLO
Dopo Natale tornai a Busto per festeggiare il capodanno con gli amici,
niente di speciale, una serata in discoteca. Così finì purtroppo un altro anno
bisognava rimboccarsi le maniche per cercare un lavoro, per aiutare ovviamente
gli zii e per non vivere sulle loro spalle.
Intanto arrivò il sedici gennaio, il giorno del mio diciannovesimo
compleanno, la zia nonostante tutti i problemi non si dimenticava mai di me
anzi, trovava sempre il tempo per cercare di coccolarmi, d’altronde ero il suo
bambino! Lo zio invece, a causa della malattia e dell’ictus che ormai gli
aveva preso anche la testa stava
cambiando nei miei confronti. Zia, per festeggiare il mio compleanno mi fece un
pranzetto che era una delizia, e come regalo oltre a dei vestiti mi regalò un
po’ di soldi dicendomi di comprare quello che volevo. Poi ovviamente la sera andai
a festeggiare con i miei amici in discoteca, per bere e rimorchiare le ragazze.
Ero ancora single, e in quel periodo io e i miei amici facevamo a gara a chi se
ne faceva di più, devo dire che da quel
punto di vista non mi andava tanto male!
Tutto passava troppo velocemente, svolte positive non ve ne erano,
riuscivo solo a trovare qualche lavoretto in nero di qualche settimana o mese,
ma nulla di regolare. Però ovviamente mi andavano bene anche quelli,
l’importante era guadagnare qualche soldo. Lo zio, non si sa per quale motivo
non mi sopportava più, non mi voleva più in casa, voleva che me ne andassi, ma
la zia ovviamente non voleva assolutamente, diceva che se me ne andavo io se ne
sarebbe andata anche lei lasciandolo da solo. Io e lo zio iniziavamo a litigare
spesso anche per cavolate, il rapporto purtroppo si stava pian piano rompendo.
Tutto colpa della malattia!
Iniziavo a sentirmi oppresso, il lavoro che non arrivava, la zia sempre
triste, lo zio che mi attaccava sempre per qualsiasi cosa. Non ce la facevo più
stavo per ricadere nel dolore psicologico, mi sentivo scoppiare! Cadere in depressione era l’ultima cosa che
volevo in quel momento, ma purtroppo era quello che stava per accadere. Nella
mia testa iniziavano a ritornare i pensieri di farla finita, non ce la facevo
più con quella vita, fino ad allora solo sofferenze, praticamente mi era
passata tutta l’infanzia davanti senza che me ne accorgessi, non avevo potuto
mai divertirmi come i bambini normali.
L’adolescenza, gli anni più belli, erano volati e pochi erano i momenti in
cui mi ero divertito veramente, stava andando tutto troppo veloce. Avevo
bisogno di staccare la spina, così non
si poteva andare avanti; mi stava iniziando anche a venire in mente di lasciare
tutto e trasferirmi a Milano da papà, ne parlai con lui e lui era contento, era
quello che avrebbe sempre voluto. Così ne parlai anche con la zia, però lei era
tristissima non voleva assolutamente che la lasciassi da sola con lo zio, ero
il suo unico punto di forza, mi amava come si dovrebbe amare un figlio. Si
leggeva chiaramente in faccia, e nei suoi occhi che soffriva e che non ce
l’avrebbe fatta senza di me. Lei ne parlò anche con lo zio, lui era felice di
quella mia decisione non vedeva l’ora, ma io sapevo che era tutta colpa della
malattia. Quando stava bene, mi voleva un bene immenso, non mi avrebbe mai
abbandonato, prima della malattia ero intoccabile. Io ero in sala a giocare con
la play station, era l’unica cosa che non mi faceva pensare ai problemi, sentii
la zia che litigò pesantemente con lo
zio dicendo che se io me ne fossi andato se ne sarebbe andata anche lei. Non
potevo lasciarla sola in un momento così non me la sentivo, ma soprattutto non
potevo lasciare solo neanche lo zio, non era colpa sua se era diventato così.
In fondo gli volevo un gran bene anche se non volevo ammetterlo.
Meno male che in tutto sto casino eravamo giunti a giugno, lavoro non ce
n’era, io con gli ultimi risparmi del precedente lavoro mi ero fatto convincere
dai miei amici e dal don ad andare con l’Unitalsi a Lourdes come volontari
barellieri per portare in giro gli
ammalati. Questo prevedeva degli incontri serali per prepararci al nostro
pellegrinaggio, che sarebbe stato ad agosto quindi niente mare!
Intanto stava iniziando l’oratorio feriale… la mia salvezza, parlai con la zia, le
spiegai che sarei rimasto, ma visto che stavo per scoppiare avrei fatto il
feriale e le vacanze a Lourdes. Al rientro mi sarei dato da fare per cercare un
lavoro.
Così feci, iniziai di nuovo una magnifica estate da animatore… fu
veramente la mia salvezza! Di nuovo quattro settimane intense con i miei amici,
ero sempre il primo ad arrivare in oratorio e l’ultimo ad andare via, infatti
il Don confidava molto in me dandomi tutti i ruoli più importanti. Ore sette e
mezza apertura, quindi in segreteria per l’accoglienza ai genitori e ai bambini
finchè non arrivavano i primi animatori, poi io mi staccavo dalla segreteria e
con Davide (uno dei miei migliori amici) organizzavamo con gli altri animatori
la pulizia dell’oratorio -visto che nelle sere d’estate c’era un torneo di
calcio a cinque, lo Spadea dove
ovviamente giocavo anche io, la mattina
vi era un casino e sporcizia immaginabile di bottiglie di birra, lattine di
coca cola, vaschette delle patatine tutto per terra- poi alle dieci, quando
arrivavano tutti gli animatori, preghiera in cappellina e riunione per
organizzare la giornata e poi via col divertimento.
Il momento più difficile del feriale è sicuramente l’ora di pranzo,
perché devi riuscire a tenere cinquecento bambini (perché il nostro oratorio
era l’unico con tante presenze) seduti buoni, senza farsi lanciare le posate,
il cibo, l’acqua, praticamente un’impresa incredibile.
In più come se non bastasse il Don quell’anno mi aveva affidato un
bambino tipo quello del film “Piccola peste”, infatti era soprannominato da
tutti gli animatori Satanello. Nessun animatore riusciva a tenerlo, ne
combinava sempre una, tirava i capelli alle bimbe, sputava agli animatori,
rubava le cose e le nascondeva, faceva gli scherzi col cibo, praticamente un
piccolo diavolo. Era anche in cura dallo psicologo, pensare che il padre era in
polizia, quindi l’acqua Santa e il diavolo! Solo io riuscivo a tenerlo e lui
solo con me voleva stare. Come mai? Praticamente gli altri animatori quando
combinava qualcosa lo portavano sempre dal Don e poi ci pensava lui, infatti
era legatissimo al prete.
Un giorno Francesca, un’animatrice, mi chiamò per darle una mano, perché
non ce la faceva più con lui. Presi
Satanello e gli dissi che l’avrei portato dal Don ma lui nulla
continuava, ad un certo punto persi la pazienza lo presi dalla maglietta e lo
alzai attaccandolo al muro, ma senza alzargli le mani, però gli dissi: “Se vuoi
andare d’accordo con me, vedi di finirla di comportarti così!” Lui mi guardò
con due occhioni, non spaventato ma
bensì come se avesse avuto un’illuminazione! Da quel giorno non si staccò più
da me, mi cercava sempre e quando veniva affidato ad altri animatori ne
combinava di tutti i colori per farsi portare da me, con me invece diventava un
angioletto. Nell’ora di svago la mattina al feriale c’era chi faceva i compiti,
chi giocava, chi disegnava… Satanello
era tra quelli che disegnava ad un certo punto gli dissi: “Fai un disegno
tutto per me!” Alla fine dell’ora tornai da lui per vedere cosa mi aveva
disegnato, a vedere il disegno rimasi allibito, non credevo ai miei occhi.
Mentre tutti gli altri bambini avevano disegnato chi i fiori, chi la famiglia,
chi gli animali, lui aveva disegnato un carro armato, ma non un disegno da
bambino di undici anni, come aveva lui, ma un disegno da professionista con
tutti i dettagli e le rifiniture, perfetto in ogni particolare. Allora gli
domandai: ”Come mai questo disegno?”La sua risposta mi lasciò di stucco, mi
disse: “Mi piace la guerra!”
Adesso iniziavo a capire come mai era in cura dallo psicologo… ero
legatissimo a lui e lui a me. Non era l’unico che era legato a me, perché
quell’anno da animatore ero riuscito a conquistare l’amore di tanti piccolini e
piccoline, tutti sembravano voler stare con me, mettevo fiducia e li facevo
sempre divertire.
Un’altra bambina che non voleva staccarsi mai da me era Greta, una bimba
brasiliana, adottata anche lei da
piccola… era una piccola peste. Ricordo che tornavo a casa sempre pieno di
morsi perché a lei piacevano si le coccole, infatti stava sempre tra le mie
braccia, ma ogni tanto mi mordeva lasciandomi il segno dei denti.
L’estate procedeva alla grande ero tornato in piena forma.
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ALL’IMPROVVISO TU
Quell’anno procedeva alla grande, ma un giorno accadde quello che mai mi
sarei aspettato!
Tra le ragazze ve ne era una di nome Rebecca, aveva 14 anni, ed era la
cugina di Veronica, la mia migliore amica. Io ricordo che l’avevo già
conosciuta qualche anno prima ad una festa dell’asilo. Quel giorno ero alla
festa con Veronica ed ad un tratto si avvicinò Rebecca per salutare sua cugina,
quando se ne andò io dissi a Veronica: “Carina tua cugina!” Ma lei mi rispose subito: “Lascia stare mia
cugina Pe, è troppo piccola per te!” Lo ricordo come fosse ieri!
Adesso me la ritrovavo al feriale e, come se non bastasse, era una delle
ragazze che aveva voluto stare ad ogni costo nella mia squadra ! Si perché
alcuni animatori, erano caposquadra e io ero il capitano dei gialli. Gira e
rigira, giorno dopo giorno, tra me e Rebecca stava nascendo qualcosa. Il
problema era che io avevo 19 anni e lei ne aveva 14, quindi nessuno avrebbe
accettato la mia relazione con lei. E così fu!
Ci mettemmo insieme, ma da quel giorno eravamo giudicati da tutti, io ero
sempre richiamato dai ragazzi più grandi che volevano che lasciassi Rebecca,
dicevano che era solo una cotta estiva, secondo loro. Un giorno anche il Don mi
chiamò a rapporto dicendomi: “Gianluca cosa stai facendo, non vedi che è solo
una ragazzina? Ha solo 14 anni e tu 19; per lei sei solo un’infatuazione, un
amore estivo. Finita l’estate vi lascerete e magari sarai qui a starci male.
Tronca prima che sia troppo tardi! Poi voi siete i loro animatori quelli che
devono curarli, farli divertire, farli crescere e dovete essergli d’esempio!”
Il problema era che io sono testardo,
quando mi impunto su una cosa deve essere quella e più la gente mi diceva che
dovevo lasciare stare, più mi impuntavo a continuare e a dimostrare loro che si
sbagliavano, che non era solo una cotta estiva ma che sarebbe durata. Almeno
quello era quello che pensavo io!
Una sera mentre stavo uscendo dall’oratorio per tornare a casa ebbi uno
scontro imprevisto… la mamma di Rebecca venne fuori dall’oratorio per parlarmi,
io ovviamente oltre ad essere imbarazzato ero spaventato perché sapevo che
sicuramente non gradiva la mia relazione con la figlia, infatti scendendo dalla
macchina tutta arrabbiata, mi iniziò ad urlare dietro dicendomi di lasciare
stare sua figlia, di girarle alla larga che io per lei ero solo una cotta
estiva e basta, che era troppo piccola per pensare ai ragazzi e che io l’avrei
solo usata e poi gli avrei spezzato il cuore, detto questo prese e se ne andò
senza neanche farmi parlare.
Bè come primo incontro con i suoi genitori prometteva sicuramente bene!
Io ovviamente da quel momento mi impuntai ancora di più, come se fosse
diventata una sfida personale, nessuno mi poteva più fermare! Il feriale stava
giungendo al termine, si stavano avvicinando le vacanze vere, chi partiva per
il mare con i genitori, chi partiva da solo, chi partiva con l’oratorio… Chiara
sarebbe partita con i genitori per il mare, io quell’anno ero nel gruppo di
quelli che sarebbero partiti con l’oratorio, la vacanza a Lourdes si stava avvicinando.
L’Unitalsi quell’anno festeggiava il 10° anno della loro associazione.
All’inizio noi ragazzi non volevamo accettare perché ci sembrava strano fare
una vacanza estiva a Lourdes, ma poi il
Don riuscì a convincere la maggior parte di noi e così fu. Prima di partire
dovevamo fare delle riunioni serali con il gruppo dell’UNITALSI perché ci
dovevano preparare a questo pellegrinaggio perché avremmo aiutato come
barellieri. Finito il feriale e finito il corso di preparazione si poteva
partire!
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